LANCET: SONO 70.000 LE VITTIME A GAZA da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LANCET: SONO 70.000 LE VITTIME A GAZA da IL MANIFESTO

Lancet: 70mila, le vittime a Gaza sono il 40% in più

Il rapporto Dopo mesi di lavoro, la rivista scientifica rivede i numeri. Il 60% sono donne e bambini

Andrea Capocci  11/01/2025

Il numero di oltre 45mila vittime riportato dal ministero della sanità di Gaza è una notevole sottostima delle perdite palestinesi causate della guerra di Israele. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, a causa delle difficili condizioni in cui versano le strutture di soccorso della Striscia il 40% dei morti potrebbe mancare dai registri.

L’analisi, coordinata dalla ricercatrice Zeina Jamaluddine della prestigiosa London School of Hygiene & Tropical Medicine, calcola che già a giugno del 2024 una ragionevole stima dei morti causati da bombardamenti e raid israeliani è di 64mila vittime, e con buona certezza compresa tra le 55 mila e le 78 mila vittime. Alla data del 30 giugno, il ministero di Hamas parlava di 38mila vittime, compresi anche diecimila non identificate. Cioè, poco più della metà della cifra reale. Oggi, trascorsi altri sei mesi, i ricercatori ritengono che siano morti sotto le bombe già più di settantamila palestinesi.

I MESI PEGGIORI sono stati i primi: circa la metà delle vittime sono state registrate tra ottobre e dicembre 2023, facendo aumentare di ben quattordici volte il tasso di mortalità nella Striscia rispetto al 2022. «I dati – spiegano gli autori dello studio – evidenziano la necessità urgente di allargare l’accesso umanitario a tutta la Striscia di Gaza e di proteggere il personale, le ambulanze e le strutture sanitarie in modo che le persone colpite possano ricevere cure tempestive e adeguate, riducendo così la mortalità». E «sottolineano la necessità di iniziative diplomatiche immediate per raggiungere una tregua rapida e duratura e un accordo a lungo termine che comprenda il rilascio degli ostaggi e delle migliaia di civili palestinesi imprigionate da Israele».

PER ARRIVARE alla loro stima, Jamaluddine e i suoi colleghi hanno utilizzato tre fonti diverse. La prima è la lista delle vittime identificate con nome e cognome dagli ospedali di Gaza, che ormai funzionano a singhiozzo. La seconda contiene i dati raccolti dal ministero della sanità attraverso un questionario online a cui le autorità di Gaza hanno invitato tutta la popolazione a partecipare. La terza è rappresentata dai necrologi e da altri messaggi relativi alle vittime diffusi su social media e siti specializzati. Si tratta evidentemente di liste parziali e che contengono moltissime sovrapposizioni. Rimuovere i doppioni ha richiesto mesi di lavoro e ha condotto a un elenco di circa 30mila vittime identificate.

MA OGNUNA delle tre fonti è incompleta e una vittima può rimanere fuori da tutti e tre i conteggi. Tenendo conto anche di questa possibilità – e applicando metodi diversi per una maggiore affidabilità – il team dell’istituto londinese è giunto alla risultato di 64mila morti. È il metodo capture–recapture «già impiegato per calcolare la mortalità in zone di conflitto armato come Kosovo, Colombia e Sudan».

Lo studio di The Lancet suddivide le vittime anche per genere e fascia di età. Donne, bambini e anziani rappresentano quasi il 60% dei morti, e circa il 38% di loro sono donne, colpite indiscriminatamente dalle armi israeliane. Infatti, mentre la fascia d’età più colpita tra i maschi è compresa tra i 15 e i 45 anni (quella dominante tra i militanti più direttamente impegnati nel conflitti), bambine, donne e anziane hanno pagato lo stesso tributo di sangue: sintomo che le operazioni israeliane colpiscono nel mucchio pur usando le tecnologie militari più sofisticate. «Sia la scala che la distribuzione di genere e per età delle vittime – scrivono gli autori della ricerca – sollevano gravi preoccupazioni sulla condotta delle operazioni militari a Gaza, nonostante Israele affermi di minimizzare le perdite civili».

LO STUDIO mostrerebbe che nei primi nove mesi la guerra ha ucciso il 3% degli abitanti di Gaza. Se si somma la percentuale degli abitanti che hanno lasciato la Striscia o sono detenuti, nel complesso l’enclave ha perso il 6% della sua popolazione pre-bellica.

ANCHE l’accuratezza di questo studio non taciterà la battaglia intorno ai numeri. Tuttavia, gli inviti a non prendere per buone le cifre fornite dai sanitari di Gaza sono arrivate finora soprattutto dagli alleati di Israele, mentre i militari di Tel Aviv che conoscono meglio la realtà sul campo non hanno mai contestato l’affidabilità di questi numeri. Nel futuro, il conto esatto dei morti diventerà però sempre più difficile per il progressivo disfacimento del sistema sanitario della Striscia.

IERI LA ONG Medici Senza Frontiere ha lanciato l’allarme: altri tre degli ospedali ancora attivi (Nasser, Al Aqsa e European Hospital) sono prossimi alla chiusura per mancanza di carburante necessario per i generatori. «Nel dicembre 2024 – spiegano i portavoce della ong – sono entrati in media al giorno a Gaza solo 59 camion con rifornimenti vitali», invece dei 500 dell’era pre-7 ottobre 2023.

