GAZA: BOMBE, NEGOZIATI E RISCHIO EPIDEMIE. ONU SEMPRE PIÙ AL MARGINE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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GAZA: BOMBE, NEGOZIATI E RISCHIO EPIDEMIE. ONU SEMPRE PIÙ AL MARGINE da IL MANIFESTO

Tra bombe, negoziato e rischio epidemie. Gaza resta senza via di uscita

TERRA RIMOSSA. Oggi attese «novità» diplomatiche al vertice indetto dal Forum economico mondiale a Riyadh. Ostaggi, diffuso un nuovo video. Nella Striscia niente acqua pulita né cibo. E caldo in arrivo: il nuovo allarme delle autorità sanitarie

Ester Nemo  28/04/2024

Quale che sia la «possibile via d’uscita dall’impasse in cui ci troviamo a Gaza» evocata ieri dal presidente del World Economic Forum (Wef) Borge Brende, saranno in molti a drizzare le orecchie oggi e domani a Riyadh, in Arabia Saudita, per avere qualche dettaglio in più.

A MARGINE DELLA RIUNIONE speciale indetta dall’organismo principe del capitalismo mondiale, con 92 paesi e un migliaio di delegati riuniti intorno al mito della «collaborazione globale per la crescita e lo sviluppo», si terrà infatti un dibattito sulla guerra a Gaza che per Brende potrebbe diventare «molto importante». Con al centro proprio lo stato dell’arte dei negoziati su cessate il fuoco – stante la terrificante crisi umanitaria in corso – e rilascio degli ostaggi. Vicenda, quest’ultima, su cui secondo il capo del club di Davos ci sarebbero non meglio precisate «novità».

Potrebbero saperne di più i membri della delegazione che l’Egitto, sempre più in ansia per gli effetti di “sconfinamento” che l’operazione militare su Rafah scatenerebbe, ha inviato in Israele per tentare di rilanciare la dinamica di proposte e controproposte messe sul tavolo fin qui dal governo israeliano e da Hamas. La cui ala militare ieri ha diffuso un nuovo video che mostra due degli ostaggi ancora in vita. Si tratterebbe secondo i media israeliani di Keith Siegal, che ha doppia cittadinanza Usa, sequestrato il 7 ottobre nel kibbutz di Kfar Aza, e di Omri Miran, preso a Nir Oz.

DI RITORNO DALLA CINA e anche lui atteso in Israele nei prossimi giorni, a Riyadh ci sarà anche il segretario di Stato Usa Antony Blinken e, tra i leader più direttamente interessati, i primi ministri di Giordania, Egitto e Iraq. Per la Turchia ci sarà il ministro degli Esteri Hakan Fidan, mentre il gruppo di contatto dell’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oic) e della Lega araba che segue la guerra a Gaza sarà al centro di diversi bilaterali. Non è chiaro se l’Iran sarà incluso nella discussione o è solo parte del “problema”. Mentre è chiaro il senso quasi decorativo della presenza del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas. Il quale ieri ha scritto una calorosa lettera di ringraziamento al premier spagnolo Pedro Sánchez per l’appoggio alla soluzione dei due-stati e gli sforzi per la pace profusi da Madrid.

Pace che non potrebbe essere più lontana vista da Gaza. Tra venerdì e sabato l’esercito di Tel Aviv sostiene di aver colpito «25 obiettivi terroristici nella Striscia, tra cui strutture militari in cui operavano terroristi armati, depositi di armi, infrastrutture sotterranee e altre infrastrutture terroristiche». Durante le stesse 24 ore nella Striscia si sono invece contate almeno 32 vittime e un terzo erano bambini, facendo lievitare il conto totale a 34.388 morti e 77.437 feriti.

DAI PESCATORI MITRAGLIATI mentre gettavano le reti ai ripetuti raid dell’aviazione israeliana sui campi profughi di Nuseirat e Bureij, nella zona di Wadi Gaza e ancora, a più riprese, su Rafah, per la popolazione è stata un’altra giornata di terrore e sangue. Che ha messo a dura prova le squadre d’emergenza, sempre più a corto di attrezzature, impegnate nel tentativo di estrarre dalle macerie di alcuni edifici residenziali colpiti vittime e sopravvissuti.

Sul fronte umanitario-militare, riguardo il molo provvisorio che gli Stati uniti intendono costruire sotto il controllo di Israele per far affluire aiuti via mare, gli inglesi si sono detti disposti a contribuire anche come “rider”, trasferendo cioè il carico dal molo alla terra ferma, servizio che i militari Usa non avrebbero garantito.

Le autorità sanitarie della Striscia intanto hanno lanciato un nuovo disperato allarme per i rischi di epidemie che aumentano con l’arrivo del caldo, su una popolazione già provata e denutrita, dopo lo straripamento delle acque reflue e l’accumulo di rifiuti tra le macerie. L’unica acqua disponibile è contaminata e anche un banale disinfettante come la clorina non passa i controlli israeliani.

