Ecologia del tempo
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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Ecologia del tempo

Piero BEVILACQUA

Un bene comune invisibile, forse il forse il più prezioso e universale, sfugge alla nostra percezione proprio nella fase storica in cui è oggetto del più sistematico saccheggio. È il tempo, il tempo della nostra vita, ma anche il tempo della natura e delle altre creature viventi. Questa limitata risorsa, oggetto di una immensa appropriazione privata, ci si presenta oggi nelle sue scansioni e divisioni, come un dato naturale ed è in realtà il risultato di un lungo processo storico. Quel che si presenta come sempre esistito, la divisione della giornata, le ore, i minuti, non è che una forma del dominio che governa l’intera società sotto le regole del capitalismo.

È noto che prima Ricardo e poi Marx, sviluppando la teoria del valore-lavoro inaugurata da Adam Smith, hanno individuato nel «tempo di lavoro necessario» la fonte originaria della ricchezza. Nella Gran Bretagna industriale dell’Ottocento, dunque, il tempo di lavoro, la durata della giornata lavorativa dell’operaio, appariva ormai con evidenza la leva dell’accumulazione capitalistica. Per realizzarla i primi capitalisti hanno dovuto lottare per quasi tutto il ‘700, al fine di assoggettare i bioritmi umani, quello dei contadini e dei liberi artigiani, al tempo dilatato e coatto della fabbrica .Sidney Pollard ha illustrato con ampiezza di dati la lunga lotta intrapresa dagli imprenditori inglesi per piegare il fisico, la mente, i bisogni fisiologici, le naturali irrequietezze della persona allo spazio chiuso e alla durata interminabile della giornata di lavoro (The genesis of modern management. A study of the industrial revolution in Great Britain, 1965).

Naturalmente, gli uomini del XVIII secolo non provenivano, come Adamo ed Eva, da un luminoso e incondizionato Eden del tempo libero. Essi avevano alle spalle diversi secoli di assoggettamento del loro tempo di vita agli sforzi di regolamentazione del potere politico, delle chiese, dei proprietari terrieri, dei padroni di bottega. È noto che fu San Benedetto a inserire nel suo ordine l’horarium, destinato a dividere la giornata monastica entro rigide scansioni di obblighi e di compiti.

Ma è con l’invenzione, e, soprattutto, con la diffusione sociale dell’orologio, che dal Medioevo sino all’età contemporanea si svolge una lunga epoca nel corso della quale il tempo si emancipa dalla vita quotidiana delle persone, diventa sempre più astratto, divisibile, esterno all’esperienza umana, strumento di ordine e di controllo sociale da parte delle classi dominanti e del potere politico.

Nel corso del XIX secolo, con l’espansione del mercato mondiale, con la diffusione dei nuovi mezzi di trasporto, soprattutto della ferrovia, l’intera società viene stretta entro una maglia di calendari, orari e scansioni temporali sempre più precisi e imperativi. Il tempo meccanico, astratto, veloce, della fabbrica si estende a tutto il resto della società. Il tempo del lavoro diventa il tempo universale della vita. Anche la strutturazione dello Stato, con le sue burocrazie e i suoi uffici, la sua organizzazione del lavoro, si è uniformata al tempo astratto che dalla fabbrica nel frattempo si estendeva a tutta la società.

L’epoca che vede nascere la teoria del valore-lavoro, è la stessa che assiste al più gigantesco sfruttamento di quello che potremmo chiamare a buon diritto il tempo di lavoro della natura. Lo sfruttamento su larga scala del carbone a scopi di produzione di energia, nel corso del XIX secolo, segna infatti una svolta senza precedenti nella storia della violenza antropica sulla natura. La potenza energetica del carbon fossile e la sua stessa esistenza era fondata sul millenario tempo di lavoro della natura. Erano stati i tempi geologici di trasformazione della sterminata flora diffusa nell’era paleozoica a fornire ai gruppi produttivi dell’epoca un immensa fonte di energia. Essa, formata in epoche remote dal lavoro del sole, non era più soggetta ai cicli di rigenerazione della natura, come accadeva per la legna degli alberi.Ma ora in pochi mesi si consumava il tempo geologico di milioni di anni.

