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Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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Un’officina per l’egemonia culturale

Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline

La mappa di studiosi italiani di varie discipline*, che qui viene cartografata, nasce un po’ per gioco, un po’ per curiosità ricognitiva dell’arcipelago dei saperi dispersi del nostro paese.

Si tratta di una geografia tracciata alla buona, fondata su conoscenze personali, su rapide ricognizioni bibliografiche oltre che su qualche amichevole suggerimento. Dunque inevitabilmente lacunosa. Essa comprende per lo più docenti universitari di tutte le fasce, anche ricercatori precari, poche figure intellettuali autonome, alcuni docenti scolastici che possiedono un loro rilievo intellettuale e svolgono un ruolo importante di organizzatori culturali nel proprio territorio.

Un elenco, necessariamente incompleto (mancano artisti, editori, giornalisti, uomini di cinema e di teatro, personalità di spicco fuori dall’accademia) che vuole costituire solo l’occasione per l’avvio di una riflessione di carattere generale. Ci auguriamo che venga infoltito da chi non abbiamo incluso per ovvio riserbo o per dimenticanza.

Che cosa unisce queste figure tra loro così diverse per specifico peso intellettuale, per impegno militante e appartenenti a così diversi campi del sapere?

Un comune denominatore molto ampio, in grado di tenere insieme anche posizioni politiche distanti: la critica alla cultura neoliberistica, alle sue strategie e alle sue pratiche.

La messa in evidenza di tante intelligenze convergenti in un fronte culturale differenziato, ma comune, mostra una potenzialità egemonica resa inattiva dalla loro frantumazione. In assenza di un grande collettore politico generale, esse si disperdono individualmente nei singoli campi specialistici, senza riuscire a elaborare il progetto di controffensiva teorico-politica che la fase storica richiederebbe.

Appartiene ormai al senso comune il fallimento delle politiche neoliberistiche che hanno imperversato negli ultimi 30 anni. Ma vi appartiene ormai anche la constatazione della loro vitale persistenza pratica: benché la sostanza egemonica si sia dissolta, lasciando il posto al puro scheletro del dominio.

In verità, appare ormai evidente che il neoliberismo non è più tanto un corpo di dottrine, non sono soltanto i dettami di von Hayek o di Friedman, economisti defunti che dirigono ancora le menti dei loro colleghi viventi.

Il neoliberismo è la forma di razionalità assunta dal capitalismo nel nostro tempo, è il capitalismo all’opera.

Ma il suo fallimento storico, oltre che in tutto ciò che appare evidente – la crisi economica, le disuguaglianze crescenti, l’instabilità dei sistemi politici, lo svuotamento della democrazia, le guerre come mezzo di regolazione dei rapporti internazionali, i gravi squilibri ambientali -andrebbe considerato anche in un aspetto poco osservato, eppure di grande significato.

Le società capitalistiche contemporanee, al cui interno è sorta una così straordinaria varietà di saperi, di conoscenze, di orizzonti intellettuali – come quelli che figurano nella nostra parzialissima mappa – sono sempre più dominate, com’è noto, da un pensiero unico.

Tanta ricchezza dell’umana ricerca e intelligenza finisce per confluire, trova il suo fine ultimo, come in un paradossale imbuto, nel basso orizzonte di una razionalità prossima a una forma di ossessione. Di fronte alla inedita varietà delle forme e delle direzioni di lettura e rappresentazione del mondo, che i vari gruppi intellettuali oggi sono in grado di offrire, la razionalità capitalistica riduce e immiserisce la complessità, tende a imbrigliare la realtà sociale nelle maglie di pochi imperativi di dominio: supremazia dei mercati, competizione, efficienza d’impresa, capacità di prestazione, flessibilità del lavoro, riduzione dello stato. E ormai sappiamo che non si tratta di regolamentazioni esterne al libero fluire della società, che consentono poi la piena espressione delle libertà individuali. Questo lo immaginavano illusoriamente i soci di Monte Pelerin.

