J’ACCUSE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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J’ACCUSE da IL MANIFESTO

Cari guerrafondai, imparate e chiedete scusa

Pace contro guerra. Continuate a stanziare le stesse cifre per altri vent’anni, ma questa volta non per armi, ma per migliorare le condizioni di vita delle persone affidandoli non a militari, ma alle organizzazioni non governative internazionali

Paolo Cacciari  20.08.2021

Guerrafondai impenitenti. Voi tutti che avete riempito pagine di giornali e schermi delle tv per giustificare le guerre “giuste”, i bombardamenti “mirati”, le invasioni “liberatrici” potreste, almeno in questo momento, avere il pudore di risparmiarci questo spettacolo indecoroso di ipocrisia per le sorti delle donne afghane?

Voi governi della Nato che avete usato in Afghanistan tanti (nostri) denari per armi (due trilioni di dollari) quanti nella seconda guerra mondiale, vi facciamo una proposta per verificare se davvero avete a cuore il bene delle persone oppresse: continuate a stanziare le stesse cifre per altri vent’anni, ma questa volta non per armi, ma per migliorare le condizioni di vita delle persone affidandoli non a militari, ma alle organizzazioni non governative internazionali (che operano sul modello di Emergency per la sanità, dell’Unicef per i bambini, della Un Entity for gender Equality and Emplowerment of Women, o altre).

Voi che avete approvato ogni anno per vent’anni l’invasione dell’Afghanistan non vi viene in mente, neppure ora di fronte d un così clamoroso e vergognoso fallimento della “missione militare”, che la strategia della vendetta e dell’”occhio per occhio” rende il mondo cieco (Gandhi), non più pacifico e tantomeno più giusto? Non vi accorgete che le guerre non risolvono, ma aggravano e incancreniscono i problemi di convivenza tra i popoli e di rispetto dei diritti umani?

Voi che ritenete di avere l’esclusiva del modello più avanzato di civiltà, non vi siete mai interrogati delle ragioni per cui l’Occidente suscita in tante parti del mondo tanta repulsione e odio?

Voi che avete ammantato le vostre brame di dominazione su tutte le terre e le risorse del pianeta con la promessa di portare benessere e libertà ai popoli, potreste per una volta prendere atto con modestia e realismo del vostro fallimento?

Voi che piangete lacrime di coccodrillo per la sorte dei collaboratori civili dei vostri governi fantoccio abbandonati a se stessi a Kabul, perché non riaprite subito le frontiere, per loro e per tutte le donne e gli uomini perseguitati non solo dai talebani islamisti, ma anche da tutti gli altri regimi politici oppressivi, maschilisti, schiavisti, fondamentalisti religiosi che imperversano sul pianeta?

Voi che avete deriso come “anime belle” i movimenti pacifisti e nonviolenti che pure vi avevano avvertito in tutti i modi che le vostre pratiche di guerra sarebbero state controproducenti, per una volta, dategli ascolto: ritirate i militari da ogni parte del mondo (ad iniziare da Iraq e Libia) e lasciate fare alle forze di interposizione nonviolenta e alla cooperazione internazionale vera (non quella dei business del petrolio e delle materie prime).

Voi che in 20 anni di occupazione militare avete lasciato che l’Afghanistan diventasse il più grande narco-stato del mondo, cosa state facendo per evitare di importare oppiacei per rifornire i nostri civilissimi e floridi consumi di droga?

Ma prima di tutto, per poter ripartire davvero su basi nuove, dovreste imparare chiedere scusa.

Da tempo l’Occidente è amico dei peggiori talebani del mondo

Afghanistan. I «turbanti neri» sono eredi della nostra storia. E hanno preso il potere negli anni Novanta a Kabul grazie al Pakistan legato a fil doppio ad al Qaeda (governava l’«eroina» Benazir Bhutto). Draghi «chiederà consiglio» nel G20 a Paesi arabi amici come l’Arabia saudita: chiediamo a oscurantisti truculenti di farsi paladini dei diritti delle donne e della libertà di opinione?

