Un osservatorio del Sud
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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Un osservatorio del Sud

Care amiche e cari amici,

come vi è noto  le condizioni del nostro Mezzogiorno e soprattutto delle fasce più povere della popolazione, sono, negli ultimi anni, gravemente peggiorate. Una situazione che tuttavia non allarma come dovrebbe il mondo politico e giornalistico. Ci sono regioni come la Calabria dove l’inadeguatezza dei governanti locali mostra una inerzia di iniziativa impressionante. Ma è da anni che il Sud è scomparso dall’agenda politica nazionale, senza tuttavia che ci sia reazione né nella società civile, né tra le forze intellettuali.

Per questo ho pensato  che non era più possibile “stare a guardare” e ho steso il documento che vi invio, In breve, si tratta di questo. Grazie all’impegno di Gianni Speranza, già sindaco di Lamezia per due mandati, e di altri amici lametini che ci offrono una sobria ospitalità,dovremmo incontraci per una giornata a discutere delle condizioni attuali del Mezzogiorno, tentando di elaborare qualche dignitosa proposta da offrire al dibattito pubblico e alle forze politiche e parlamentari.

Preciso che ho steso il documento che vedrete e preso questa iniziativa, per passione politica e responsabilità civile. Non mi candido a nulla, anche perché sono impegnato in altre imprese e non sarebbe serio abbandonarle. Spero che altri e soprattutto i tanti giovani consapevoli si facciano avanti.

L’iniziativa dovrebbe svolgersi dunque a Lamezia Terme verso la fine di novembre.

Un caro saluto,

Piero Bevilacqua

***

Per una giornata di analisi e discussioni sul Mezzogiorno italiano

1. C’è una ragione preliminare che ci spinge a chiamare a raccolta intellettuali, operatori culturali, uomini e donne di studio per discutere intorno al Mezzogiorno dei nostri giorni. Ed è una ragione innanzi tutto culturale, resa tuttavia urgente dal dramma sociale, dalla disperazione in cui si dibatte oggi una parte non piccola delle popolazioni meridionali. Forse mai, in tutta la nostra storia unitaria, il Sud aveva goduto di così poca rappresentanza e di una rappresentazione così monca e superficiale della sua realtà.

A rivendicarne le ragioni, con un certo attivismo politico, sono oggi gruppi culturalmente improvvisati, mossi da tardivi risentimenti neoborbonici, che incarnano lo stampo rovesciato del populismo leghista. Mentre la rappresentazione pubblica di questa vasta parte del Paese è affidata a un sistema mediatico culturalmente scadente, dominato da uno approccio propagandistico alla realtà, che è quello dei partiti politici. Sono infatti i partiti politici, i cui discorsi e le cui retoriche dominano i mezzi di comunicazione di massa, a imporre le categorie e gli stereotipi con cui il Mezzogiorno entra nell’immaginario nazionale. Non sono certo le indagini scientifiche degli studiosi, che pure non mancano, a diventare rappresentazioni pubbliche e oggetto di dibattito politico. Ci troviamo infatti di fronte alla più grave trasformazione e degenerazione della vita pubblica nazionale degli ultimi 70 anni.

Quelli che erano stati i grandi partiti popolari, gli “organizzatori della volontà collettiva”, come li chiamava Gramsci, i produttori di indagine e di cultura sociale finalizzati alla modernizzazione del Paese, si sono trasformati in raggruppamenti di comitati elettorali. I partiti si sono dissolti in ceto politico, un corpo frantumato e dominato dall’individualismo competitivo, che opera al fine sempre più esclusivo e assorbente della vittoria elettorale. Vale a dire l’ingresso alla gestione del potere. A tale scopo, che non è quello della trasformazione del Paese secondo i suoi emergenti bisogni collettivi, l’indagine sociale e la conoscenza non servono. Servono i sondaggi e l’analisi delle tendenze elettorali, per potere assecondare gli umori prevalenti, oltre che gli interessi dominanti, che si impongono nella congiuntura data. L’intera vita nazionale diventa così un susseguirsi di congiunture, tutta la storia che si fa sotto i nostri occhi è vissuta come una emergenza da ricorrere con la propaganda. In questo modo la politica, una delle grandi conquiste della modernità, lo strumento per cambiare la società e governare la complessità a scala sempre più vasta, è sequestrata da un ceto ossessionato dalle ragioni della propria sopravvivenza, assorbito da una campagna elettorale permanente. La politica è interamente assorbita nella sfera della pubblicità.

