LA UE NON CAPISCE PIÙ QUAL È IL SUO POSTO NEL MONDO da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA UE NON CAPISCE PIÙ QUAL È IL SUO POSTO NEL MONDO da IL FATTO

Trump-Putin. La Ue non capisce più qual è il suo posto nel mondo

Alessandro Orsini  25 Febbraio 2025

Gli Stati Uniti votano contro l’integrità territoriale dell’Ucraina all’Onu. Sembra che in Italia nessuno capisca la vera ragione dello smarrimento dell’Unione europea davanti al precipitare degli eventi. Alcuni dicono che il disorientamento dei leader europei è causato dalle mosse inattese di Trump, ma quelle mosse erano attesissime giacché Trump aveva iniziato a insultare Zelensky in campagna elettorale. Altri sostengono che lo smarrimento è causato dal riavvicinamento tra Trump e Putin, ma anche questo disgelo era annunciato giacché Trump sfoggia la sua fascinazione per Putin da anni. Qual è la ragione profonda dello smarrimento dell’Europa davanti all’Ucraina distrutta? A causa dei suoi smisurati complessi di superiorità eurocentrici, l’Unione europea non immaginava, non sapeva, non capiva, che la Russia può schiacciarla con un pugno. Le guerre svolgono in politica la stessa funzione che la ricerca svolge nella scienza. Le guerre servono per confermare o smentire le ipotesi dei governanti sulla forza militare dei nemici. Le ipotesi sono spiegazioni provvisorie in attesa di conferma empirica. L’ipotesi dell’Unione europea – in realtà una certezza assoluta – era che la Russia fosse debolissima e l’Europa fortissima. La guerra in Ucraina ha dimostrato l’inconsistenza militare dell’Europa a petto della Russia. L’ipotesi iniziale era sbagliata. L’Europa ha basato la sua politica sulla forza. Non avendo la forza, è rimasta senza la politica. I leader europei stanno realizzando questa nuova realtà. Dico “stanno realizzando” perché l’assorbimento del trauma psicologico passa attraverso varie fasi.

Nei miei studi, la prima fase prende il nome di “disintegrazione dell’identità sociale”. L’individuo traumatizzato deve ripensare il proprio sé, la propria identità, il che gli impone di ripensare il suo rapporto con il mondo circostante. Il sé, di cui parla George Herbert Mead, nasce e si forma nel rapporto con gli altri. Questo aiuta a capire perché molte persone in crisi esistenziale preferiscono trasferirsi in un ambiente nuovo. Cambiare il solito modo di interagire con gli altri è difficile e penoso. Meglio ripartire da zero. Il dramma è che gli Stati europei non possono scappare in nessun luogo. I Paesi dell’Unione europea sono smarriti perché non sanno rispondere alla seguente domanda: “Preso atto che la Russia può schiacciarci facilmente, qual è il nostro posto nel mondo?”. L’individuo traumatizzato, quando è senza vie di fuga, si disorienta e spesso si dispera.

È ciò che sta accadendo a Macron, Meloni, Ursula von der Leyen e agli altri leader europei. Tacciono o balbettano. I leader europei sono paralizzati davanti alle decisioni di Trump perché non sanno cosa fare in questo mondo a loro sconosciuto: un mondo dove l’Unione europea non ha deterrenza contro la Russia. È come se i leader europei scoprissero soltanto oggi che la Russia ha seimila testate nucleari che userebbe in caso di guerra con l’Europa. Come uscirne? Nella psicanalisi, il primo passo per fronteggiare un trauma consiste nel ristabilire il contatto la realtà. Eccola: la Russia ha distrutto politicamente l’Unione europea. L’Unione europea, sotto il profilo politico, è morta. Dovrà ricostruire il proprio sé a partire da questa tragica realtà. I colloqui Trump-Putin sono una mortificazione quotidiana per l’Europa. L’Unione europea, per dirla con Mead, deve diventare un nuovo oggetto a sé stessa. Le servirà tempo per acquisire la coscienza della propria inferiorità rispetto alla Russia. Ci sono momenti in cui la psicanalisi impone di sbattere in faccia la realtà con brutalità.