Al contrario, esse plasmano e innervano l’intero universo delle relazioni umane, forgiano le soggettività, entrano nelle coscienze e le piegano al loro dominio unidimensionale. E infatti appare evidente come gli individui “resi liberi” dalla razionalità capitalistica non solo annaspano in una società agonistica e desertificata, ma sono compulsivamente spinti nel tunnel di un unico scopo replicativo: produrre e consumare sempre di più.

Le necessità elementari dell homo sapiens, quelle che sono state la base della sua sopravvivenza, produrre e consumare, per l’appunto, sono diventati gli obblighi ossessivi degli individui nelle società capitalistiche mature.

A partire da tale constatazione si dovrebbe comprendere quale rilievo politico di portata strategica viene ad assumere il dialogo tra le discipline e i saperi per ricomporre una razionalità generale contrapposta alla desertificazione nichilistica presente.

Dialogo reso drammaticamente urgente da una constatazione a cui non ci si può sottrarre. La maggiore minaccia globale che si erge davanti a noi, il riscaldamento climatico, è stata resa possibile anche dalla direzione che hanno preso le scienze contemporanee, impegnate, ciascuna nel proprio ambito, a indagare e manipolare la natura smembrata in campi separati (della chimica, della botanica, della fisica, della genetica, ecc) a fini di dominio economico.

Nessuna di esse ha guardato alla natura come a un tutto connesso, un sistema di equilibri da pensare nella sua totalità. Non per nulla l’Onu ha istituito l’Ipcc, consesso mondiale di saperi multidisciplinari per lo studio del clima, a fini di previsione e di riparazione del danno compiuto.

Dunque, per venire ai possibili scopi operativi, costituirebbe un passo importante mettere insieme, anche solo con una organizzazione in rete, un’associazione i cui membri, pur da posizioni politiche differenti, si sentissero impegnati a dialogare sul piano teorico e culturale.

L’obiettivo da perseguire è una critica multidisciplinare della razionalità neoliberista, tentare i sentieri di una possibile cooperazione tra i saperi, in grado di fondere scienze della natura e umanesimo quale base di un nuovo progetto di società.

Una Lega Italiana Contro il Liberismo, anche nella sua forma virtuale, otterrebbe già il risultato di rendere visibile ciò che oggi è disperso, di attrarre e aggregare energie, rendere possibile una comunità cooperante di pensiero e di ricerca. Non è un surrogato del nuovo soggetto politico. E’ altra cosa.

Siamo convinti che la sconfitta delle sinistra in Occidente ha origini in un tracollo culturale e dunque di egemonia, nell’incapacità dei partiti operai e popolari di fornire soluzioni ai problemi del capitalismo nel secondo ‘900. Mentre i successi dello stato sociale hanno narcotizzato per decenni il pensiero critico e l’antagonismo delle élites intellettuali.

Non siamo peraltro così ingenuamente illuministi da credere che un simile esperimento possa esaurirsi in un ambito esclusivamente culturale. I mutamenti del pensiero, le sue creazioni, sono figli del conflitto. Marx non sarebbe stato Marx senza Hegel e Ricardo, ma soprattutto senza il 1848: l’anno delle rivolte operaie e popolari in tutta Europa. E tuttavia non sono certo i conflitti che mancano al nostro tempo, destinati a ingigantirsi e inasprirsi per effetto delle disuguaglianze crescenti.

Ciò che manca, in una società che tende a dissolvere nel mercato istituzioni e forze organizzate, a privare gli individui del collettivo sociale, a sbriciolare perfino le forze oppositive in frazionismi settari, è la capacità di aggregare, di creare presidi unitari, istituzioni sottratte alla razionalità che divide gli uomini e li domina.

*La mappa aggiornata degli studiosi italiani di varie discipline si trova qui.


COMPONENTI DEL COMITATO PROMOTORE

Piero Bevilacqua è stato docente di storia contemporanea all’Università di Roma, La Sapienza. Ha scritto di storia dell’Italia meridionale, storia dell’agricoltura e delle campagne, si è occupato di storia del territorio e dell’ambiente. Autore di saggi teorico-politici, si diletta di letteratura e di teatro.