Lo scudo a Netanyahu è il tradimento di 80 anni di diritto

Gaza non conta Il primo gennaio il Palestinian Central Bureau of Statistics ha pubblicato un rapporto secondo cui la popolazione di Gaza si è ridotta del 6%. Mancano all’appello (ufficiale) 160mila persone. Oltre […]

Chiara Cruciati  11/01/2025

Il primo gennaio il Palestinian Central Bureau of Statistics ha pubblicato un rapporto secondo cui la popolazione di Gaza si è ridotta del 6%. Mancano all’appello (ufficiale) 160mila persone. Oltre 100mila sono fuggite in Egitto, e sono i «fortunati»: possedevano abbastanza per pagare i trafficanti dell’agenzia Hala, 5mila dollari a testa, o erano messi così male da ottenere il via libera alle cure all’estero.

ALTRI 45MILA sono stati uccisi. Un numero non meglio definito è sparito sotto le macerie: da mesi ormai si resta su una quota fissa, 10mila, il lavoro di ricerca e identificazione è reso quasi impossibile dal collasso della protezione civile. Restano fuori dal conteggio i morti per mancate cure, fame o ipotermia. La rivista scientifica Lancet ieri ha rivisto il bilancio: le morti dirette per i raid israeliani sarebbero 70mila. Un bilancio che viene rivisto e discusso a suon di 10mila, 20mila, 30mila morti ammazzati.

Non si dibatte sulle decine o le centinaia. La folle unità di misura va di migliaia in migliaia, tanto da perdere quasi senso. E (assurdamente) visibilità.

Poi ci sono i feriti, 110mila. Il 25% ha riportato danni permanenti, amputazioni, disabilità È l’ipoteca sul futuro di Gaza, una società che non sa più come immaginarsi il futuro, figurarsi il presente, con una terra che si restringe, devastata e inquinata, infrastrutture inesistenti, settori civili basilari – sanità, educazione – sradicati. Quando si parla di genocidio, si parla di questo, di un’azione calcolata di privazione del presente e del futuro, dell’invivibilità dello spazio e del tempo di oggi e di domani.

Per punire e soprattutto per porre fine a tali azioni, volontarie, la Corte penale internazionale a metà novembre ha emesso mandati d’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro alla difesa Yoav Gallant. Sono trascorsi due mesi e l’impunità – che pareva essersi sgretolata all’Aja – viene risollevata, come un muro, nel luogo dove è nato il diritto internazionale contemporaneo.

La Polonia, in aperta violazione dello Statuto di Roma (di cui è parte), giustificandosi con un intervento di natura politica privo di qualsiasi legittimità, annuncia una protezione speciale per il ricercato Netanyahu se decidesse di partecipare all’80esimo anniversario dalla liberazione di Auschwitz.

IL LUOGO che più di ogni altro simboleggia l’abisso in cui l’umanità è stata in grado di sprofondare e da cui la stessa umanità è riemersa, costruendo sulla disumanizzazione assoluta dell’essere umano un sistema di valori condiviso e una memoria collettiva, è lo stesso luogo in cui – scriveva mercoledì su queste pagine uno dei più noti studiosi dell’Olocausto, Moshe Zuckermann – si consuma «l’orrendo tradimento». Un tradimento perpetrato, scrive Zuckermann, non solo dal primo ministro Netanyahu ma dalla simbiosi tra la barbarie dei suoi sottoposti (i soldati) e la gelida indifferenza della società israeliana.

Non sono soli: il tradimento pesa sulle sedicenti democrazie liberali a cui sono bastati appena 80 anni per violare un processo di rinascita condiviso e il riconoscimento della pari dignità di ogni essere umano.

Se quella dignità pari non lo è mai stata e radicate sono le diseguaglianze che erigono barriere tra le persone in ogni paese del mondo, lo scudo penale per Netanyahu è un simbolo potente: legittima la supremazia di alcuni paesi (titolari del privilegio a usare la violenza contro chi è considerato subalterno) e la legge del più forte come punto cardinale dei rapporti internazionali.

L’Anpi raccoglie 160 mila euro per l’ospedale di Emergency

AL – QARARA Al via anche una campagna per le sanzioni sull’import export delle merci in Ue

Luciana Cimino  11/01/2025

In meno di tre mesi l’Anpi ha raccolto quasi 160 mila euro per completare la struttura sanitaria di Emergency a Gaza. «La massiva partecipazione alla raccolta fondi dimostra che c’è una sensibilità molto più diffusa su questo tema di quello che appare dai giornali – ha affermato il presidente dell’associazione dei partigiani, Gianfranco Pagliarulo- Abbiamo deciso di intervenire sul concreto, quello che abbiamo fatto è stato necessario anche se non sufficiente».

L’idea per la campagna Un ospedale per Gaza, raccontano Pagliarulo e la presidente di Emergency, Rossella Miccio, «è nata a fine settembre perché si stava diffondendo un senso di impotenza nei confronti del massacro in corso a Gaza».

La costruzione della nuova struttura sanitaria è stata complicata. «Ci abbiamo messo otto mesi per entrare a Gaza e altri tre per avere il permesso per organizzare le strutture e i soccorsi nella zona. La situazione è inimmaginabile», ha spiegato Miccio. Con i soldi raccolti attraverso l’Anpi, Emergency riuscirà a coprire l’allestimento della nuova clinica e a sostenere i primi mesi di attività. «Sono convinta – conclude Miccio – che la maggioranza della popolazione italiana sia contraria alla guerra ma che non venga ascoltata». L’Anpi lancerà presto anche un’altra campagna per il cessate il fuoco, «Netanyahu può essere colpito attraverso sanzioni come il blocco delle esportazioni delle nostre armi o quello delle merci: nell’accordo tra Ue e Israele c’è una clausola sul rispetto dei diritti umani».

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