ITALIA: TANTA ACQUA e TANTA SICCITÀ allo STESSO TEMPO da AGI e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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ITALIA: TANTA ACQUA e TANTA SICCITÀ allo STESSO TEMPO da AGI e IL FATTO

“Vi spiego perché in Italia abbiamo tanta acqua e tanta siccità allo stesso tempo”

Erasmo D’Angelis: “Noi abbiamo 526 grandi dighe più circa 20 mila piccoli invasi. Immagazziniamo oggi più o meno l’11,3% dell’acqua piovana in questi contenitori. Cinquant’anni fa se ne immagazzinava circa il 15%”

 Alberto Ferrigolo  26 giugno 2022

– Dottor D’Angelis, qual è la novità clamorosa di questa siccità? “Che ha colpito il Nord, al Sud – si sa – è endemica, ci si fa i conti da anni, ma il Nord è in condizioni mai viste. Questo è un campanello d’allarme forte. Ecco perché il Pnrr deve finanziare la Rete delle reti, che sono le vie d’acqua. Va bene finanziare le reti stradali, autostradali, ferroviarie, le reti digitali, ma la rete idrica è essenziale, vitale. Siamo rimasti all’Ottocento, a quelle opere lì, il Canale Cavour, ma ora bisogna avviare un nuovo cantiere di opere come è stato fatto alla fine di quel secolo e negli anni ’50 e ’60 del dopoguerra. È un lavoro enorme, ma va fatto”.

Mario Tozzi, ambientalista e divulgatore scientifico della tv, l’ha definito “una enciclopedia dell’acqua, con risposte a ogni domanda possa venire in mente” e anche come “un libro di storia, che parte dalla mitologia, ma è pure un trattato di idrologia e di idrografia, un prontuario, ma anche una lettura stimolante che apre punti di osservazione poco comuni”, come osserva nell’introduzione. Stiamo parlando di “Acque d’Italia” (Giunti Editore, € 7,50) scritto da Erasmo D’Angelis tra i massimi esperti di acque e delle sue problematiche ambientali e climatiche, un lungo impegno di ecologista e giornalista ambientale, già presidente di Publiacqua, l’azienda degli acquedotti e della depurazione della Toscana centrale, presidente della Commissione Ambiente del Consiglio Regionale della Toscana, sottosegretario del Governo Letta con delega anche alle dighe e infrastrutture idriche, ideatore e coordinatore di Italiasicura, la struttura di missione di Palazzo Chigi per il contrasto al dissesto idrogeologico e lo sviluppo delle infrastrutture idriche, oggi nelle vesti di Segretario Generale dell’Autorità di bacino dell’Italia Centrale.

Il suo libro esce nella fase più critica dell’approvvigionamento idrico del nostro Paese, con il Po in secca e un rischio razionamento assai vicino, e all’Agi dice in questa intervista: “Siamo un paese paradossale, perché siamo il Paese più ricco d’acqua d’Europa e questa è una cosa da Settimana Enigmistica. Incredibile, ma è vero”.

Però parlare di acqua oggi in Italia è come parlare di corda in casa dell’impiccato, riferito all’emergenza siccità.

“Eppure abbiamo un cumulato di pioggia elevato, anche perché due terzi dell’Italia è fatto da colline e montagna e sui rilievi piove tanto. Non ce ne accorgiamo, perché viviamo tutti in pianura, ma abbiamo piogge medie l’anno per 302 miliardi di metri cubi. Un raffronto? A Roma piovono ogni anno in media circa 800 millimetri di pioggia, a Londra 760 e però, nell’immaginario, l’Inghilterra è il Paese delle piogge come la Germania, la Francia. Noi abbiamo più piogge, più corsi d’acqua di ogni altro paese europeo: ne abbiamo 7.596, di cui 1.242 sono fiumi. Ma tutti i nostri corsi d’acqua, di cui oggi la gran parte sono in secca, alcuni sono addirittura polvere, hanno – unico paese europeo di queste dimensioni – un carattere torrentizio, non fluviale come sono i grandi fiumi europei, che sono lunghi oltre mille chilometri, larghi che sembrano enormi laghi. Ma in Italia se c’è pioggia hanno acqua, se non c’è vanno in secca subito. Infatti rischiamo le alluvioni proprio perché d’improvviso non ce la fanno ad assorbire l’acqua”.

