Critica ecologica allo sviluppo: è tempo di sprigionarne creativamente l’antagonismo anticapitalistico
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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Critica ecologica allo sviluppo: è tempo di sprigionarne creativamente l’antagonismo anticapitalistico

di Piero BEVILACQUA –

22 settembre 2017

Care amiche e cari amici,

come forse qualcuno di voi ricorderà una delle finalità dell’Officina è di promuovere, quando possibile, delle discussioni multidisciplinari su alcuni temi di riconosciuto rilievo. Uno di questi è senza dubbio quello dell’egemonia, vale a dire del consenso culturale da guadagnare a un grande progetto di trasformazione sociale. Su questa geniale intuizione di Gramsci, com’è noto, la sinistra ha abbandonato ogni riflessione poiché, potremmo dire, da oltre trent’anni, ha smesso di pensare. L’attuale situazione delle forze politiche operaie e popolari, non solo in Italia, non sarebbe quella che è, se non si fosse verificato un vero tracollo di egemonia nel nostro campo, una catastrofe culturale in cui ancora si annaspa. L’innovazione compiuta nei passati decenni dagli ex-comunisti e laburisti, in Italia e in Europa, è consistita nel fare proprio e “temperare” l’orizzonte progettuale, le categorie, il linguaggio del fronte neoliberista, vale a dire dell’avversario di classe. Ora, poiché l’Officina non è nata per fare accademia, credo che proprio dal nostro approccio multidisciplinare possa venire un utile contributo, all’elaborazione di una nuova progettualità antagonistica.

Personalmente credo che ci siano due grandi assi di elaborazione su cui lavorare, che rappresentano le due grandi crepe nell’edificio capitalistico del nostro tempo. La prima riguarda il rapporto della macchina produttiva e del consumo con la natura. Il capitalismo, per sua intima necessità, è una cieca macchina di annientamento delle risorse e degli equilibri naturali. La sinistra, e soprattutto quella di formazione marxista (quella teoricamente più attrezzata, da cui provengo anche io) non è stata in grado di fare della crisi ambientale del nostro tempo un asse fondamentale di critica e di lotta anticapitalistica. E questo costituisce un terreno su cui l’Officina si deve cimentare.

L’altra crepa nell’edificio capitalistico è rappresentata dalla crisi in cui sono trascinati gli individui. Fondato sulla retorica della liberazione dell’individuo, il capitalismo attuale va distruggendo i legami sociali in cui per millenni uomini e donne sono stati insieme, creando una situazione senza precedenti di nichilismo esistenziale, mancanza di senso, smarrimento piscologico e spirituale, che spiega molte cose dello scenario confuso sotto i nostri occhi. In una fase in cui lo sviluppo delle forze produttive, l’accumulazione di ricchezza potrebbe consentire – per lo meno nei paesi più avanzati- l’approdo a nuove condizioni di libertà e benessere, gli individui sono soffocati da crescenti richieste di prestazioni, dalla sottrazione di tempo alle proprie vite, dall’agonismo competitivo, dal totalitarismo pubblicitario, da forme inedite di alienazione, cc. Questo dunque, per l’Officina, è l’altro grande campo di studio e di riflessione.

Qui metto a disposizione di chi ha tempo e voglia due miei vecchi saggi, destinati alla rubrica dell’Antologia. Il primo è un lungo commento a un testo di uno studioso tedesco, Hans Immler, Natur in der öconomischen Theorie, che, da Aristotele a Marx, passa al setaccio la grande vicenda culturale attraverso cui il pensiero economico occidentale ha espulso la natura dai suoi orizzonti e dalle sue elaborazioni. È un testo che presenta qualche difficoltà, ma che può appassionare chi ha dimestichezza con le questioni teoriche.

L’altro saggio è una mia introduzione a un testo divulgativo dello stesso Immler, Economia della natura, che ho fatto tradurre e pubblicare da Donzelli e che prende in considerazione anche un altro importante testo dell’autore. Quest’ultimo mio lavoro a me sembra di più facile lettura. Mi permetto tale pesante invasione perché credo che il pensiero sociale rivoluzionario e riformatore abbia gravemente ignorato la dimensione naturale degli individui e il fondo ecosistemico della società. È tempo di appropriarsi di nuovi punti di vista e categorie analitiche, di rompere la dicotomia società-natura, di riscoprire la nuova universalità implicita nella comune condizione di abitanti della Terra, di far sprigionare creativamente l’antagonismo anticapitalistico contenuto nella critica ecologica allo sviluppo. So che vi chiedo una fatica, ma vi assicuro che ne uscirete arricchiti. Non dimenticate che vi offro in sintesi i risultati di una mia ben più lunga (anche se appassionante) fatica.

Cari saluti,

Piero

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