USA, DEMOCRAZIA AL BUIO: L’ITALIA NON SEGUA TRUMP da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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USA, DEMOCRAZIA AL BUIO: L’ITALIA NON SEGUA TRUMP da IL FATTO

Usa, democrazia al buio: l’Italia non segua Trump

 Massimo Villone  18 Aprile 2025

Sotto il logo in rete del Washington Post, importante voce liberal anche dopo la cura Bezos, compare la scritta: “Democracy Dies in Darkness” (La democrazia muore nell’oscurità). Parole che si spiegano da sole. È dal 2017 un messaggio del giornale su quanto accade negli Stati Uniti.

Lunedì 14 il presidente dell’Università ha trasmesso alla Harvard Community (di cui fanno parte gli ex-studenti, come io sono) una inaccettabile lettera dell’amministrazione Trump volta a mettere sotto tutela l’università in cambio del mantenimento di fondi federali (circa nove miliardi di dollari). Supervisione e condizioni dell’esecutivo su assunzioni di docenti, ammissioni degli studenti con specifica attenzione agli stranieri, politica della ricerca e dell’insegnamento, libertà di espressione di docenti e studenti, autogoverno, regime disciplinare, polizia del campus. E non solo. Il testo a fronte inglese-italiano della lettera è sulla mia pagina Facebook. La mossa viola diritti costituzionali e prassi secolari, a partire dal free speech. Si vuole che Harvard si allinei alle politiche trumpiane. Lunedì l’esecutivo già congela 2.2 miliardi di dollari. Sul suo social Trump scrive mercoledì che “Harvard is a JOKE, teaches Hate and Stupidity, and should no longer receive Federal Funds”. Scherzo, odio, stupidità. L’Università ha le spalle larghe, e risponde con fermezza. Molte realtà minori hanno ceduto e cederanno. L’oscurità avanza.

Harvard punterà alla Corte suprema. Ma cosa accadrà con la maggioranza trumpiana di 6 a 3? In Students for Fair Admissions v. Harvard (2023) la Corte ha censurato le affirmative actions di Harvard e della North Carolina University volte a favorire l’ammissione di studenti appartenenti a minoranze razziali. Ha abbandonato precedenti pluridecennali (ad esempio, Grutter v. Bollinger, 2003) che, sia pure con limiti, le consentivano. È fondamento di una delle pretese di Trump. La strategia di attacco dell’esecutivo è inondare la Corte suprema di richieste di provvedimenti di urgenza, adottati con modalità semplificate (shadow docket). Un argomentato dissent di Justice Sotomayor in Trump v. J.G.G. (7 aprile 2025) critica duramente il via libera dato dall’opinione di maggioranza. Il ricorso all’emergenza consente alla Corte di limitarsi a pronunce sulle procedure, che non affrontano i profili costituzionali e lasciano – almeno per ora – campo libero al governo. Mentre l’esecutivo omette di eseguire ordinanze dei giudici, e si avvicina la possibilità che funzionari dell’amministrazione siano portati in giudizio per “disprezzo della Corte” (New York Times, 16 aprile).

La democrazia scivola nell’oscurità verso l’autocrazia quando separazione dei poteri e sistema di checks and balances si indeboliscono. A una Corte suprema a scartamento ridotto si aggiunge un Congresso inerte, pur essendo in principio titolare del “potere della borsa” e del commercio con l’estero, dazi inclusi (lo rileva, annunciando il suo attacco a Trump, la California). Così i due contropoteri costituzionali dell’esecutivo vengono meno. L’insider trading è già dimenticato nel dibattito pubblico. Trump dilaga, e trova freno solo nei dubbi e nelle paure del fronte interno. L’intervista di Cannavò a Shawn Fain su queste pagine ci fa capire quanto sia complessa la partita. Sull’obiettivo di reindustrializzare gli Stati Uniti la valutazione tecnica è largamente negativa, e l’opinione pubblica rimane diffidente. Anche per questo serve una mordacchia governativa alle grandi università, luogo primario di formazione sia del sapere tecnico che del consenso.

Una lezione per l’Italia. Una crisi simile a quella in atto in Usa viene dalle innovazioni proposte dalla destra. È l’esito della riforma della giustizia e del premierato, anche nella forma “premierato di fatto” attraverso la sola legge elettorale e senza una superflua revisione costituzionale. Bastano le maggioranze blindate con il premier, che asserviscono il Parlamento e portano con sé un peso decisivo sull’elezione del Presidente della Repubblica, sulla composizione della Corte costituzionale, sulla componente laica del (dei) Csm, sulle scelte per le Autorità indipendenti. Il trumpismo in action suggerisce che l’oscurità può avanzare anche per noi. In parte, è già accaduto.