Una condizione che però è insieme un paradosso e una contraddizione.

“Esatto. Ma il paradosso è che siamo ricchi d’acqua, abbiamo 342 laghi, ma siamo poverissimi d’infrastrutture idriche. I grandi investimenti italiani negli schemi idrici si sono fermati negli anni ’60 dal Novecento. E da lì in poi, trent’anni dopo, lo Stato ha cancellato di fatto dai fondi pubblici tutte le risorse per il bene pubblico e con la legge Galli del 1996 ha delegato per l’idropotabile tutto alle risorse della tariffa e non sono state più costruite né dighe né invasi”.

Il risultato qual è?

“Noi abbiamo 526 grandi dighe più circa 20 mila piccoli invasi. Immagazziniamo oggi più o meno l’11,3% dell’acqua piovana in questi contenitori. Cinquant’anni fa se ne immagazzinava circa il 15%, perché nel frattempo non essendoci manutenzione, sfangamenti – i sedimenti mano a mano si accumulano e lo spazio per l’acqua si riduce –, il risultato è che abbiamo queste grandi dighe che non vengono ripulite perciò riescono a stoccare sempre meno acqua”.

Allora, l’acqua c’è, in abbondanza, non sappiamo trattenerla ma dove finisce?

“Ne sprechiamo una quantità inenarrabile. Fatto 100 i prelievi dell’acqua, noi però sappiamo quasi tutto solo di un segmento del 20%, che è poi l’acqua che arriva al rubinetto. Ed è l’unica acqua controllata da un’autorità, che è Arera, Autorità di controllo di energia, gas, acqua che controlla le aziende idriche. E sappiamo che nei 600 mila km di rete idrica italiana noi perdiamo per strada il 42% di acqua. Uno scandalo, la più alta percentuale mai esistita”.

Ma dell’80% d’acqua che resta, cosa sappiamo invece?

“Questo è il punto. Su quell’80% non c’è alcuna autorità di controllo, di regolazione. Circa il 51% viene utilizzato in agricoltura, dove se ne spreca almeno la metà con l’irrigazione a pioggia, e poi c’è un 25% di acqua prelevata per usi industriali. Siamo l’unico paese europeo che con l’acqua potabile ci lava i piazzali, gli automezzi, raffredda gli impianti produttivi, quando potrebbe esser fatto con il riuso delle acque di depurazione, di riciclo. Noi abbiamo ottimi depuratori da cui fuoriescono più o meno 9 miliardi di metri cubi acqua ogni anno, anche di grande qualità, trattata, depurata, e la ributtiamo a mare…”

Come in mare?

“Siamo l’unico paese europeo che non riusa l’acqua di depurazione. E da giugno del prossimo anno l’Europa ci sanziona anche per questo motivo. Abbiamo un ritardo pazzesco nelle infrastrutture idriche dell’acqua che va al rubinetto perché con la legge Galli tutto è delegato alla bolletta e avendo noi la bolletta più bassa d’Europa, non è che con i proventi si possono fare grandi riparazioni, sostituzioni, sono costose. L’acqua non è più nei bilanci dei Comuni, delle Regioni. La conclusione di questo stato paradossale è il Pnrr: su quasi 200 miliardi l’acqua ne ha 4, il 2% delle risorse. Una cosa indecente”.

Più che crisi idrica per mancanza d’acqua è crisi di infrastrutture.

“Certo, è un problema di stoccaggio e distribuzione. Oggi ci mancano almeno 2.000 piccoli e medi invasi ma c’è il piano dei Consorzi di bonifica che ne ha 400 pronti e progettati solo da sbloccare”.

Cosa impedisce di farlo?

“I finanziamenti. C’è molto disinteresse e rimozione del problema acqua”.

Anche Draghi?

“Anche questo governo. Tutti i governi, nessuno escluso. Abbiamo avuto due grandi siccità, nel 2003 e nel 2017, ma come accade in tutte le cose passata l’emergenza ce ne dimentichiamo, rimuoviamo tutto. Dopo le grandi emozioni arrivano le grandi rimozioni. La nostra indole è questa: dimenticare”.

Chi sta peggio di noi? Il Sahel?

