“MODELLO ALBANESE”, LE RAGIONI DI UN FALLIMENTO CRUDELE da IL MANIFESTO
«Modello albanese», le ragioni di un fallimento crudele
Propaganda La presidente del Consiglio ha puntato tutto sul «modello albanese», anche sapendo che le probabilità di perdere erano molto alte. Difficilmente il risultato nel nuovo anno avrebbe potuto essere diverso, […]
Filippo Miraglia 01/02/2025
La presidente del Consiglio ha puntato tutto sul «modello albanese», anche sapendo che le probabilità di perdere erano molto alte. Difficilmente il risultato nel nuovo anno avrebbe potuto essere diverso, rispetto alle bocciature con cui si era chiuso il precedente.
Forse Giorgia Meloni aveva già pronti due video da postare sui social. Uno con la parte della vincitrice, il suo esempio funziona e diventerà il modello dell’Unione europea. L’altro con quella della vittima, i soliti magistrati che impediscono al governo di lavorare, che non collaborano.
Entrambi i casi funzionali alla propaganda. Quella che evidentemente rappresenta l’unico reale obiettivo di questa maggioranza che, come tutte le nuove destre autoritarie del cosiddetto occidente, puntano le loro carte sull’odio e sulla criminalizzazione degli stranieri.
Pensavano probabilmente di intimidire i magistrati della Corte d’appello e di convincere, con la campagna mediatica di questi giorni, qualcuno a prendere decisioni diverse da quelle prese dai colleghi e dalle colleghe del tribunale ordinario. Ma quelle decisioni si basavano sulla legge e non sui desideri del governo o sui sondaggi.
Il governo non ha trovato nessun giudice collaborativo, ma solo giudici che applicano la legge.
Ed è intollerabile per Giorgia Meloni e i suoi ministri, come si vede dalle reazioni, che anche loro – «eletti dal popolo» – debbano rispettare le leggi. Soprattutto se si tratta di norme che tutelano i diritti umani, i diritti fondamentali delle persone.
Noi che siamo stati, come associazioni del Tavolo Asilo e Immigrazione, insieme ai parlamentari dell’opposizione, in questi giorni a monitorare le procedure e le condizioni dei migranti sottoposti a questa ennesima deportazione, abbiamo potuto verificare che nei campi di detenzione italiani in Albania la civiltà del diritto è stata cancellata.
Le persone si sono ritrovate in un incubo senza sapere perché e senza potersi difendere.
Quasi tutti hanno subito torture in Libia e quindi non potevano, secondo lo stesso protocollo firmato tra Italia e Albania, essere sottoposti alla procedura accelerata, in quanto vulnerabili.
Ma non c’era nessun soggetto terzo, non governativo, a verificare la loro condizione.
Nessuno di loro ha potuto parlare con un legale prima di essere ascoltato dalla Commissione per l’asilo e così tutti si sono visti respingere in pochi minuti la loro domanda, per una presunta «manifesta infondatezza». Infondatezza che evidentemente deve essere stata valutata in blocco, un tanto al chilo, senza discernere e senza ascoltare.
Allo stesso modo le convalide si sono svolte in tempi e con modi che non hanno nulla a che vedere con le garanzie previste dalla nostra Costituzione e dalle leggi.
Gli avvocati d’ufficio, che avrebbero dovuto tutelare le persone sottoposte al trattenimento, hanno potuto incontrare i migranti detenuti in Albania solo durante le udienze di convalida.
Un governo che urla al complotto quando ad essere accusati sono ministri potenti e con più di una copertura istituzionale, calpesta le garanzie per chi non ha alcuna tutela.
Eppure, nonostante le ripetute e prevedibili bocciature, l’orrore delle deportazioni al quale ci tocca assistere va avanti. Non è più tollerabile.
Il fallimento è palese, dopo tre tentativi andati tutti male, e dovrebbe indurre a questo punto anche questo governo a fermarsi, a interrompere i continui tentativi di infrangere norme fondamentali per una democrazia.
Sappiamo che non succederà. Non è nell’interesse dell’esecutivo il rispetto dei diritti fondamentali.
Per quanti come noi credono nei principi della Costituzione e nella tutela dei diritti umani, il fallimento della propaganda fatta sulla pelle delle persone e pagata con i soldi del contribuente è una buona notizia.
Godiamocela dando il benvenuto alle vittime di questa terribile farsa.
