L’EUROPA ALLA SECONDA GUERRA DELL’ENERGIA E LA CONTROFFENSIVA DELLE MULTINAZIONALI DEL FOSSILE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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L’EUROPA ALLA SECONDA GUERRA DELL’ENERGIA E LA CONTROFFENSIVA DELLE MULTINAZIONALI DEL FOSSILE da IL MANIFESTO

L’Europa alla seconda guerra dell’energia

Conflitto ucraìno Gazprom chiude le forniture dopo che Zelensky ha detto basta all’accordo di transito per bloccare le entrate russe che finanziano la guerra. Il vantaggio Usa all’ombra dell’attentato al Nord Stream

Alberto Negri  02/01/2025

L’Europa è entrata nella seconda guerra del gas con la Russia. All’alba di ieri nella pianura gelata di Sudzha,
al confine fra l’Ucraina e l’oblast russo di Kursk, la Gazprom russa ha chiuso le forniture attraverso l’Ucraina. La prima guerra del gas si è consumata nel 2022.

Nei mesi immediatamente seguenti all’aggressione dell’Ucraina da parte di Mosca. Allora Putin fece interrompere i flussi ponendo condizioni inaccettabili ai suoi clienti europei e in seguito fu sabotato nel Baltico anche il gasdotto Nord Stream, una sorta di cordone ombelicale dell’energia che legava Berlino a Mosca e rappresentava da anni per gli Stati uniti il vero nodo geopolitico tra l’Europa e la Russia.

PER WASHINGTON la guerra è stata l’opportunità di troncare questo legame e vendere agli europei il suo gas liquido (più costoso di quello russo), operazione che sicuramente non dispiacerà anche al presidente entrante Donald Trump che sulle vulnerabilità degli europei intende fare cassa. Tra l’altro l’aumento dei costi energetici incide sulla competitività delle industrie europee.

Basti pensare, come sottolineava qualche tempo fa Davide Tabarelli, presidente di Nomisma-Energia, che l’Italia qualche mese fa pagava il gas 40 euro al megawattora, gli Usa 7. Un divario destinato ora ad ampliarsi.

L’elemento che cambia i dati generali sulle importazioni di gas dalla Russia(e non solo) rispetto al passato è la crisi europea e italiana. Nel 2021, prima dell’inizio della guerra, l’Italia, per esempio, importava 29 miliardi di metri cubi di gas da Mosca su una domanda di 76. Lo scorso anno, invece, ne abbiamo consumati 63 e importati appena 3 dalla Russia: la domanda si è ridotta in modo pesante a causa del processo massiccio di de-industrializzazione che sta colpendo soprattutto Italia e Germania.

LA VICENDA del Nord Stream 1 e 2 ha è stata una svolta epocale nei rapporti tra Mosca e gli europei. Merita un flashback per capire come la pensano a Washington. Un’inchiesta della magistratura tedesca aveva indicato un gruppo di ucraini come responsabili del sabotaggio nel settembre 2022 del gasdotto Nord Stream. Secondo una ricostruzione del Wall Street Journal il presidente ucraino Zelensky era al corrente del piano ma aveva ritirato il suo consenso per pressioni della Cia.
La verità forse era meno fantasiosa e stava sotto gli occhi di tutti. All’indomani del sabotaggio, in un’audizione al senato americano il sottosegretario Victoria Nuland aveva affermato: «Penso che l’amministrazione Biden sia molto soddisfatta di sapere che il Nord Stream 2 sia ora un pezzo di metallo in fondo al mare».

La prima guerra del gas ebbe come risultato un aumento in Europa da un prezzo minimo di 20 euro a megawattora a oltre 300 euro durante il primo anno di combattimenti in Ucraina. L’Italia, come vari altri Paesi, rischiò di restare a corto della materia prima e normalizzò la situazione solo grazie a nuovi rigassificatori mobili di gas liquido, in gran parte dal Qatar, e a un nuovo accordo per ampliare le forniture con l’Algeria.

QUESTA VOLTA i prezzi europei del gas hanno toccato i 50 euro al megawattora, spinti anche dalle temperature in ribasso. Ma quali sono i possibili effetti dello stop del gas? L’Europa dipende ancora al 19% dall’energia russa. Alcuni stati europei, in particolare Slovacchia e Austria, accusano una dipendenza dalla forniture di Mosca che è rispettivamente al 70% e 60 per cento. Non è un caso che il primo ministro slovacco Robert Fico abbia dichiarato che «l’interruzione del transito del gas attraverso l’Ucraina avrà un impatto drastico su tutti noi nell’Ue, non solo sulla Federazione Russa».