“Il punto è che ci stanno arrivando solo ora gli effetti delle previsioni climatiche fatte venti anni fa, che ci dicevano delle ondate di calore permanenti, precoci, che hanno devastato le fasce mediterranee, quelle africane, spagnole, eccetera: alla fine sono arrivate. Purtroppo questa crisi è il preannuncio di quello che accadrà nei prossimi trent’anni come ci spiegavano i climatologi anche ieri”.

Proprio ieri il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, è stato a dir poco apocalittico.

“Le previsioni climatiche sono queste. Il professor Renzo Rosso, un luminare dell’idrologia, addirittura ci diceva ieri che questo potrebbe essere l’anno più fresco dei prossimi trenta. A dimostrazione che c’è un problema enorme e che va gestito con una pianificazione che può durare anni ma che è importante fare da subito. È come per l’altra faccia delle alluvioni, passata l’emergenza nessuno pensa a mettere in sicurezza il territorio”.

Lei lamenta il fatto che non è mai stato indetto un G7 o un G20 sull’acqua. Si farà mai?

“Spero di sì. Ma che nel frattempo in Italia si facciano almeno sedute straordinarie del Parlamento per lanciare un Piano acqua per i prossimi trent’anni, con risorse adeguate. Alcune cose vanno messe in cantiere subito, immediatamente i 400 medi e piccoli invasi in tutta Italia, un set di tecnologie in l’agricoltura per il risparmio idrico, un’agricoltura di precisione o 4.0 della Coldiretti, tutte cose che fanno risparmiare il 70% delle risorse irrigue. Si deve portare acqua in tutte le fasce costiere dove il cuneo salino sta penetrando per 15, 20 chilometri nell’entroterra. Il Piave, fiume Sacro alla Patria della Prima Guerra Mondiale, che d’improvviso tracimò sbarrando la strada e inghiottendo il nemico che lo stava attraversando, “il Piave mormorò…”, per 13 km è salato. Il mare avanza. Man mano che si riducono le falde dolci costiere perché s’irriga e si svuotano, quelle si riempiono con l’acqua salmastra del mare che sale. L’acqua va portata lì, altrimenti quelle aree si desertificano. Già un 20% di fascia costiera è desertificato e l’agricoltura non può più esser praticata”.

L’Italia s’è candidata ad essere il Paese che vorrebbe ospitare il Decimo Forum Mondiale dell’acqua per il 2024. Ce la farà?

“No, ma abbiamo spuntato un evento mondiale sull’acqua e la cultura da fare nel 2023. Il Forum del ’24 è andato all’Indonesia, ma noi lo avremo quasi sicuramente nel 2027. Però il prossimo anno ci sarà questo evento mondiale in Italia sulla cultura dell’acqua, siamo comunque al centro dell’attenzione”.

Una raccomandazione?

“Di non sprecare più neanche una goccia d’acqua, è la raccomandazione numero 1”.

Cioè tirare l’acqua una volta su quattro, lavarsi meno o, come dice Fulco Pratesi, presidente onorario del Wwf, cambiarsi le mutande ogni tre, quattro giorni…?

“No, no, laviamoci, beviamo, perché comunque non siamo in un’area desertica. L’igiene è la prima cosa. Quanto a Fulco, lo fa anche quando ci sono piogge torrenziali. È il suo stile di vita. Da sempre ha quest’approccio accorto sull’uso delle risorse naturali. Ma sono soluzioni estreme. Non dimentichiamoci che l’Italia ha tutte le forme dell’acqua del Pianeta Terra, dai ghiacciai alle cascate, le paludi, fiumi, laghi, laghetti. Ci rendiamo conto? Nessun Paese è come il nostro, eppure siamo in questa condizione per lo spreco, la mancanza di infrastrutture, lo scarso impiego delle tecnologie per il risparmio e un piano per il riuso dell’acqua adeguato”.

La siccità ha un pregio: sono riemerse le balle

 

ELISABETTA AMBROSI  25 GIUGNO 2022

Può esistere un aspetto positivo in questo dramma infinito della siccità, nello scenario insopportabile di fiumi e laghi asciutti, nell’Italia in ginocchio per la sete? Parrebbe nessuno. E invece forse uno ce n’è. La siccità che sta colpendo l’Italia è un’enorme operazione di verità. È un fatto, che non si presta ad ambigue interpretazioni, a discussioni tanto infinite quanto sterili. L’acqua non c’è. Punto. E per questo la siccità spazza via, speriamo per sempre, alcune nefaste categorie che hanno inquinato il nostro spazio pubblico e mediatico.