2. Sarebbe sbagliato oggi presentare la situazione del nostro Sud come l’eterna “questione meridionale”. Il Mezzogiorno non è un blocco di indistinta miseria, dominato dalla mafia, come spesso viene rappresentato. E’ costituito da una moderna stratificazione sociale, che vede all’opera le classi abbienti, i ceti medi, i poveri e i poverissimi. Esso è un pezzo dell’Italia dove gli stessi problemi che affliggono il Paese si presentano ingigantiti: disoccupazione, deindustralizzazione, impoverimento dei ceti popolari, criminalità, disgregazione del territorio. E tuttavia esiste una “questione Sud”. Essa non consiste solo nella ristrettezza storica della sua base produttiva. È data anche dalla scadente qualità dei servizi pubblici, vale a dire da ciò che lo Stato dovrebbe garantire con criteri omogenei e paritari. Tutto nel Mezzogiorno, per risorse e per standard, è di qualità inferiore rispetto al resto del Paese: la sanità, la scuola, gli asili nido, l’università, i trasporti, l’assistenza agli anziani, i servizi idrici. Quest’area del paese mostra come le politiche neoliberistiche creano non solo disuguaglianze economiche tra le classi, ma anche tra i territori, nella qualità del welfare, nei diritti di cittadinanza fondamentali.

E tuttavia il Sud non è solo arretratezza e stagnazione. Nel suo territorio sono attivi imprenditori dinamici, università qualificate, istituti di ricerca, centri culturali e artistici di prim’ordine, una gioventù studiosa che aspira a essere valorizzata e ad operare utilmente per il proprio Paese. Esso reclama perciò non gli “interventi straordinari” del passato e neppure avanza la richiesta di “rendere libero” il mercato. Ha piuttosto bisogno di un progetto politico e sociale che valorizzi i soggetti locali all’interno dei singoli luoghi, con investimenti pubblici non assistenziali. Il Sud, in virtù del suo clima, della sua biodiversità agricola, della ricchezza impareggiabile della sua tradizione alimentare, può rilanciare le sue economie valorizzando il proprio territorio, le sue culture e il proprio paesaggio in maniera originale. Esso può offrire lavoro alle sue popolazioni tramite la rigenerazione urbana, la cura del territorio, i servizi avanzati della ricerca, dell’arte, del turismo e con la manifattura artigianale e industriale del suoi beni agricoli.Senza dire che migliorare la sua attrattività civile ed estetica richiama economie e investimenti.

3. Ma tali rivendicazioni hanno oggi bisogno di una nuova visione e di nuovo linguaggio. Occorre rammentarsi che lo sviluppo economico deve oggi tener conto dei limiti ambientali del pianeta. E allora occorrerà abbandonare le invocazioni della crescita per la crescita, della produttività fine a sé stessa, della competizione come gara nel lavoro e nella produzione e incominciare a dare spazio a nuove parole, che guardino alla qualità dei beni e della vita: ai termini benessere e felicità collettiva, all’economia dei luoghi e della conoscenza, alla cooperazione, alla condivisione, al tempo liberato, alla creatività, alla cura del territorio e della natura come beni comuni e nostra casa. Ricordiamoci che viviamo entro società opulente e che solo l’abissale iniquità con cui è distribuita la ricchezza ci costringe a vivere come se fossimo agli esordi della rivoluzione industriale.

Dunque il nostro primo compito è tentare di fornire una immagine non stereotipata delle condizioni del Sud oggi. Il secondo è di proporre una qualche indicazione di prospettiva, rispondente ai bisogni reali delle nostre popolazioni, che si faccia largo nella vita pubblica e che influenzi e condizioni positivamente le forze politiche. Se oggi queste ultime non sono più “intellettuali collettivi”, in grado di produrre progettualità sociale e visione di lunga lena, occorrerà attrezzare delle “forze terze”, in grado di farsi ascoltare, di incidere nel dibattito pubblico e nella dinamica politica, di influenzare le scelte di governo.

Per realizzare tale ultimo fine è ovvio che non può bastare una giornata di discussione tra studiosi e uomini di cultura. Occorrerebbe l’ardimento di pensare a uno strumento istituzionale leggero, ma stabile, una sorta di Osservatorio del Sud, che costantemente rappresenti, in termini analitici e culturali le ragioni di questa parte d’Italia, ma senza mai perdere di vista le ragioni dell’intero Paese. Io penserei a un comitato rappresentativo delle varie forze e raggruppamenti culturali che oggi operano nel Mezzogiorno, dunque democratico e pluralistico, in grado di far sentire la propria voce autorevole e di farsi opinione pubblica generale.

p.s. A scanso di ogni equivoco si precisa che la proposta dell’Osservatorio non si configura come l’ennesima formazione politica, magari a sinistra della sinistra. Di formazioni politiche ce ne sono già tante. Dovrebbe costituire uno strumento di servizio culturale a chi nelle istituzioni, nei partiti, nei sindacati può e vuole agire a vantaggio del Mezzogiorno e dell’intero Paese.

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