E c’è subito chi sta peggio di tutti. La regione separatista moldava della Transnistria ha interrotto la fornitura di riscaldamento e acqua calda alle famiglie dopo che la Russia ha bloccato il flusso di gas attraverso l’Ucraina.

Ma c’è chi la vede in modo nettamente diverso da Fico e dall’ungherese Orbán, che con le loro recenti visite al Cremlino hanno entrambi cercato di acquistare il gas direttamente dai russi. Zelensky, rinunciando a 800 milioni di dollari di royalties, si è rifiutato di rinnovare l’accordo quinquennale per il transito di gas russo, perché dice che non intende facilitare ulteriormente nuove entrate del bilancio di Mosca che poi servono a finanziare la distruzione dell’Ucraina.

Secondo il centro studi Crea di Helsinki, grazie al gasdotto in Ucraina, Gazprom continuava a fatturare in Europa circa 350 milioni di euro alla settimana (più altri 200 milioni con il gas liquefatto). Da quanto incassa da Gazprom il governo di Mosca spende circa quattro rubli ogni dieci nello sforzo di guerra.

COME HA REAGITO l’Europa allo stop del gas russo dall’ucraina? Secondo la Commissione europea «l’impatto sulla sicurezza dell’approvvigionamento sarà limitato» indicando le rotte alternative di approvvigionamento per portare i volumi necessari in Europa attraverso quattro principali percorsi di diversificazione, con volumi provenienti principalmente dai terminali di gas liquefatto in Germania, Grecia, Italia, Polonia e forse anche dalla Turchia (il cui principale fornitore di gas è comunque la Russia).

L’Europa e l’Italia non rischiano di restare senza materia prima, ma è quasi scontata una nuova stangata sulle bollette di luce e gas. La seconda guerra del gas, le perdite umane e civili, la crisi politica ed economica nel cuore dell’Europa, ci dicono soprattutto una cosa: la tregua, qui come in Medio Oriente, sta diventando urgente.

La controffensiva delle multinazionali del fossile

Transizione energetica sotto attacco I primi anni di questo ultimo decennio hanno visto mettersi in moto il Green Deal europeo e l’Inflaction Reduction Act negli Stati uniti. Una grande minaccia per le multinazionali del […]

M. Federico Butera  02/01/2025

I primi anni di questo ultimo decennio hanno visto mettersi in moto il Green Deal europeo e l’Inflaction Reduction Act negli Stati uniti. Una grande minaccia per le multinazionali del fossile e tutte le altre che nel modello energetico attuale trovano il loro brodo di coltura, perché si profilava il rischio che la transizione energetica si realizzasse sul serio: era in gioco la loro sopravvivenza. E così hanno avviato una potente controffensiva dispiegata su cinque fronti.Il primo fronte, molto familiare alle multinazionali, è quello di condizionare il potere politico, e sta già dando i suoi frutti: depotenziamento del Green Deal europeo, tacciato di ecologismo ideologico, e Trump negli Usa.

Il secondo fronte è il sostegno alla campagna contro la diffusione delle fonti rinnovabili in nome della difesa del paesaggio: da manuale il caso Sardegna, che rifiuta le rinnovabili per aprirsi al gas. Il terzo frontre è la estrazione della CO2 dai fumi che escono dalle ciminiere delle fabbriche o dall’aria e il suo sotterramento dove ci sia una situazione geologica tale da assicurare che non venga più fuori. In questo modo si può continuare a usare combustibili fossili senza aumentare la concentrazione di CO2 in atmosfera, il sogno delle compagnie Oil &Gas. L’Eni lo sta già facendo.

Il sotterramento della CO2, però, è fortemente contestato da ampia parte della comunità scientifica, per ragioni che vanno dalla sicurezza ai costi elevati che richiedono sussidi pubblici, al fatto che non ci sono prove che funzioni su larga scala, e perché le situazioni geologiche in cui è possibile sotterrare la CO2 non sono infinite, a un certo punto non ci sarà più dove sotterrare, e quindi ancora una volta lasciamo il cerino acceso alle future generazioni. Il tutto stornando risorse destinate alle fonti rinnovabili, rallentandone la diffusione.

Il quarto fronte è il nucleare, il cui risveglio ha come obiettivo principale quello di rallentare lo sviluppo delle rinnovabili, martellando col messaggio: abbiamo a disposizione una fonte di energia che non emette CO2, e le nuove centrali piccole e modulari, costruite in serie (SMR), costano poco e si costruiscono in poco tempo. Quindi sono meglio delle rinnovabili, perché la loro produzione non dipende dai capricci del sole e del vento, anzi servono proprio per compensare l’elettricità che manca quando le rinnovabili non producono abbastanza.