Per il resto anche in Cisgiordania le cose non migliorano. Una vera emergenza sono i continui assalti dei coloni contro i contadini palestinesi in varie località della Valle del Giordano, come a Hebron e Betlemme, con case e raccolti dati alle fiamme. E la situazione resta di grande tensione anche al confine tra Israele e Libano, con il sistema Iron Dome che ieri è dovuto entrare in funzione per intercettare i droni lanciati da Hezbollah in risposta all’ultimo raid israeliano che ha provocato tre vittime.

A QUESTO PROPOSITO il passo con cui il Libano ha deciso di accettare la giurisdizione della Corte penale internazionale (Icc) per crimini commessi sul suo territorio dopo il 7 ottobre 2023, sembra preludere a una richiesta di giustizia per le oltre 70 vittime civili – inclusi bambini, soccorritori e giornalisti – provocate dai bombardamenti israeliani.

Il molo Usa bypassa l’Onu e rafforza l’occupazione israeliana del nord di Gaza

MEDIO ORIENTE. Le truppe di Tel Aviv controlleranno i container. I soldati statunitensi resteranno in mare

Michele Giorgio  27/04/2024

Gli ottimisti dicono che il molo galleggiante, partorito a marzo dalla mente di Joe Biden per rifornire di cibo la Striscia di Gaza, sarà smantellato facilmente come ora viene assemblato dalle truppe americane. Eppure non si può fare a meno di considerare che questa iniziativa «umanitaria» in via di rapida realizzazione, già ai primi di maggio, finisca per consolidare l’occupazione militare israeliana del nord di Gaza, la parte svuotata in gran parte della sua popolazione.  Di sicuro favorisce il progetto israeliano di escludere definitivamente l’agenzia Unrwa (Onu) dalla distribuzione degli aiuti (già molto limitati) ai 200-300mila palestinesi che restano nel nord di Gaza.

NON È CHIARO, peraltro, se il molo riuscirà a incrementare in modo significativo gli aiuti umanitari. I funzionari dell’Onu e delle ong internazionali lo dubitano fortemente e, nei giorni scorsi, hanno ribadito che Gaza rischia la carestia nel giro di qualche settimana. Il Programma alimentare mondiale (Wfp) ha accettato di collaborare con due paesi europei, Lussemburgo e Romania, che per conto dell’Ue useranno il «corridoio marittimo» per l’invio di aiuti. Il direttore del Wfp, Carl Skau, comunque sottolinea che il molo americano dovrà essere solo una parte di uno sforzo più ampio per evitare la fame.

«Posso confermare che le navi militari statunitensi, inclusa la USNS Benavidez, hanno iniziato a costruire le prime parti del molo temporaneo e della passerella rialzata in mare», ha detto giovedì il portavoce del Pentagono, Patrick Ryder. I soldati americani non metteranno piede a terra, ha aggiunto, rispondendo indirettamente ad Hamas e altre organizzazioni combattenti palestinesi che minacciano di prendere di mira «qualsiasi presenza straniera» a Gaza.

Due giorni fa è giunto un primo inequivocabile messaggio agli Stati uniti. Colpi di mortaio sono stati sparati in apparenza verso il molo in costruzione mentre funzionari dell’Onu visitavano il sito con le truppe israeliane. Non ci sono stati feriti. Nessun gruppo ha rivendicato gli spari e le forze Usa hanno sminuito l’accaduto dicendo che i colpi di mortaio non avevano avuto come obiettivo il molo.

IL PORTO mobile – Joint Logistics Over the Shore (Jlots) – sorgerà sotto Gaza city, ma poco a nord del Corridoio Netzer costruito da Israele e che taglia in due la Striscia. In termini pratici significa che gli aiuti umanitari che giungeranno al molo dovranno passare attraverso posti di blocco israeliani prima di essere distribuiti, nonostante siano già stati ispezionati dalla sicurezza di Israele a Cipro prima dell’imbarco. Controlli che rallenteranno la distribuzione del cibo e dei generi di prima necessità. A quanto si è appreso, le casse con gli aiuti verranno caricate su navi commerciali a Cipro e, al termine di una navigazione di circa 200 miglia, arriveranno alla piattaforma galleggiante Usa davanti alla costa di Gaza. Lì gli aiuti saranno portati da piccole imbarcazioni fino alla passerella rialzata lunga 550 metri e trasferiti su camion che proseguiranno verso la terra ferma.

IL PORTO galleggiante avrà tre zone: una dove giungeranno gli aiuti che saranno controllati dagli israeliani, un’altra dove gli aiuti verranno selezionati e una terza dove gli autisti dei camion del Wfp aspetteranno gli aiuti da portare ai punti di distribuzione. Il molo gestirà 90 camion al giorno, ma tale numero potrebbe aumentare fino a 150. La missione potrebbe durare diversi mesi, ha detto all’Associated Press un funzionario americano. Una brigata israeliana e le navi della Marina militare saranno schierate a protezione dei soldati Usa

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