PER LA PACE È STRATEGICA LA SCONFITTA DELLA NATO da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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PER LA PACE È STRATEGICA LA SCONFITTA DELLA NATO da IL FATTO

Per la pace è strategica la sconfitta della Nato

PIERO BEVILACQUA  7 SETTEMBRE 2023

Perché ogni sincero democratico dovrebbe augurarsi che la guerra in Ucraina si concluda con un realistico e ragionevole compromesso, che ponga fine al massacro, e con la sconfitta della Nato? Questo auspicio parrà una contraddizione. Vincerebbe la Russia autocratica e gli altri Stati più o meno autoritari contro il fronte dei Paesi democratici. Una ricognizione non superficiale dello stato dell’arte mostra che il ragionamento è sbagliato. Oggi anche chi è disposto ad ammettere le responsabilità degli Usa, se non nella lunga preparazione della guerra, almeno nella sua ostinata continuazione, sostiene che non si può lasciare impunito chi ha violato il diritto internazionale invadendo un Paese sovrano. È la rivendicazione più imprudente e più impudente che gli atlantisti possono fare. La storia degli ultimi 30 anni è dominata da scelte sanguinarie di violazione del diritto internazionale da parte degli Usa e della Nato, che non hanno chiesto il permesso a nessuno per invadere l’Iraq, la Libia, l’Afghanistan, ecc. Con la protezione americana, Israele viola ogni giorno quel diritto, praticando un regime di apartheid contro il popolo palestinese, umiliato e ridotto alla disperazione nel silenzio dell’Europa e nell’indifferenza dei democratici. Oggi il diritto internazionale è ridotto a una finzione perché l’Onu è stata svuotata di ogni autorevolezza. Da oltre 70 anni gli Usa si oppongono alle risoluzioni di condanna di Israele. Una seconda contrarietà all’auspicio di una sconfitta della Nato viene da un comprensibile sentimento di simpatia nei confronti dell’America e di pregiudizio antirusso, sia per la sua configurazione autoritaria, per la figura di Putin, sia perché immaginata erroneamente una continuazione dell’Urss. Mi sono spesso sentito obiettare, anche da personaggi di primo piano della sinistra, alla mia avversione per la Nato, che “non possiamo andare contro l’America”. È una risposta opportunistica. La riduzione o lo scioglimento della Nato costituirebbe in realtà una svolta vantaggiosa per il popolo americano, a cui vengono sottratti 800 miliardi di dollari l’anno, impiegati in spese militari, per armamenti, guerre locali, centinaia di basi militari sparse per il mondo. Una ricchezza enorme che viene sottratta alla sanità, alla scuola, alle vaste sacche di povertà, soprattutto negli Stati della Rust belt, la “cintura della ruggine”, dove la deindustrializzazione degli ultimi decenni ha creato il deserto sociale. Si comprende ancora di più il vantaggio di una sconfitta della Nato se si ricorda – come ha documentato il generale Fabio Mini nella densa introduzione a un importante saggio di un generale cinese – che a dominare l’aggressiva politica estera Usa sono pochi, benché potenti gruppi e lobby (Q. Liang L’arco dell’impero, Leg edizioni 2021). Parlare genericamente di America si può fare al bar. Gli Usa per la loro ricchezza, pluralismo e potenza culturale, capacità d’innovazione tecnologica, potrebbero inaugurare una nuova pagina nella storia del mondo, governare la cooperazione internazionale, ispirare una politica globale di cura del pianeta. E invece, per la volontà di dominio di pochi gruppi, di potenti interessi economici, si ostinano a continuare la storia del ’900. Una replica impossibile. Come ha mostrato il vertice dei Brics a Johannesburg, come rivelano le rivolte di questi giorni in Africa, il corso delle società umane avanza in altra direzione. Dopo aver subito per tutti i secoli dell’età moderna il brutale calco del colonialismo occidentale, lo sfruttamento economico del ’900, i popoli del Sud stanno alzando le loro bandiere. E lo fanno dietro potenze orientali e non europee. Tutto va dunque in direzione di un ordine mondiale multipolare, l’unico che potrebbe consentire un avvenire di pace e di cooperazione, indispensabile per affrontare su scala globale le catastrofi ambientali che ci attendono. Ma se la Nato dovesse vincere non si aprirebbe un capitolo di pace, ma l’avvio di una nuova e più vasta e catastrofica guerra: contro la Cina, contro decine di grandi e piccoli Paesi, che cercano la loro strada, contro il corso stesso della storia mondiale. È questo che un sincero democratico deve augurarsi? Non è finita. La sconfitta della Nato non è solo una condizione perché cessi la guerra, ma perché l’Europa ritrovi la sua autonomia, si rammenti dell’ambizioso disegno di pace, di governo cooperativo dei rapporti internazionali per cui era nata. La partecipazione della Ue alla guerra non solo l’ha ridotta allo stato ancillare e servile in cui si trova. Ma sta producendo altri rischiosissimi arretramenti, il cui potenziale distruttore delle strutture dell’Ue viene ignorato dalla grande stampa atlantista. La Francia e la Germania, i due pilastri dell’Ue, per effetto della guerra, delle sanzioni suicide, stanno subendo danni economici pesantissimi, che infondono vigore alle destre più estreme. In Germania, ai primi di agosto, i sondaggi davano Alternative für Deutschland al 21%. Ogni sincero democratico dovrebbe temere per le sorti della democrazia in Europa e gli italiani per primi, che la destra neofascista ce l’hanno già al governo.

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