Quanto a Meloni, al momento Washington respinge l’ipotesi zero dazi. Il Washington Post e il Wall Street Journal (16 aprile) la definiscono “Trump’s Europe whisperer”, e il “sussurrare all’orecchio” è forse misura non benevola del peso politico e del metodo. La stampa americana sottolinea che l’Europa non è una priorità per Trump, volto a isolare la Cina. La trasferta è difficile e pericolosa. Ma Meloni approfitti comunque della vacanza. Sempre meglio dell’allarme giallo per maltempo coalizione che mai manca a Palazzo Chigi.

Le università Usa sono ricattate: ma non solo dal presidente Trump

Daniele Luttazzi  19 Aprile 2025

Trump ha imposto dazi per far pagare al mondo il mostruoso debito pubblico Usa. Un pizzo di cui si bulla pure, facendo il verso ai creditori che protestano: t.ly/9kckF. Cose che succedono quando hai un pene piccolo e le atomiche. Ora ricatta le università: niente fondi federali se non casseranno i corsi di studio woke. Inoltre dovranno togliere diversità e inclusione dalle pratiche di ammissione e di assunzione; e dare alle autorità i nomi di chi ha partecipato alle proteste contro Israele (per Trump sono tutti antisemiti, anche se ebrei). Harvard si è opposta al maccartismo trumpista e adirà le vie legali. Ma la vicenda non è senza contraddizioni rilevanti:

1) Alan Garber, il rettore di Harvard, difende l’autonomia universitaria scrivendo “Nessun governo dovrebbe dettare cosa le università private possono insegnare, chi possono ammettere e assumere, e quali aree di studio e ricerca possono perseguire”; come se invece al governo fosse lecito intromettersi nell’autonomia delle università statali! (Uno studente: “Garber difende l’autonomia come Bezos difende la concorrenza”).

2) Le università private sono aziende (bilancio di Harvard: 52 miliardi di dollari) che considerano libertà accademica e sapere non un bene in sé, ma investimenti di un’impresa: devono garantire un ritorno sotto forma di innovazioni scientifiche e/o di capitale simbolico (il prestigio dell’istituzione). Il dissenso informato non è incluso fra i successi dell’insegnamento. (Seminario su Kant: “L’imperativo categorico vale solo se non disturba il potere”).

3) I paperoni che sovvenzionano le università private le ricattano come sta facendo Trump. Ne è un esempio Bill Ackman, gestore del fondo Pershing Square, uno di quei miliardari che pensano: “Sai cosa manca a questo mondo? Più me”. Ackman ritiene obiettivo dell’insegnamento universitario non la trasmissione del sapere, ma “la distribuzione del privilegio” (tinyurl.com/4uf2p2v3). Ackman (“Non dobbiamo punire gli studenti per le loro idee, ma per le loro facce da poveri”) ha chiesto a Harvard di rendere noti i nomi degli studenti che firmarono una lettera di protesta contro Israele, affinché lui e altri Ceo possano evitare di assumerli. (Uno studente: “Durante un dibattito ho detto ‘Palestina libera!’. Mi è comparsa una notifica sul cellulare: ‘Il tuo stage a Goldman Sachs è stato riassegnato al tuo criceto’”). Ackman, che partecipò a un incontro tra leader israeliani e imprenditori Usa per discutere su come influenzare la narrazione pubblica a favore di Israele, sollecitò l’università a intraprendere azioni disciplinari contro gli studenti pro-Pal, accusandoli di antisemitismo e di violazione del codice di condotta: oplà, Garber l’anno scorso ha negato il diploma ad alcuni studenti che avevano partecipato alle proteste per la Palestina. (Uno studente: “Durante un sit-in ho visto Garber avvicinarsi commosso. Pensavo ci sostenesse, invece ci ha chiesto di spostarci: stavamo bloccando il parcheggio del Ceo di Raytheon”). Ackman inoltre invitò altri miliardari a sospendere le loro donazioni alle università che, a suo avviso, non affrontavano l’antisemitismo nei campus. (Uno studente: “A un corso di filosofia politica ho chiesto perché non parlassimo mai di Palestina. Il prof ha risposto: ‘Perché io ho un mutuo’”). Insomma: le università private che si oppongono giustamente ai ricatti di Trump non protestano mai contro i ricatti dei Gordon Gekko: “Lo dico per te, Garber. Vuoi rovinarti il CV?” Ma così l’università non è più un luogo dove si impara a pensare: è un posto dove si impara a non fare incazzare chi scrive gli assegni. Perché niente dice “sapere critico” come un hedge fund. I valori dell’indipendenza? Quelli del Nasdaq. I voti ai prossimi esami li darà direttamente Standard & Poor’s? A quando un master in ipocrisia?

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