La rapidità del consumo industriale di energia non rigenerabile inaugura dunque una asimmetria temporale drammatica tra evoluzione geologica e tempo della storia umana. Quel breve segmento che è il tempo storico delle società divora con sconvolgente velocità e voracità il tempo geologico della Terra.

Ma l’uso del tempo della natura non riguarda solo il mondo fossile. C’è un tempo del mondo fisico inosservato che opera silenziosamente accanto agli uomini, senza il quale nessuna ricchezza – e ovviamente nessuna esistenza biologica – è possibile. L’agricoltore che getta il seme di grano nella terra deve attendere il lavoro segreto e invisibile della natura, l’attività chimica del suolo, che si svolge nell’arco delle stagioni, e poi il contributo della pioggia, dell’aria e infine, l’opera del sole per la maturazione delle spighe. Un consumo di tempo lungo una stagione è dunque necessario per produrre la merce grano. Tutto l’immenso lavoro di formazione della fotosintesi clorofilliana, destinata a produrre beni e materiali su cui si eserciterà il lavoro umano di trasformazione, impiega del tempo per esplicarsi. L’acqua di cui quotidianamente facciamo uso è frutto dell’irraggiamento solare che solleva dagli oceani masse imponenti di vapore, le quali ritornano al suolo sotto forma di piogge, di fiumi, di sorgenti che restituiscono acqua purificata ed energia motoria agli usi correnti delle persone e delle industrie. E quest’opera silenziosa impiega del tempo.

In realtà tutte le risorse della terra che sono intorno a noi posseggono un valore economico, che non è semplicemente dato dalle loro qualità naturali presenti, ma anche, e talora soprattutto, dal tempo di lavoro con cui la natura le ha formate. I mari e gli oceani, la presenza delle terre fertili, il patrimonio delle foreste, il numero prodigioso dei semi e delle piante utili, la miracolosa ricchezza della biodiversità genetica sono tutte risorse immediatamente utilizzabili, ma grazie al fatto di essere il frutto di una lunga evoluzione. Anche il ferro, il rame, il marmo, tutti i materiali che entrano nel processo di lavorazione industriale mettono a disposizione delle qualità (durezza, resistenza, flessibilità, ecc.) che sono il risultato di un processo di formazione avvenuto nel tempo. Se tali risorse dovessero essere formate oggi, per essere impiegate nei tempi veloci del processo produttivo , ovviamente non sarebbero disponibili. Dunque noi non possiamo vivere sulle risorse del presente, se non in piccola parte. In realtà utilizziamo i millenni di tempo che hanno operato senza di noi.

È almeno a partire dagli anni 30 del ‘900 che il capitalismo mette in atto una nuova accelerazione sociale del tempo: quella del consumo.Oggi, il profitto si realizza grazie a una sempre più rapida trasformazione delle risorse naturali in merci e la metabolizzazione di queste in rifiuti.E appare ormai chiara la trappola in cui gli uomini e la natura sono prigionieri. Le risorse naturali devono essere distrutte a velocità crescente – sia nella fase della produzione che in quella del consumo – mentre gli uomini sono costretti a un uso sempre più vorace del loro tempo. Un tempo che non viene soltanto assorbito dall’orario di lavoro, ma anche dal tempo libero, dal processo di consumo.

Appare dunque evidente che il tempo è oggi la chiave di volta della sostenibilità. Occorre risparmiare tempo per la vita degli uomini e rallentare i processi per rendere rigenerabili i cicli della natura. Occorre tagliare i tempi di lavoro e di consumo degli uomini per liberarli da una insostenibile schiavitù. E occorre liberare la natura da un assedio «consumistico» sempre più distruttivo. Occorre risparmiare tempo, ridurre la velocità, per salvare la nostra civiltà.

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