TACCIANO LE ARMI. QUATTRO STRADE PER LA PACE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
19872
post-template-default,single,single-post,postid-19872,single-format-standard,cookies-not-set,stockholm-core-2.4.5,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.12,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-7.9,vc_responsive

TACCIANO LE ARMI. QUATTRO STRADE PER LA PACE da IL MANIFESTO

Tacciano le armi. Quattro strade per la pace

Il tempo è ora Non si può più attendere. Occorre una risposta complessiva, coraggiosa, adeguata al momento

Sergio Bassoli*  04/05/2025

Con la rottura della tregua, faticosamente raggiunta, il governo israeliano ha, ancora una volta, scelto la strada della punizione collettiva, della violenza cieca e della vendetta nei confronti della popolazione civile palestinese. Dal 18 marzo scorso a Gaza è in vigore un blocco totale, a cui fanno seguito gli avvisi, quindici minuti, per fuggire dall’imminente bombardamento. Le immagini ed i racconti che arrivano sono raccapriccianti, intere famiglie distrutte, neonati e bambini sepolti sotto le macerie, minori abbandonati, senza più genitori, in lacrime, con gli occhi nel vuoto e, spesso, mutilati senza più braccia o gambe. Malati, in fuga dalle bombe, trasportati dai familiari su barelle improvvisate. Esecuzioni di personale sanitario impegnato a soccorrere feriti e malati. Non c’è più scampo per nessuno, sanitari, giornalisti, operatori umanitari.

Cosa centra il diritto di difesa di fronte a ciò che sta accadendo a Gaza? Se l’obiettivo è portare a casa gli ostaggi, la soluzione non è bombardare a tappeto per mesi e mesi una striscia di terra, ammazzando decine di migliaia di vite umane e distruggendo tutto ciò che si incontra sulla propria strada, ostaggi compresi. Se, invece, l’obiettivo è di opportunità politica, approfittare dell’occasione offerta dall’attacco terroristico di Hamas, per avere tutta la Palestina originale, facendola finita con i palestinesi, prima a Gaza e poi in Cisgiordania, siamo di fronte ad una politica di pulizia etnica.

In entrambi i casi, la gravità non cambia, Israele va fermato, per i crimini che sta compiendo e per distruggere ogni possibilità di giungere ad una pace giusta con i palestinesi.

Non è in discussione il diritto d’Israele di esistere e di difendersi, che deve rimanere un punto fermo, tanto quanto il diritto inalienabile del popolo palestinese di avere un proprio stato. Negare uno di questi due principi, non riconoscere le due ragioni, è avvelenare il pozzo della pace. È la causa di tutti i mali e dei crimini che da decenni stanno distruggendo entrambe le popolazioni e destabilizzando l’intera regione.

I governi israeliani guidati dal Likud e dall’attuale premier hanno negato e non riconoscono i diritti del popolo palestinese. Il processo di pace è fermo da anni. Gli Accordi di Oslo hanno una mera funzione amministrativa, oramai funzionali ad uno status quo che consente l’occupazione e l’espansione delle colonie ebraiche nel territorio palestinese.

Impossibile non vedere questa realtà. Irresponsabile lasciar fare. Ipocrita rinviare misure che fermino questa deriva criminale e di delegittimazione delle norme internazionali. Cos’altro deve succedere per fermare la violenza, l’odio e le ingiustizie che tutto travolgono?

Il tempo è ora. Non si può più attendere. Occorre una risposta complessiva, coraggiosa, adeguata al momento. Quattro piste di lavoro, tutte prioritarie ed interconnesse. La prima: far tacere le armi e subito. Garantire assistenza alla popolazione palestinese di Gaza, liberazione di ostaggi e prigionieri. Attivando tutti gli strumenti che la comunità internazionale ha a sua disposizione: sospendere la cooperazione militare e la fornitura di armi, sospendere gli accordi economici e commerciali in base alle condizioni previste nei trattati sottoscritti tra Israele e l’Unione europea.

Applicando il diritto internazionale e le sentenze delle corti internazionali. La seconda: convocare una conferenza di pace sotto l’egida delle Nazioni unite, a cui tutte le parti in causa ed i rispettivi alleati dovranno essere presenti, per il pieno riconoscimento dello stato di Palestina (al fianco dello stato d’Israele). Offrendo a tutte le parti in causa, una via d’uscita fondata sulle Risoluzioni Onu e sul diritto internazionale, togliendolo voce alle armi ed alla violenza.

Il riconoscimento dello Stato di Palestina, non può essere considerato, come alcuni ancora sostengono, il risultato del processo di pace, ma è la condizione, essenziale e prioritaria, per costruire la pace giusta e duratura. L’Occidente deve togliersi il velo dell’ipocrisia che da decenni si porta addosso, dichiarando sostegno alla soluzione «due stati per due popoli» e poi, riconoscere solamente lo stato d’Israele, lasciando il popolo palestinese sotto occupazione ed oggetto di una politica di discriminazione, di violenze quotidiane, di occupazione, di espulsione che è alla base dell’autoritarismo, dell’ingovernabilità e dell’insicurezza di tutta la regione, compreso lo stesso stato d’Israele.