Alberto Negri  20.08.2021

Siamo tutti talebani? Nel senso che da tempo l’Occidente è amico dei peggiori talebani del mondo? Pare di sì. Gli Usa, la Nato, l’Italia, vendono armi e lisciano il pelo a monarchie assolute e oscurantiste come l’Arabia Saudita. Mohammed bin Salman tortura e fa a pezzi un giornalista, Renzi si fa pagare da lui e lo definisce un “principe del rinascimento”. In fondo siamo tutti talebani, basta che paghino.
Sarebbe ora che ci dicessimo in faccia la verità: i talebani li abbiamo voluti noi occidentali con i nostri alleati arabi, quelli ricchi beninteso, dei poveracci non sappiamo che farcene.

L’ossessione del comunismo un tempo era tale che gli Usa e l’Occidente avrebbero fatto carte false pur di far fuori Mosca. La jihad in Afghanistan l’abbiamo fomentata e sostenuta negli anni Ottanta per sconfiggere i sovietici. Gli arabi pagavano i mujaheddin, il Pakistan ospitava i gruppi radicali, gli Stati Uniti dirigevano le danze.

ALL’EPOCA Osama bin Laden era un alleato benemerito perché la sua famiglia finanziava la guerriglia contro l’Urss: la società di costruzioni Bin Laden, di cui gli americani erano soci, forniva, tra l’altro, le scavatrici per costruire i tunnel che proteggevano i combattenti dai raid aerei di Mosca. Gli stessi tunnel che poi Bin Laden ha usato insieme ai talebani del Mullah Omar, per addestrare gli attentatori dell’11 settembre 2001, quasi tutti sauditi, e da cui è fuggito in Pakistan dove è stato ucciso nel maggio 2010.

Per abbattere l’Urss, gli Usa e gli arabi del Golfo hanno pagato un’intera generazione di combattenti che affluivano da tutto il mondo musulmano. Per colpire gli aerei la Cia aveva fornito ai mujaheddin i missili Stinger, un’arma tra le più efficaci in circolazione. Questi combattenti avrebbero poi costituito battaglioni di terroristi che hanno destabilizzato il Medio Oriente e poi colpito anche in Europa. Il problema è cominciato quando l’Unione sovietica si è ritirata dall’Afghanistan nell’89. Gli Usa e gli occidentali abbandonarono – more solito – il Paese al suo destino e i jihadisti si sentirono traditi: avevano abbattuto i comunisti e ora gli americani voltavano le spalle. È così che i nostri alleati afghani, definiti sui media occidentali «combattenti della libertà», si sono trasformati in nemici.

I talebani sono gli eredi di questa storia. Con una notazione: per prendere il potere negli anni Novanta a Kabul avevano bisogno dell’aiuto del Pakistan e a organizzare la loro ascesa fu il governo di Benazir Bhutto, acclamata in Occidente come un’eroina e poi uccisa in un attentato nel 2007. Non dobbiamo stupirci: l’Afghanistan da sempre viene considerato da Islamabad essenziale alla «profondità strategica» del Pakistan. I generali pakistani erano legati a Bin Laden, che distribuiva soldi a tutti, e molti della «lista nera» di Washington stavano tranquillamente in Pakistan. Non è un caso che Bin Laden sia stato ucciso nella città pakistana di Abbottabad nel 2011 dove è stato latitante per un decennio.

OGGI LA STORIA si ripete. L’Emiro dei talebani Akhunzadah, il vero capo del movimento, dirige anche una manciata di moschee e di scuole coraniche in Pakistan. Il Mullah Baradar venne arrestato nel 2010 in Pakistan e nel 2018 sono stati proprio gli americani a richiederne ufficialmente la scarcerazione. Era con lui che volevano trattare.