Guerra e effetto domino: le cause del voto all’Afd

Donatella Di Cesare  25 Febbraio 2025

L’esito delle elezioni inaugura un nuovo capitolo della storia tedesca. Si chiude definitivamente il lungo periodo del dopoguerra, segnato dal peso della colpa per lo sterminio e dal tentativo, mai pienamente riuscito, di riunificare Est e Ovest, e si apre una nuova epoca che presenta già molte incognite e molte incertezze. Basta per questo guardare la composizione del futuro Parlamento. Raddoppia i consensi Afd, si afferma la Cdu-Csu di Merz, mentre affonda l’Spd di Scholz che paga le numerose ambiguità. Scompaiono formazioni storiche come i liberali, mentre i Verdi scontano gli errori compiuti in questi anni, primo fra tutti una politica estera forsennatamente bellicista. Le urne premiano Die Linke, il partito della sinistra votato soprattutto dai più giovani. Comunque andranno le consultazioni, Afd avrà certamente un’influenza e un’autorità che difficilmente saranno pregiudicate da un “cordone sanitario” sempre più lacerato. È possibile, anzi, che proprio dall’opposizione riuscirà a incidere sulle scelte della politica tedesca.

Non basta dolersi perché nel Paese europeo dove è nato il nazionalsocialismo, possa risorgere in questa misura una forza politica in linea di continuità con quei valori. Ma forse è venuto il momento di interrogarsi sui motivi che hanno portato tanti tedeschi a votare Afd, non solo a Est, ma anche a Ovest con percentuali considerevoli. Si tratta in gran parte di ceti poveri o impoveriti, afflitti dalla mancanza di lavoro, preoccupati per la difficoltà di mantenere un decente livello di vita, inquietati dal futuro.

È stato spesso indicato il tema dell’immigrazione, che certamente ha svolto un ruolo importante, mentre si passa invece sotto silenzio la guerra d’Ucraina. Eppure, è proprio dal crescente malumore verso la politica estera che Afd ha attinto consensi. Come dimenticare Nord Stream 2? Il gasdotto, decisivo per l’economia tedesca, fu mandato in pezzi nel settembre 2022 da un gruppo di sabotatori ucraini. Al di là della fosca vicenda, appariva chiaro già allora che proprio la Germania era il bersaglio della politica estera statunitense. E una Germania indebolita significa anche un’Europa in frantumi.

Uno dei risultati più evidenti della guerra d’Ucraina – comunque andranno i negoziati – è l’interruzione della Ostpolitik che, in forme diverse, la Germania ha perseguito con forza sin da 1946. Ciò che restava dell’industria tedesca poteva trovare respiro solo grazie alle risorse energetiche russe. Cambiavano i governi, ma restava questa direzione, fino ad Angela Merkel.

La carica esplosiva che squarcia il gasdotto non è solo simbolica. Lì per lì in Germania si tace, ma Afd sa trarne profitto. È filoputinismo? Si tratta di un giudizio sbrigativo che vieta di capire i grandi cambiamenti di questi ultimi anni. Subito dopo l’aggressione russa i partiti tradizionali votano con entusiasmo per il riarmo, plaudono alle scelte della Nato senza fermarsi a riflettere sui risvolti interni. Crisi energetica e recessione sono alle porte, ma si fa finta di non vederle. Il suicidio si consuma grazie all’ottusità di una classe politica tanto legata alla dirigenza di Bruxelles quanto scissa e separata dal Paese. Si apre così la strada ad Afd che ha la capacità di convogliare e guidare risentimento, malumore, rabbia. Che ne è degli interessi tedeschi? E del futuro della Germania? Se dopo il 2015, e l’ingresso dei siriani, l’immigrazione poteva ancora essere gestita, con il nuovo scenario di guerra si scatena un effetto domino. C’è una Germania che non ha mai dimenticato la sconfitta bruciante del 1945, quando la più grande potenza militare e industriale aveva ormai in mano le redini del Vecchio continente, e c’è la Germania dell’ex Ddr che non ha mai accettato l’effettivo declassamento. Ma gli spettri del passato ricompaiono in carne e ossa per la miopia di chi nel presente ha responsabilità politiche.

Lo scenario che oggi si apre è di grande instabilità soprattutto a causa del freno all’indebitamento che paralizza l’economia. Per superarlo occorre cambiare la Costituzione, il che è possibile solo con i due terzi del Parlamento, cioè con i voti di Afd. Verrebbe meno così il cordone sanitario. Si prevede inoltre che la maggior parte dei fondi sarebbe investita nel riarmo. A volerlo sono quasi tutti i partiti tradizionali, in testa la Cdu di Merz. L’alternativa sarebbe la proclamazione da parte del governo di uno “stato d’emergenza” per eliminare il freno. In entrambi i casi diventa decisiva Afd. E Alice Weidel è oggi ben consapevole del suo potenziale. Può contare peraltro su un’opinione pubblica che – nonostante il successo della Linke – è sempre più spostata a destra.

Lo scenario non potrebbe essere, dunque, più inquietante: una Germania armata fino ai denti con un forte partito neonazista. Ma l’Europa non era forse nata per evitare tutto ciò?

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