HAMAS È RIUSCITA A SVELARE IL VERO VOLTO DELL’IMPERO da ANTIDIPLOMATICO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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HAMAS È RIUSCITA A SVELARE IL VERO VOLTO DELL’IMPERO da ANTIDIPLOMATICO e IL MANIFESTO

Caitlin Johnstone – Hamas è riuscita a svelare il vero volto dell’Impero

 Caitlin Johnstone*  07/04/2025

Una cosa che il 7 ottobre ha ottenuto è che Israele e i suoi alleati hanno mostrato al mondo il loro vero volto. Lo presentato davanti a tutta l’umanità con queste sembianze: “Se ci resistete, uccideremo i vostri bambini. Spareremo deliberatamente in testa ai vostri figli. Massacreremo gli operatori sanitari. Distruggeremo sistematicamente tutti i vostri ospedali. Vi stupreremo e tortureremo come regola generale. Assedieremo l’intera popolazione civile. Renderemo inabitabile tutta la vostra terra e poi vi cacceremo tutti e ce la prenderemo per noi. Assassineremo tutti i vostri giornalisti e bloccheremo l’ingresso ai giornalisti stranieri, in modo che nessuno possa vedere ciò che vi stiamo facendo. Mentiremo su tutte queste cose per tutto il tempo, e voi saprete che stiamo mentendo, e noi sapremo che voi sapete che stiamo mentendo, e voi saprete che noi sappiamo che voi sapete che stiamo mentendo. E la faremo franca lo stesso, perché abbiamo in mano tutte le carte”.

A volte mi capita di incontrare persone che dicono: “Cosa si aspettava Hamas? Dovevano sapere che Israele avrebbe fatto questo!”. Lo dicono nel tentativo di scaricare la colpa delle atrocità genocide di Israele sui piedi di Hamas, come se Israele fosse una specie di animale selvatico che non può essere ritenuto responsabile delle sue azioni se qualcuno si avvicina troppo alla sua bocca.

Ma ovviamente Hamas sapeva che Israele e i suoi alleati avrebbero reagito in questo modo. Certo che lo sapevano. Sapevano di avere a che fare con una civiltà assassina e tirannica, capace di una malvagità senza limiti e che non considera i palestinesi come esseri umani. Lo sapevano perché ci avevano vissuto per tutta la vita. Questo è il problema che stavano cercando di affrontare con le loro azioni del 7 ottobre.

Si può non essere d’accordo con le decisioni prese da Hamas quel giorno. Si può dire che avrebbero dovuto usare altri mezzi per perseguire la giustizia. Potete condannarli, odiarli, fare tutto il rituale pubblico necessario per essere accettati nella società occidentale. Ma una cosa che non si può fare è negare che da allora Israele e i suoi alleati hanno rivelato ogni giorno al mondo il loro vero volto, a livelli che prima non c’erano.

Ora è tutto pienamente visibile. È tutto lì, in superficie. Possiamo continuare a fingere di vivere in una società libera che crede nella verità e nella giustizia e che considera tutte le persone uguali, ma sapremo tutti che è una bugia. Quello che siamo, prima di tutto e soprattutto, è una civiltà che sosterrà attivamente il primo genocidio in diretta streaming della storia. Questo è il fatto più rilevante del mondo occidentale in questo momento storico. Ce lo troviamo davanti agli occhi ogni giorno.

Il 7 ottobre non ha certo reso la vita più facile ai palestinesi, ma ha tolto loro la possibilità di nascondersi da se stessi. Hamas ha raggiunto migliaia di chilometri in tutto il mondo e ha distrutto definitivamente la nostra capacità di evitare la verità sul tipo di distopia in cui stiamo realmente vivendo. I nostri governanti possono riuscire a eliminare i palestinesi come popolo, ma una cosa che non riusciranno mai a fare è rimettere quei paraocchi ai nostri occhi.

Ciò che è stato visibile non può essere ignorato.
*Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: https://www.caitlinjohnst.one/

«Subito un’indagine internazionale» sui soccorritori uccisi a Gaza

Striscia di sangue La Mezzaluna Rossa ha presentato i risultati dell’autopsia sui corpi delle vittime della strage a Rafah compiuta da Israele. Yunis Al Khatib: «hanno sparato per uccidere. Nessun dubbio su questo. Colpire chi salva vite umane è un crimine che non può essere archiviato»

Michele Giorgio   08/04/25025

Un silenzio pesante riempiva ieri la sala seminari della sede della Mezzaluna Rossa Palestinese, a ridosso del campo profughi di Amari, all’ingresso di Ramallah. Decine di giornalisti, attivisti, medici e cittadini hanno atteso l’ingresso di Yunis Al Khatib, il capo della Mezzaluna Rossa. In prima fila c’era la delegazione della Croce Rossa Internazionale, in fondo alla sala dominavano le telecamere di tv locali, arabe e straniere. Le parole di Al Khatib, senza indugio, hanno pronunciato un’accusa netta. «I soccorritori e gli operatori umanitari uccisi il 23 marzo a Rafah sono stati colpiti (dai soldati israeliani) con l’intento deliberato di uccidere», ha proclamato con fermezza, spazzando via ipotesi di errori e incidenti. È stata un’esecuzione a tutti gli effetti, ha detto guardando la sala gremita.