Dopo otto anni di training Baradar ha imparato la lezione: se fai il bravo con Washington, a casa tua puoi comportarti come ti pare. Altro che esportazione della democrazia. Basta vedere i sauditi, una monarchia assoluta totale, che non lascia uscire di casa le donne, le quali non possono viaggiare senza il consenso del marito – sempre ovviamente velate dalla testa ai piedi – ma siccome sono i migliori clienti di armi americane e sostengono il complesso militare-industriale Usa possono fare quello che vogliono.

Noi alle monarchie assolute del Golfo non andiamo mai a chiedere conto dei diritti umani, di quelli delle donne o delle minoranze, lasciamo che mettano in galera giornalisti e oppositori senza fare una piega perché ci pagano profumatamente. Siamo degli ipocriti senza vergogna: capaci persino, come ha fatto quel Renzi, di lodare Mohammed bin Salman, il principe saudita che ha fatto torturare e tagliare a pezzi il giornalista Jamal Khashoggi, colpevole di averlo criticato sui giornali.

I nostri amici arabi sono come i talebani ma noi stiamo zitti e muti perché ci pagano. Anzi siccome sono anche nel G-20, come l’Arabia saudita, Draghi ha detto che chiederà loro consiglio su come fare pressione sui talebani. Sembra una parodia: domandiamo a dei truculenti oscurantisti di diventare i paladini dei diritti delle donne e della libertà di opinione.

QUINDI OGGI non ci deve fare troppo schifo anche il Mullah Baradar. È stato lui a firmare gli accordi Doha e a stringere la mano davanti alle telecamere al segretario di stato Mike Pompeo. Sia l’Emiro Akunzadah che il suo vice Baradar da giovani sono stati combattenti anti-sovietici. Akunzadah tra l’altro è cognato del Mullah Omar e nel suo staff lavora anche Yakoob, il figlio del Mullah fondatore dei talebani, deceduto qualche anno fa – guarda caso – in un ospedale pakistano a Karachi. Insomma questa è anche una foto di famiglia, della loro come della nostra. Se Baradar e il suo capo fanno i bravi ragazzi, impantanando cinesi, russi e iraniani in Afghanistan, riapriremo le ambasciate a Kabul con la scusa che dobbiamo proteggere i diritti umani e delle donne. In fondo «siamo» tutti talebani.

Nessuna lezione dalla catastrofe afghana

Guerra. Il “Washington Post”: «I presidenti Usa e i leader militari hanno fuorviato deliberatamente il pubblico sulla più lunga guerra americana, condotta in Afghanistan per 20 anni».Manlio Dinucci 20.08.2021

Nel discorso del 16 agosto alla Casa Bianca, il presidente Biden ha fatto una lapidaria dichiarazione: «La nostra missione in Afghanistan non ha mai avuto come scopo la costruzione di una nazione, non ha mai avuto come scopo la creazione di una democrazia unificata e centralizzata».

UNA PIETRA TOMBALE, messa dallo stesso presidente degli Stati uniti, sulla narrazione ufficiale che ha accompagnato per vent’anni la «missione in Afghanistan», in cui anche l’Italia ha speso vite umane e denaro pubblico per miliardi di euro. «Il nostro unico interesse nazionale vitale in Afghanistan rimane oggi quello che è sempre stato: prevenire un attacco terroristico alla patria americana», spiega Biden. Ma sulle sue parole getta ombra il Washington Post che, volendo svuotare il proprio armadio dagli scheletri delle fake news diffuse per vent’anni, titola: «I presidenti degli Stati Uniti e i leader militari hanno deliberatamente fuorviato il pubblico sulla più lunga guerra americana, condotta in Afghanistan per due decenni».

Il pubblico è stato «deliberatamente fuorviato» da quando, nell’ottobre 2001, gli Stati uniti, affiancati dalla Gran Bretagna, attaccavano e invadevano l’Afghanistan con la motivazione di dare la caccia a Osama bin Laden, perseguito come mandante dell’attacco terroristico dell’11 settembre (la cui versione ufficiale faceva acqua da tutte le parti).