Anzitutto, la siccità smaschera la categoria dei tecnocrati, i fautori del progresso e della “tecnologia che ci salverà”, detrattori comodamente seduti dell’“ambientalismo ideologico”. Purtroppo, non possiamo berci i nostri tablet né i loro gassificatori e già questo dimostra il loro fallimento. Soprattutto c’è da chiedersi come mai questi fautori a oltranza della scienza e tecnica non siano stati capaci di leggere un solo straccio delle migliaia di report scientifici sui rischi della crisi climatica per l’acqua e il cibo degli ultimi cinquant’anni. Attenzione, perché è probabile che tra poco costoro, che usano i numeri come gli fa comodo, cioè loro sì ideologicamente, cominceranno a chiedere la costruzione di enormi dissalatori, che consumano altra energia e producono scorie, pur di evitare di cambiare vita ed ammettere che un bambino di prima elementare aveva capito le cose meglio di loro.

Ma c’è una seconda categoria spiazzata dalla sete italiana. Quelli che “quanto è bella la sostenibilità, magari facciamo anche una festa e cantiamo e balliamo per l’ambiente”. Settimanali che spiegano ai cittadini come essere green con questo o quel piccolo cambiamento, come la crema biodegradabile che costa più dell’inquinante, ma anche – soprattutto e con maggiore malafede – grandi quotidiani che magari fanno una festa green and blue all’ambiente dopo avergliela fatta, nell’altro senso, promuovendo aziende e lobby che di green hanno solo il greenwashing. Non c’è niente da festeggiare. La crisi climatica, e la siccità che ne segue, sono una tragedia infinita che non abbiamo ancora idea di come affrontare.

Ancora: la siccità spazza via la categoria di quelli che “daje ai fautori della decrescita”, cioè quelli da sempre critici con chi promuoveva maggior frugalità, bollati come pauperisti maleodoranti che volevano mettere a rischio la nostra economia. Ebbene, la siccità ci mette di fronte al fatto che, non avendo più acqua, potremmo anche non avere più niente da mangiare, visto che il cibo sarà sempre più prezioso ovunque e ogni nazione tenderà a tenersi quello che ha. Altro che decrescita: saremo costretti a una radicale revisione forzata di ciò che mangiamo (pare che il sorgo sia un cereale che resiste anche nel deserto), e di come ci spostiamo. Non era meglio un po’ di decrescita felice fatta prima?

Ci sono infine i negazionisti climatici, giornalisti e politici, un residuo umano che ancora sussiste. Oggi alcuni di questi stanno cercando di smarcarsi dalle proprie posizioni – vedi Salvini – e cominciano a biascicare parole come “ambiente” e “animali”. Arriveranno a capire la crisi climatica nell’aldilà.

Infine la siccità smaschera buona parte della nostra classe politica ignara del tema climatico. D’altronde, avendo vissuto in questi anni chiusa in Transatlantico, come poteva percepire l’aria sempre più torrida e le campagne asciutte? Il guaio è che se un tempo la malapolitica provocava aumento del debito pubblico e disservizi, oggi mette letteralmente a rischio la nostre pelle. È assordante il silenzio sul tema di Draghi e anche quello di Cingolani, che pure manda un comunicato al giorno sulla qualunque. D’altronde, solo noi italiani, ma cosa abbiamo fatto di male, abbiamo avuto la disgrazia di un ministro della Transizione ecologica che parla di “lobby del rinnovabilismo” e di “ideologia” sulla fine della macchine a benzina. Solo noi italiani, ma che abbiamo fatto di male, abbiamo un primo ministro che se non ambientalista avremmo sperato fosse europeista, e dunque ambientalista di ritorno, e invece sulla crisi climatica tace, mentre noi siamo costretti a far morire i nostri giardini e i nostri orti.

Ma assordante è anche, infine, il silenzio di quei giornalisti dei talk show, che dopo averci per mesi ossessionato con la loro lezioncina pedagogica sull’aggredito e l’aggressore, mai si sono occupati di siccità. Perché non sanno, in questa che è la più grande delle battaglie, chi è l’aggredito e l’aggressore. Perché la crisi climatica non è una favoletta e per raccontarla ci vuole studio, competenza, anche coraggio. E soprattutto scarso o nullo narcisismo.

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