Albania, governo bocciato anche in Appello
Riporto sicuro Tutti liberi i 43 richiedenti asilo di Bangladesh ed Egitto reclusi a Gjader. Dopo il terzo flop, saranno trasferiti a Bari. Partenza prevista per le 12 di questa mattina. I giudici di secondo grado hanno rinviato tutto alla Corte di giustizia Ue
Giansandro Merli 01/02/2025
Cambiando l’ordine degli addendi non cambia il risultato: tutti i 43 richiedenti asilo rinchiusi nel centro di Gjader, 35 del Bangladesh e 8 dell’Egitto, tornano liberi. Stavolta il no ai trattenimenti è arrivato dalla Corte d’appello della capitale, dopo che il governo aveva sottratto la competenza alla sezione romana specializzata in immigrazione, che il 18 ottobre e l’11 novembre dell’anno scorso aveva deciso nello stesso modo. In questo caso le toghe capitoline hanno sospeso il giudizio rinviando tutto alla Corte di giustizia Ue.
UN PROVVEDIMENTO che si inserisce nella scia di rinvii pregiudiziali a Lussemburgo partiti dai tribunali di Bologna, Palermo e Roma e della sospensione del giudizio della Cassazione in attesa dell’udienza europea del 25 febbraio e poi della sentenza che dovrebbe arrivare entro la primavera. In tutti questi procedimenti la richiesta dei giudici nazionali a quelli comunitari è di chiarire se sia legittimo, ai sensi delle direttive Ue, considerare «sicuri» paesi che non lo sono per alcune categorie di persone.
Categorie che spesso includono migliaia e migliaia di persone, come in Egitto e Bangladesh. Lo dimostrano le relative schede paese redatte sulla base delle fonti qualificate e allegate al vecchio decreto interministeriale del maggio 2024. Schede che dovrebbero essere sostituite, secondo la nuova legge, da una relazione del Consiglio dei ministri da trasmettere alle competenti Commissioni parlamentari. Il termine per scriverla era il 15 gennaio ma, a quanto risulta da un’interrogazione presentata dal deputato di +Europa Riccardo Magi, la settimana scorsa risultava ancora «in via di definizione».
NELLA SUA DECISIONE la Corte d’appello richiama lo «specifico dovere», che la sentenza europea del 4 ottobre scorso attribuisce al giudice, di «verificare d’ufficio» la legittimità della designazione di «paese sicuro» da parte delle autorità governative. Cita anche l’ordinanza interlocutoria della Cassazione che, pur non fissando un principio di diritto in attesa dei procedimenti pendenti a Lussemburgo, specifica che «le eccezioni personali, anche se compatibili con la nozione di paese di origine sicuro, non possono essere ammesse senza limiti».
Per quell’ordinanza gli esponenti dell’esecutivo, in barba a qualsiasi realtà giuridica, avevano esultato sostenendo: «Ci dà ragione». E invece i giudici d’appello, seguendo l’analogo ragionamento delle sezioni specializzate in immigrazione dei tribunali civili, ritengono che sarebbe illogico non poter considerare sicuro un paese con eccezioni per parti di territorio, come chiarito dalla Corte Ue, ma poterlo fare quando esistono esclusioni per categorie di persone che valgono su tutto il territorio dello Stato. È questa l’opinione che le toghe capitoline propongono ai colleghi europei: alla fine, comunque, spetta a loro l’ultima parola.
A LIVELLO GIURIDICO era un esito prevedibile, sebbene non scontato, che dimostra come l’ennesima forzatura del governo risponda a tutt’altre logiche. È il riflesso delle immagini di esseri umani deportati in catene da quella che viene considerata la principale democrazia dell’Occidente, gli Usa caduti per la seconda volta nelle mani di Donald Trump, e dei segnali sconfortanti che giungono dalla Germania dove, nonostante la bocciatura di ieri della stretta sugli stranieri, la storica diga anti-nazista che ha tenuto per 80 anni è caduta proprio sulle politiche migratorie con il voto congiunto di Cdu e Afd di mercoledì.
In ogni caso, almeno per i 43 richiedenti asilo costretti dietro le sbarre dei centri albanesi la libertà è dietro l’angolo. Saranno trasferiti a Bari questa mattina, partenza prevista intorno alle 12 a bordo di una nave della guardia costiera. «È un colpo durissimo al piano del governo. L’operazione si rivela, ancora una volta, fallimentare e insostenibile dal punto di vista giuridico», attacca il Tavolo immigrazione e silo che per la terza volta ha attraversato l’Adriatico per monitorare lo svolgimento delle operazioni. Il Tai, però, avverte: «Ora il compito della società civile e della politica è chiaro: trasformare questa crisi in un punto di non ritorno, impedire nuovi trasferimenti e bloccare definitivamente un meccanismo che cancella i diritti delle persone in cerca di protezione».
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