Peccato che: a) non esiste un solo SMR disponibile sul mercato e quindi non si sa se è vero che costano poco né se effettivamente si costruiscono in poco tempo; b) se funzionano a potenza variabile per compensare i vuoti di produzione delle rinnovabili, l’elettricità prodotta ha un costo molto elevato; c) ci rendono totalmente dipendenti da altri paesi per il combustibile nucleare; d) il problema di dove mettere le scorie è ben lontano dall’essere risolto.

Il quinto fronte è la geoingegneria solare. L’idea di base è: dato che il riscaldamento globale è causato dal fatto che il calore generato dalla radiazione solare viene dissipato meno di prima a causa della CO2, causando l’aumento della temperatura globale, allora diminuiamo la radiazione, invece della CO2. E per farlo basta imitare quello che già ha fatto parecchie volte la natura, con gigantesche eruzioni vulcaniche, quali quella del Monte Pinatubo nelle Filippine nel 1991, un evento che ha espulso milioni di tonnellate di anidride solforosa nella stratosfera e ha causato un calo temporaneo delle temperature globali di circa 0,5°C, e quella del Krakatoa, in Indonesia, nel 1883, che provocò l’abbassamento di 0,4 °C in tutto l’emisfero nord. La temperatura diminuisce perché le particelle di anidride solforosa formano una specie di specchio trasparente, che riflette parte della radiazione solare incidente: meno radiazione, meno riscaldamento.

Ma allora, se spandiamo anidride solforosa ad alta quota, dosandone la quantità, possiamo regolare la temperatura della Terra a nostro piacimento, eliminando la necessità di ridurre le emissioni di CO2 e rendendo inutili le fonti rinnovabili. Un progetto che i governi Usa e Regno Unito stanno finanziando.

La fantasia non si ferma qui. Ci sono progetti che prevedono la realizzazione di una specie di gigantesco ombrellone in orbita intorno alla terra, per ombreggiarne una parte, altri che mirano a sbiancare le nuvole, per riflettere meglio la radiazione solare. E c’è chi li finanzia.

Ci sono anche altri tipi di geoingegneria che si stanno sperimentando, come quello che prevede di fertilizzare enormi distese oceaniche di plancton, che ha un grande capacità di assorbimento della CO2 dell’aria, in modo da aumentarne la quantità assorbita.

La geoingegneria, fino a ieri relegata nei laboratori, è il nuovo fronte aperto per scongiurare il pericolo della transizione energetica. Bella idea, ma i rischi ad essa connessi non sono noti e possono dare luogo alla destabilizzazione del sistema climatico e degli ecosistemi, con conseguenze devastanti, inimmaginabili.
Il 2025 apre un quinquennio in cui si deciderà se e di quanto si lascerà avanzare l’armata delle multinazionali sui cinque fronti. In questa guerra l’informazione gioca un ruolo decisivo.

Crisi del gas, in Italia l’inverno più caro e nessuna politica per limitare il salasso

Ambiente A Milano il costo delle bollette sarà maggiore del 20% rispetto al 2022-2023. I consumi calano da 3 anni eppure il governo investe in infrastrutture ormai superate

Luca Martinelli  02/01/2025

«L’inverno che sta per iniziare sarà il più caro di sempre per le famiglie italiane. Le previsioni per la bolletta del gas per la stagione invernale 2024-2025 mostrano costi significativamente superiori al periodo della crisi prezzi del gas (2022-2023)»: la previsione risale al 10 dicembre ed è dei ricercatori di Ecco, think tank italiano, indipendente e senza fini di lucro, dedicato alla transizione energetica e al cambiamento climatico. Non c’era sensazionalismo nell’indicare una direzione chiara, perché il prezzo del gas aveva già raggiunto i 48 euro/megawattora, un aumento principalmente dovuto all’instabilità geopolitica nei Paesi fornitori e alle scelte conseguenti degli operatori, speculatori per lo più, che operano sul mercato di Amsterdam, il Dutch Ttf Natural Gas. Tutto questo accade nonostante gli stoccaggi nel nostro Paese siano pieni e, soprattutto, «i gasdotti per l’importazione del combustibile siano stati utilizzati per meno della metà della loro capacità negli ultimi dodici mesi» rimarca Ecco.