La terza: sostenere la società civile palestinese ed israeliana nel complicato lavoro di riconciliazione, fiducia, rispetto partendo dalle posizioni delle associazioni dei familiari delle vittime che «il vero nemico è chi vuole la guerra e chi non riconosce i diritti e le ragioni dell’altro». Va rotto il muro della condanna e della minaccia a chi pratica il dialogo e costruisce ponti tra le due comunità. L’esempio ci arriva dal percorso intrapreso da un ampio cartello di associazioni israeliane e miste che il prossimo 8 e 9 maggio ripeteranno a Gerusalemme, la manifestazione realizzata il luglio scorso a Tel Aviv, con lo slogan “Il Tempo è Ora”. Come pure faranno il 29 maggio, nella giornata per la memoria delle vittime, le due organizzazioni storiche miste, Combatants for Peace ed il Parents Circle Family Forum,sempre a Gerusalemme.

La quarta è un impegno collettivo, di costruire il sostegno al processo di pace giusta, in Italia, in Europa e nel resto del mondo, coinvolgendo le diaspore, ebraica e palestinese, per un grande movimento internazionale contro la violenza, la guerra, schierato apertamente contro le nuove forme di colonialismo e di oppressione. La convivenza tra tutti e tra tutte è possibile in Italia, in Europa e nel mondo, è quindi possibile anche in Palestina, in Israele e nel Medio Oriente. Sta a noi costruirla. Il tempo è ora.

*Area Internazionale Cgil – Rete italiana Pace e Disarmo

Privatizzare la fame di Gaza, Israele verso l’intesa con gli Usa

Palestina Il piano pronto per fine mese, insieme all’«espansione» delle operazioni militari israeliane

Eliana Riva  04/05/2025

Israele è vicino a un’intesa con gli Stati uniti sulla creazione di un meccanismo di distribuzione degli aiuti a Gaza totalmente controllato da Tel Aviv. Lo rivela l’agenzia Axios, citando due fonti israeliane e una americana. Il progetto coinvolgerebbe una fondazione internazionale e diverse società private. Il Times of Israel fa sapere che anche se il governo non ha ancora approvato, l’apparato della sicurezza e i consiglieri del premier Netanyahu sostengono favorevolmente il piano.

Che sarebbe quello di consentire l’ingresso di «scatole di cibo». Una per ogni famiglia di Gaza. Il rappresentante designato da Israele dovrà recarsi il giorno e l’ora stabiliti a ritirare la razione, che dovrebbe durare per una settimana. Sarà l’esercito a richiamarlo quando riterrà che, secondo i propri calcoli, il cibo sarà terminato. A consegnare i pacchi ci penseranno diverse società private. La composizione delle scatole sarebbe formulata calcolando il numero minimo di calorie indispensabili per la sopravvivenza.

LA COSIDDETTA «fondazione internazionale» dovrebbe comprendere stati ed entità che finanzieranno gli aiuti. Gli Usa hanno dichiarato, secondo Axios, di aspettarsi che tutte le Nazioni unite e le agenzie umanitarie accettino di lavorare all’interno del meccanismo. L’Onu e le organizzazioni internazionali hanno già dichiarato che è impensabile che un dispositivo di distribuzione e assegnazione tanto grande e complicato venga affidato da un giorno all’altro a privati ignari delle condizioni sociali ed economiche dei due milioni di abitanti.

L’OBIETTIVO DICHIARATO di Israele è quello di evitare che gli aiuti giungano nelle mani dei combattenti di Hamas. Ma chi è di Hamas a Gaza? Tel Aviv ha pubblicato in passato decine di liste di proscrizione, contenenti numerosi e spesso imbarazzanti errori. Centinaia di palestinesi arrestati a Gaza con l’accusa di far parte di Hamas sono stati liberati, a volte dopo mesi di detenzione arbitraria, assolti da ogni sospetto. E ancora, dopo averli ammazzati o deportati, Israele ha descritto come membri del gruppo islamico giornalisti, medici, insegnanti, spesso anche bambini, senza fornire alcuna prova a riguardo.

Che fine farebbero queste persone? Sarebbero condannate a morire di fame insieme a tutta la loro famiglia, mentre guardano i vicini di tenda sopravvivere con le briciole concesse dallo stato occupante? In ogni caso, il piano dovrebbe essere pronto entro la fine del mese, quando Israele prevede di «espandere» le manovre militari di terra.

INTANTO A GAZA si continua a morire di fame. Almeno 57 palestinesi sono deceduti per gli stenti dal 7 ottobre 2023 a oggi, riportano le autorità della Striscia. L’agenzia turca Anadolu ha scritto che ieri un bambino è morto per malnutrizione e disidratazione in un letto dell’ospedale pediatrico di Al-Rantisi, a Gaza City.

Un pescatore è stato colpito a morte dalle navi israeliane e almeno due persone sono state uccise nell’ennesimo attacco alle tende di al-Mawasi, che Israele continua a definire «zona sicura» nonostante i raid giornalieri. Due donne sono state ammazzate dal bombardamento che ha colpito la loro casa ad al-Fakhari, vicino Khan Younis. L’area rimane quella maggiormente bersagliata in questi ultimi giorni, il numero delle vittime è molto alto e spesso comprende interi nuclei familiari, spazzati via dai registri civili. Ieri si sono tenuti i funerali delle 11 persone uccise nell’ultimo sanguinoso attacco.

Tra giovedì e sabato i bombardamenti di Tel Aviv hanno ammazzato 70 palestinesi e ne hanno feriti 275.

No Comments

Post a Comment

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.