Al Khatib ha riferito che i corpi delle vittime sono stati sottoposti ad autopsia. «Non possiamo rendere pubblici tutti i dettagli, ma posso dirvi che ogni persona è stata colpita nella parte superiore del corpo. Hanno sparato per uccidere. Nessun dubbio su questo». Quindi ha lanciato un appello per un’inchiesta internazionale. «Uccidere chi salva vite umane è un crimine che non può essere archiviato. Chiediamo un’inchiesta internazionale sulle circostanze di quest’omicidio deliberato di soccorritori e operatori umanitari», ha detto.

L’esercito israeliano, per giorni, ha provato a nascondere l’accaduto, arrivando persino a seppellire sotto una coltre di detriti e sabbia le 15 vittime — otto paramedici della Mezzaluna Rossa, sei membri della Protezione civile e un impiegato dell’Unrwa (ONU) — e ciò che restava di ambulanze e mezzi di soccorso. Il video trovato nel cellulare di una delle vittime e diffuso sabato dal New York Times ha cancellato in un attimo l’affermazione del portavoce militare sul fuoco aperto dai soldati contro «terroristi» a bordo di veicoli «non identificati». Ancora ieri ha dichiarato che sei degli uccisi erano «uomini di Hamas». Le immagini, però, mostrano le ambulanze in movimento con i lampeggianti accesi, i paramedici che scendono per controllare un veicolo di soccorso fermo e, pochi secondi dopo, le raffiche che uccidono tutti. I palestinesi reclamano indagini imparziali, giustizia e un intervento concreto per fermare l’offensiva israeliana a Gaza. L’indignazione globale è forte, ma, come accade quasi sempre, rischia di dissolversi nell’inerzia politica e diplomatica.

Ieri, al silenzio che ha accolto Al Khatib all’inizio della conferenza stampa, si è accompagnato quello nelle strade di Ramallah, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Le saracinesche dei negozi sono rimaste abbassate, le attività lavorative non essenziali si sono fermate, così come le scuole, per il giorno di sciopero generale a sostegno di Gaza e Cisgiordania proclamato da tutte le organizzazioni politiche palestinesi nell’ambito della «Campagna globale per fermare il genocidio». L’appello, firmato dalle Forze nazionali e islamiche, chiede la mobilitazione ovunque contro i massacri. «Vogliono liquidare la causa palestinese e sfollare il nostro popolo», si legge nel documento, che invoca l’unità nazionale contro l’occupazione israeliana. Hamas e Fatah, divisi da anni di scontri e rivalità, per un giorno hanno parlato con una sola voce.

Intanto, sulle colline a sud di Hebron, nel villaggio di Umm al-Khair, nella zona di Masafer Yatta, i coloni israeliani, scortati da militari, hanno posizionato altre roulotte accanto alle case degli abitanti palestinesi per costringerli ad andare via. «Sono arrivati dall’insediamento di Karmiel», ha spiegato l’attivista Osama Makhamreh. «Vogliono cacciarci, uno per uno», ha avvertito. La vita quotidiana dei palestinesi di Masafer Yatta, raccontata nel documentario No Other Land, premiato a inizio marzo con l’Oscar, è il simbolo della resistenza popolare che si oppone alla distruzione dei villaggi palestinesi in un’area che Israele ha proclamato unilateralmente zona di addestramento militare.

A Jenin, intanto, va avanti l’operazione militare israeliana cominciata 78 giorni fa, che ha ridotto in macerie buona parte del campo profughi della città, ucciso 36 persone, in gran parte civili, e ferito altre 18. Tra gli ultimi arrestati anche una madre e suo figlio adolescente. L’associazione Addameer riferisce che, dei 9.500 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, 350 sono minori e 21 donne. Oltre 3.000 si trovano in «detenzione amministrativa», un sistema che consente la carcerazione senza accuse formali né processo. Cinque ex detenuti, arrestati a Gaza e rilasciati di recente, hanno raccontato nei giorni scorsi alla BBC di torture, denudamenti, elettroshock, attacchi con cani, negazione delle cure mediche. Uno di loro, Mohammad Abu Tawileh, ha detto: «Mi hanno cosparso di una sostanza infiammabile, poi mi hanno dato fuoco».

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