Reale scopo della guerra era l’occupazione di questo territorio di primaria importanza geostrategica, confinante con le tre repubbliche centrasiatiche ex sovietiche (Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan), l’Iran, il Pakistan e la Cina (la regione autonoma Xinjiang Uygur). Vi erano già in questo periodo forti segnali di un riavvicinamento tra Cina e Russia: il 17 luglio 2001, i presidenti Jang Zemin e Vladimir Putin avevano firmato il «Trattato di buon vicinato e amichevole cooperazione», definito una «pietra miliare» nelle relazioni tra i due paesi.

WASHINGTON CONSIDERAVA la nascente alleanza tra Cina e Russia una minaccia agli interessi statunitensi in Asia, nel momento critico in cui gli Stati uniti cercavano di occupare, prima di altri, il vuoto che la disgregazione dell’Unione sovietica aveva lasciato in Asia Centrale. «Esiste la possibilità che emerga in Asia un rivale militare con una formidabile base di risorse», avvertiva allora il Pentagono in un rapporto del 30 settembre 2001.

Quale fosse la reale posta in gioco lo dimostrava il fatto che, nell’agosto 2003, la Nato sotto comando Usa assumeva con un colpo di mano «il ruolo di leadership dell’Isaf», la «Forza internazionale di assistenza alla sicurezza» creata dalle Nazioni Unite nel dicembre 2001, senza che in quel momento avesse alcuna autorizzazione a farlo. Da quel momento oltre 50 paesi, membri e partner della Nato, partecipavano sotto comando Usa alla guerra in Afghanistan.

IL BILANCIO POLITICO-MILITARE di questa guerra, che ha versato fiumi di sangue e bruciato enormi risorse, è catastrofico: centinaia di migliaia di morti tra i civili, provocati dalle operazioni belliche, più un numero inquantificabile di «morti indirette» per povertà e malattie causate dalla guerra.

Solo gli Stati uniti – documenta il New York Times – vi hanno speso oltre 2.500 miliardi di dollari. Per addestrare e armare 300 mila soldati governativi, sbandatisi in pochi giorni di fronte all’avanzata talebana, sono stati spesi dagli Usa circa 90 miliardi. Circa 55 miliardi per la «ricostruzione» sono stati in gran parte sprecati a causa della corruzione e inefficienza, Oltre 10 miliardi di dollari, investiti in operazioni anti-droga, hanno avuto come risultato che la superficie coltivata ad oppio è quadruplicata, tanto che l’Afghanistan fornisce oggi l’80% dell’oppio prodotto illegalmente nel mondo.

Emblematica è la storia di Ashraf Ghani, il presidente fuggito in un esilio dorato. Formatosi all’Università Americana a Beirut, faceva carriera alle università Columbia, Berkeley, Harvard e Johns Hopkins negli Usa e alla Banca Mondiale a Washington. Nel 2004, in veste di ministro delle finanze, otteneva dai paesi «donatori», tra cui l’Italia, un «pacchetto di assistenza» di 27,5 miliardi di dollari.

NEL 2014, IN UN PAESE in guerra sotto occupazione Usa/Nato, veniva nominato presidente ufficialmente col 55% dei voti. Nel 2015 il presidente Mattarella lo riceveva con tutti gli onori al Quirinale, insieme alla ministra della Difesa Pinotti che lo aveva incontrato un anno prima a Kabul.

Questa catastrofica esperienza si aggiunge a quelle che l’Italia ha già vissuto per aver partecipato, violando la propria Costituzione, alle guerre Nato dai Balcani al Medioriente e al Nordafrica. Nessuna lezione ne viene però tratta dalle forze politiche che siedono in parlamento. Mentre a Washington lo stesso Presidente demolisce il castello di menzogne sugli «alti scopi umanitari», con cui è stata motivata la partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan, a Roma, come nel romanzo 1984 di Orwell, si cancella la storia.

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