LE CONDIZIONI DEI RUSSI SONO LE STESSE DAL 2022 da IL FATTO
Le condizioni dei russi sono le stesse dal 2022
Già a Istanbul – Stop alla Nato, neutralità e territori
Riccardo Antoniucci 14 Marzo 2025
Cosa sia la “pace duratura” che Vladimir Putin ha posto come condizione per accettare il cessate il fuoco di 30 giorni in Ucraina e sedersi al tavolo dei negoziati con Kiev e gli Stati Uniti, il Cremlino lo ha chiarito in molte occasioni, anche agli Stati Uniti e alla Nato. Dopo tre anni di guerra, le posizioni russe sono rimaste le stesse della bozza di “protocollo di Istanbul”. Si tratta del noto accordo discusso nel marzo del 2022 tra Mosca e Kiev, con la mediazione turca, e naufragato per via dell’attivismo del Regno Unito e dei falchi Usa che convinsero Volodymyr Zelensky a non firmarlo, solidificando la sua contrarietà con la promessa del sostegno militare.
Il testo di Istanbul, che finora Kiev ha sconfessato come “proposta russa”, prevede che l’Ucraina rinunci all’adesione alla Nato e accetti lo status di Paese neutrale e senza testate nucleari. I russi chiedevano, e chiedono, il ripristino dello status della lingua e cultura russa abolendo le leggi varate dopo il 2014. Il capo negoziatore ucraino David Arakhamia, fedelissimo di Zelensky, raccontò: “I russi erano pronti a porre fine alla guerra se avessimo accettato la neutralità: noi avremmo dovuto promettere di non aderire alla Nato. Questa era la cosa più importante per loro, il punto chiave. Tutto il resto era solo retorica: la denazificazione, la popolazione di lingua russa e altri blablabla”. Ma il 9 aprile “Johnson venne a Kiev e disse che non avremmo dovuto firmare nulla con i russi: solo combattere e basta”. Tre anni dopo, si torna alla casella di partenza, ma con centinaia di migliaia di morti in più. Infatti entrare nelle teste dei leader europei è inutile: per mancanza di leader, ma soprattutto di teste.
A giugno del 2023 Putin ha aggiornato le richieste aggiungendo il riconoscimento internazionale del dominio russo sulla Crimea e delle quattro province ucraine annesse militarmente. I punti più critici della bozza del 2022 riguardavano l’imposizione di un taglio lineare delle forze armate ucraine, alla metà delle disponibilità pre-guerra (200 mila soldati, oggi 1 milione), e il potere di veto della Russia sulle garanzie di sicurezza offerte a Kiev in cambio delle concessioni. All’Ucraina veniva infatti offerta la tutela del Consiglio di sicurezza Onu, cioè di Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, ma Mosca voleva mutare dall’Onu anche il diritto di veto sulla risposta militare in caso di aggressione all’Ucraina. Condizioni, queste ultime, che agli occhi delle cancellerie occidentali che hanno fatto saltare l’intesa “avrebbero lasciato l’Ucraina indifesa davanti a future minacce”, come ha scritto l’Institute for the Study of War.
Ma che oggi la nuova amministrazione di Donald Trump vuole riprendere come punto di partenza. “Ci sono stati negoziati molto cogenti e sostanziali nel quadro di quello che è chiamato l’accordo del protocollo di Istanbul”, ha detto alla Cnn un mese fa l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, che ieri ha incontrato Putin a Mosca: “Siamo arrivati molto vicini a firmare qualcosa e credo che useremo questo quadro come guida per un accordo”. L’altro inviato di Trump per il conflitto, l’ex generale Keith Kellog, auspicava “qualcosa di totalmente nuovo”, ma la sua posizione è minoritaria.
Gli Usa sanno bene anche che le richieste russe vanno al di là dei confini ucraini, e chiamano in causa la Nato. Sono quelle che Mosca chiama le “cause profonde” del conflitto ucraino, ossia il progetto di espansione dell’Alleanza atlantica all’est Europa. Putin ha sollevato queste questioni per decenni, e le ha trattate con Biden tra il 2021 e il 2022, con iniziali aperture ma un esito fallimento. E poi ha invaso l’Ucraina. In breve, la Russia non vuole esercitazioni Nato e missili a lungo raggio ai suoi confini. Richieste, ironizzava l’ex funzionario del Pentagono Kori Schake che sono “le stesse dal 1945”.
Come base negoziale, però, ora la Russia si appresterebbe a chiedere di più, come rivela un documento dei servizi del Fsb rivelato dal Washington Post. Mosca chiede non solo la cessione dei territori occupati e un armistizio, ma il riconoscimento di sovranità da parte Usa, per evitare che la guerra riprenda “dopo la fine della presidenza Trump”. Il Cremlino rifiuta ora del tutto l’idea di un contingente di peacekeeping, europeo o meno, ma soprattutto vuole “il completo smantellamento dell’attuale regime di Kiev”, ossia le dimissioni di Zelensky. Boccone difficile da mandar giù per Kiev. Si registra anche la sostanziale indifferenza di Mosca all’offerta di allentare le sanzioni: “Non è chiaro quale sarebbe il vantaggio per la Russia”, scrive l’Fsb nel suo report, perché “l’impatto delle sanzioni contro il nostro Paese è stata chiaramente esagerata”.
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