Ieri lo ha ribadito anche il ministro dell’Ambiente, Pichetto Fratin: «In questi mesi, come Mase e come governo, abbiamo lavorato per mettere in sicurezza il Paese garantendo il completo riempimento degli stoccaggi di gas al primo novembre. Sebbene attualmente le scorte siano ancora a un livello adeguato si stanno valutando ulteriori misure per massimizzare la giacenza in stoccaggio al fine di affrontare con tranquillità la stagione invernale in corso». In Italia, insomma, non c’è il rischio di restare al freddo e al gelo, nonostante l’interruzione delle forniture russe attraverso l’Ucraina, ampiamente attesa.

Il problema, tuttavia, è che negli ultimi due anni e mezzo, da quando s’è avvertita con forza la crisi sul mercato legata al conflitto russo-ucraino, l’Italia non ha lavorato in modo concreto per creare un’alternativa al gas naturale. Non sono stati realizzati, in particolare, investimenti adeguati in termini di efficientamento energetico degli immobili, elemento chiave per ridurre i consumi (e anche i costi per le famiglie). I dati sono ancora di Ecco: per un’abitazione di 70 metri quadrati in classe G, a Milano, il costo delle bollette del gas sarà maggiore del 20% rispetto al periodo di crisi energetica (2022-2023) e del 68% rispetto al periodo pre Covid (2019-2020). In una casa di analoghe dimensioni a Roma la spesa lieviterà ancora di più: del 44% rispetto al periodo di crisi energetica e dell’83% rispetto all’inverno pre Covid. A Palermo l’aumento sarà più lieve: del 17% rispetto al 2022 e del 46% rispetto al 2019. Ben diversa è la situazione in abitazioni più efficienti: una casa in classe A paga una bolletta di due terzi inferiore rispetto a una in classe G, con risparmi fino a 1.400 euro l’anno.

Su questo, però, non si lavora. E nonostante dati evidenti che raccontano di una riduzione costante dei consumi di gas, anche ieri Pichetto Fratin ha ribadito l’importanza di nuove infrastrutture, per fare dell’Italia quell’hub del gas nel Mediterraneo disegnato, definito e desiderato da Eni. «Nel giro di pochi mesi – ha ricordato il ministro – è previsto l’arrivo a Ravenna di un’altra nave rigassificatrice che aumenterà ancora la capacità di importazione di Gnl nella nostra rete». Gnl, gas naturale liquefatto, significa stabilire una relazione commerciale privilegiata con gli Stati Uniti di Donald Trump (ed Elon Musk), ma anche alimentare una potenziale bomba climatica finanziata anche dalle banche italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit, secondo un report pubblicato a dicembre 2024 da Reclaim Finance e Re:Common.

Eppure, se dovessimo guardare ai dati più importanti, quelli legati al consumo di gas in Italia, avremmo una sorpresa. Qualcuno ricorda ancora il Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale varato dal governo Draghi a ridosso dell’inverno 2022? Il Piano si è tradotto in un prolungato e non necessario aiuto pubblico alle centrali termoelettriche italiane alimentate a carbone, olio combustibile e bioliquidi. Eppure nel 2022 i consumi interni lordi di gas in Italia si sono attestati a quota 68,5 miliardi di Smc (Standard metri cubi, è l’unità di misura), il 10% in meno rispetto al 2021 (76 miliardi).

Anche nel 2023 il calo fortissimo dei consumi non si è fermato, facendo segnare 61,5 miliardi, cioè 15 miliardi di Smc in meno rispetto al 2021. Quest’anno, a settembre (ultimo mese disponibile secondo dati del ministero pubblicati da Altreconomia), i consumi interni ammontano a 43,2 miliardi di Smc, meno 2,1% rispetto al 2023. Sono lontanissimi i livelli del 2005, quando i consumi ammontavano a 86,2 miliardi, vivevamo un mondo radicalmente fossile e si iniziava a parlare di Italia come hub del gas.

La realtà con cui potremmo fare i conti è un’altra: «Le infrastrutture del gas esistenti in Italia permettono già di soddisfare i requisiti di sicurezza del sistema per gli scenari di domanda e offerta coerenti con gli obiettivi climatici. Solo uno scenario di ritardata transizione energetica rispetto agli obiettivi nazionali e internazionali di decarbonizzazione – spiega Ecco – vedrebbe al 2030 una domanda di gas superiore a quella attuale». Quindi tanti investimenti in programma, come il rafforzamento della dorsale Adriatica, l’incremento del 50% del gasdotto trans-adriatico, il Tap (Trans Adriatic Pipeline) e lo spostamento del rigassificatore di Piombino, non sono necessari.

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