Ignazio Masulli, già professore ordinario di Storia del lavoro nell’Università di Bologna, è membro dell’Institute of Historical Research dell’Università di Londra e di altri istituti di ricerca internazionali. Ha scritto libri e saggi sulla conflittualità sociale, le condizioni di lavoro e lo stato sociale in Europa e negli Usa in età contemporanea. Ha scritto sull’auto-organizzazione dei sistemi naturali e sociali in una prospettiva di riavvicinamento tra i diversi ambiti scientifici. Ha sostenuto l’utilità della teoria dei sistemi complessi nella ricerca storica. Da ultimo ha studiato le politiche neoliberiste e i loro effetti sociali nei paesi di più antico e nuovo sviluppo.

Enzo Scandurra, già Ordinario di Urbanistica all’università La Sapienza dal 1984, ha insegnato Sviluppo Sostenibile per l’Ambiente e il Territorio. Delegato del Rettore Ruberti, Direttore di Dipartimento per molti anni, Coordinatore del Dottorato di Ricerca in Ingegneria per l’Architettura e l’Urbanistica. Membro del consiglio scientifico di numerose riviste nazionali e internazionali, è tra i soci fondatori della Società dei Territorialisti nella quale fa parte del Comitato Scientifico. Autore di numerosi testi sul tema della città e del territorio, ultimi dei quali: Vite periferiche (Ediesse, Roma, 2012); Il pianeta degli urbanisti e dintorni (con G. Attili, a cura di, Derive Approdi, Roma, 2012); Pratiche di trasformazione dell’urbano (con G. Attili, Franco Angeli, Roma, 2013); Recinti urbani. Roma e luoghi dell’abitare (Manifestolibri, Roma, 2014). Collabora a “il manifesto”.

Paolo Favilli ha insegnato Storia contemporanea e Teoria della conoscenza storica all’Università di Genova ed è stato direttore del Dipartimento di Studi Umanistici di quell’università. E’ studioso delle culture del socialismo, in particolare delle culture economiche. In tale contesto, si è occupato e si occupa del rapporto storia-economia. Alla storia del marxismo ha dedicato alcuni volumi: Il socialismo italiano e la teoria economica di Marx (1892-1902), Napoli, 1980; Herausgabe un Verbreitung der Werke von Karl Marx und Friedrich Engels in Italien, Trier, 1988; Storia del marxismo italiano. Dalle origini alla grande guerra, Milano 1996; Marxismo e storia. Saggio sull’innovazione storiografica in Italia, Milano, 2006; Il marxismo e le sue storie, Milano 2016 e The History of Italian Marxism, Leiden/Boston, 2016, traduzione in inglese del libro del 1996.

Antonio (detto Tonino) Perna è professore ordinario (ma non rozzo) di Sociologia Economica presso l’Università di Messina. È stato presidente di Terra Nuova e CRIC, due ong molto attive negli anni ’80 e ’90 nel Mediterraneo, Africa e America Latina. Ha fondato e diretto la rivista di cooperazione internazionale Sud/Sud, ha co-fondato la rivista Altreconomia, ideato e co-fondato l’Osservatorio permanente sui Balcani di Trento, ideato e coordinato la realizzazione del Parco ludico-tecnologico-ambientale Ecolandia (RC) e del Parco Letterario e Scientifico Horcynus Orca a Messina. È stato presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte, dove ha introdotto i “contratti di responsabilità territoriale” e la prima moneta locale (l’EcoAspromonte) stampata dalla Zecca dello Stato. È stato, dal dicembre 2013 al maggio 2016, assessore alla cultura del Comune di Messina.

