Caro prof
di Penny*, da “Comune-info“, 31 gennaio 2018
Caro prof, vorrei dirle che ha ragione. I ragazzi oggi non sanno cosa vogliono. Non sanno chi sono e non conoscono la fatica. Sono presuntuosi, a volte, e si spaventano. Magari perdono i capelli, non mangiano, si tagliano un po’, fumano, e si vestono alla moda per sentirsi come gli altri, o si fanno i capelli blu per riconoscersi tra gli altri. Alcuni si asciugano fino a scomparire.
Caro prof, ha ragione, ma sa, a volte, ho paura. Una paura folle di non essere capace quando mia figlia si frantuma di fronte a un brutto voto, quando non crede in sé e cerca scorciatoie, oppure si ferma e dice che il mondo non lo capisce.Lei è così certo, che saprebbe cosa fare? Perché a me non serve sentire che non sono capace, che dovrei essere più autorevole, vorrei una mano in pasta. Un “noi”. Una presa di responsabilità. Troppo facile scaricarsi le colpe.
Caro prof, venire ai colloqui, certe volte, è una grande umiliazione. Aspetto la condanna. Perché c’è sempre. Almeno che la mia ragazza non sia una dei “bravi bravissimi”, ma quelli, come dite voi, si contano sulla punta delle dita. E so che non ho coltelli dalla parte del manico. So che posso solo affidarmi e fidarmi a lei. Che è una speranza.
Volevo dirle, caro prof, che non difendo mio figlio e me stessa, forse, a volte sì, e sbaglio, ma, cerco di difendere il suo diritto a essere compreso.
Perché sa prof, un ragazzo non è solo le pagine che studia ma è la storia che porta e, a volte, rimane nascosta sotto la sedia, come fosse un granello di polvere. E, a volte, alcune frasi, buttate lì, come giudizi definitivi, non si possono sentire.
Caro prof, la vita di un genitore è un gran casino. Il lavoro. La precarietà. Certo, non sono giustificazioni. Certo, dovremmo imporci, pretendere, riprenderci il nostro ruolo. Ma se non funziona? Quando non funziona, come si fa? Quando i figli non sono mai primi, quando non ce la fanno, quando lo studio è una fatica e ci sono dalle preoccupazioni, come si fa? Perché io non lo so più.
Caro prof, la scuola non può far tutto, e so che molti di voi dedicano tempo e attenzione ai ragazzi e so che il vostro lavoro è prezioso. Per questo scrivo. Forse non sapete che una vostra parola può fare molto. Distruggere o costruire. Un ragazzo non ha solo bisogno di sedersi ad un banco, in una classe dai muri spogli che cadono a pezzi (un orizzonte fatiscente per cinque anni davanti agli occhi) e ascoltare quello che avete da dirgli. Il sapere è di più, e siete voi che dovreste farglielo capire. Sono ragazzi che non si interessano, dite spesso, non conoscono la storia, la geografia, la letteratura. In cinque anni di superiori quante volte vanno a visitare un museo, assistono a spettacoli teatrali, escono da quei quattro muri che è la loro classe? Ascoltano scrittori? Quante volte toccano con mano le varie forme d’arte? Non ci sono le risorse, mi direte. Avete ragione. La scuola non è la priorità di nessuno. Si vede. Ci tocca sperare in professori illuminati. Che appassionino, perché diciamoci la verità, se noi giustifichiamo i nostri figli voi poche volte sapete coinvolgerli. E tirare dentro, dalla vostra parte, noi e loro. Siate sinceri, spesso, i programmi sono gli stessi dalla notte dei tempi e voi pure. E quando le verifiche sono file di tre e quattro non è mai colpa vostra. A me hanno insegnato che più agenti sono corresponsabili dei percorsi quando le cose non funzionano. Quindi, almeno, dividiamocela fifty fifty questa responsabilità. Siete stanchi degli stipendi bassi bassissimi, delle pareti spoglie, dai buchi da coprire, credete che non lo sappiamo? Che non sappiamo quale fatica sia fare bene il proprio mestiere quando mancano i soldi per la carta igienica, per la formazione, per pensare “in grande”?
Ma cari prof, noi abbiamo bisogno di voi. Di parole buone. Di sentirci insieme. Che i nostri figli siano piante di cui prendersi cura e non da affossare. Che ci sia lo spazio per chiedergli: come stai? Per quel sentire che esiste e non finisce solo perché stanno crescendo. Di quelle parole che li fanno essere protagonisti e li chiamano dentro:coraggio, ce la farai.Mia figlia è arrivata a casa. Tema di italiano: quattro. Ma, insieme a quel quattro c’erano alcune righe di spiegazione che concludevano con: “Non mollare. Continua a scrivere. Vedrai che riuscirai”. Inutile starvi a raccontare come è finita la storia. Il suo interesse per la materia ha preso una bella impennata. Il quattro in pagella è diventato sette. È stata acchiappata. Recuperata. Salvata dall’ignoranza. È successo, e sono bastate un paio di parole. Voi ne siete portatori, vostro è il potere.
Caro prof, ha ragione, ci sono tante cose per cui genitori siamo mancanti e, a volte, non se ne può davvero più di noi. Ma ogni ragazzo perso, ogni ragazzo che ignora, ogni ragazzo che rinuncia, un po’ è anche colpa vostra e dello Stato che non vi sostiene. Voi dovreste essere la nostra speranza. I nostri generatori di fiducia, slancio in avanti, desiderio di conoscenza. Voi con noi. Non contro. Per i nostri ragazzi. Che dovrebbero anche un po’ vostri.
Caro prof, non chiamatevi fuori, portataci dentro, in quel mondo che costruisce il futuro, in divenire. A cui dobbiamo insieme mettere mano.
Caro prof, non smetta mai di chiedersi chi sono i nostri ragazzi, e guardarli con occhi giusti, per quanto riguarda le responsabilità, che ne dice, facciamo fitfy fitfy? Io ci sto.
* Insegnante e madre di due ragazze adolescenti. Sul suo blog sosdonne.com dice di scrivere “per necessità” e che la sua ragazza quindicenne fa i disegni (davvero belli, come quello in apertura di questo articolo).
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