Rossano Pazzagli insegna storia moderna e storia del territorio e dell’ambiente all’Università del Molise, dove è presidente dei Corsi di laurea in Scienze turistiche e beni culturali e direttore del Centro di Ricerca sulle Aree Interne e gli Appennini (ARIA). Fa parte della Società dei Territorialisti e dirige la summer school “Emilio Sereni” sul paesaggio agrario presso l’Istituto “Alcide Cervi”. Si occupa di storia economica e sociale, con particolare attenzione per il territorio rurale, l’ambiente, il turismo, l’identità e le istituzioni locali. I suoi studi partono dall’analisi del passato per tracciare nuovi sentieri di sviluppo che rimettano al centro il territorio e le aree interne sulla base delle risorse ambientali e culturali. Ha pubblicato, tra l’altro, Il sapere dell’agricoltura. Istruzione, cultura, economia nell’Italia dell’800 (FrancoAngeli, 2008), Il mondo a metà. Studi storici sul territorio e l’ambiente (ETS, 2013), Il Buonpaese. Territorio e gusto nell’Italia in declino (Felici, 2014)

Ilaria Agostini, ricercatrice presso l’Università di Bologna, osserva e descrive città, territori, paesaggi; lavora collettivamente alla riappropriazione del sapere critico in urbanistica e a ipotesi alternative alla mercificazione degli ambienti di vita. Suoi saggi e libri: rintracciano i fondamenti ecologisti per una nuova alleanza città-campagna (Il diritto alla campagna. Rifondazione urbana e rinascita rurale, Ediesse, 2015); illustrano i caratteri di lunga durata dei paesaggi agrari peninsulari (Il paesaggio antico, Aión, 2009); raccontano la città neoliberista e la resistenza all’urbanistica tardocapitalistica (ha curato Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà 2004-2014, Aión, 2016; e, con Piero Bevilacqua, Viaggio in Italia. Le città nel trentennio neoliberista, Manifestolibri, 2016). Nel 2015 ha partecipato alla stesura del manifesto Terraviva, coordinato da Vandana Shiva; da anni collabora con “La Città invisibile”, “eddyburg”, “il manifesto”, “Scienze del territorio”.

Lia Fubini è docente di Economie e Politiche del Lavoro presso il corso di laurea di Scienze del Governo dell’Università di Torino. Si occupa di tematiche legate al lavoro, alla macroeconomia e alle politiche macroeconomiche.

Vittorio Boarini ha promosso la costituzione della Cineteca di Bologna, che ha diretto per più di trent’anni, dotandola di un laboratorio di restauro e di alcune attività permanenti per cui oggi è famosa nel mondo. Ha insegnato all’Accademia delle Belle Arti di Bologna ed è stato titolare, fra il 1983 e il 1986, della rubrica di Arti Figurative nell’edizione bolognese de “La Repubblica”. Dopo la direzione della Cineteca, ha assunto, nel 2001, quella della Fondazione Fellini di Rimini, esercitandola fino al 2010. Ha insegnato Cinematografia documentaria e sperimentale presso il DAMS dell’Università di Bologna, dal 2000 al 2007. Numerose le pubblicazioni sul cinema e le arti figurative. Attualmente collabora con varie riviste.

Ugo M. Olivieri insegna Letteratura Italiana e Teoria della Letteratura nell’Università “Federico II” di Napoli. Si è occupato di romanzo dell’Ottocento e del Novecento e di teoria letteraria. È membro della direzione della rivista “Il Tetto” e fondatore del gruppo di ricerca interdisciplinare “A Piene Mani. Dono e Beni Comuni” e del sito www.benicomuni.unina.it. Su questi temi del dono e dei beni comuni ha pubblicato vari saggi e curato i volumi della collana “Dono e beni comuni” di Diogene Edizioni, Napoli.

Dario Bevilacqua (1977) è dottore di ricerca in diritto amministrativo. Si è laureato con lode all’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Giurisprudenza, dove ancora oggi svolge attività di collaborazione presso la cattedra di diritto amministrativo del Professor Marco D’Alberti. Nella medesima facoltà è stato assegnista di ricerca in diritto amministrativo dal 2009 al 2011. Dal 2008 è funzionario amministrativo del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Ha svolto numerosi studi all’estero e svariate ricerche in diversi campi del diritto pubblico, occupandosi di vari temi: diritto internazionale, diritto amministrativo globale, diritto europeo, diritto alimentare, garanzie democratiche, regolazione ambientale. A oggi è autore di tre monografie e di diversi articoli sulla regolazione della sicurezza alimentare, sul principio di precauzione, sulla riforma dei Ministeri, sulla tutela dei diritti umani, sull’organizzazione dell’Istat.