I CAMBIAMENTI CLIMATICI E LE GUERRE HANNO LA STESSA CULTURA PREDATORIA da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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I CAMBIAMENTI CLIMATICI E LE GUERRE HANNO LA STESSA CULTURA PREDATORIA da IL MANIFESTO e IL FATTO

I cambiamenti climatici e le guerre hanno la stessa cultura predatoria

COMMENTI. Nel 2007 facevo parte del comitato direttivo dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che quell’anno vinse il premio Nobel per la Pace, ex-aequo con Al Gore. Ero ovviamente molto orgoglioso […]

Filippo Giorgi  16/11/2023

Nel 2007 facevo parte del comitato direttivo dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che quell’anno vinse il premio Nobel per la Pace, ex-aequo con Al Gore. Ero ovviamente molto orgoglioso di condividere questo riconoscimento con la comunità scientifica dell’IPCC, ma quando mi si chiedeva perché dare il Nobel per la pace a un gruppo di scienziati del clima, devo ammettere che trovavo difficoltà ad
avere una risposta convincente.

Oggi però questa risposta mi è molto più chiara, perché ho realizzato che i cambiamenti climatici e il degrado ambientale hanno la stessa matrice culturale della guerra e della povertà, quella che chiamerei una cultura «predatoria deviata».

Predatoria perché come gli esseri umani si arrogano il diritto di razziare, sfruttare e uccidere altre comunità di esseri umani per i propri interessi (e a volte per motivi non ben specificati), così si arrogano il diritto di depredare e distruggere in maniera indiscriminata le risorse limitate del pianeta, risorse che peraltro appartengono anche, se non soprattutto, alle generazioni future.

Cultura deviata perché è vero che esistono tante specie di animali predatori – il leone, l’aquila, lo squalo – ma queste predano per necessità e mantengono un equilibrio con l’ambiente che le circonda, in quanto sanno che alterare questo equilibrio significa minacciare la loro stessa sopravvivenza.

Invece la specie umana sta minando in maniera irreparabile il suo equilibrio con il pianeta in cui vive, e questo inevitabilmente metterà a repentaglio lo sviluppo sostenibile della società come oggi la conosciamo.

Le grandi crisi del ventunesimo secolo sono crisi ambientali: inquinamento, perdita di biodiversità, scarsità di acqua, cibo ed energia, un clima sempre più ostile e distruttivo. Siamo in una folle corsa verso la «tempesta perfetta» a causa degli interessi spropositati («deviati») di una piccola frazione di esseri umani che detiene la maggior parte delle ricchezze del pianeta, mentre la gran parte della popolazione mondiale vive ai limiti se non al di sotto della soglia di povertà ed è spesso costretta a migrare dalle proprie terre per sperare in una vita migliore.

Quali ingredienti migliori per fomentare le tensioni geopolitiche che in questi anni stanno affliggendo tante parti del nostro pianeta. Forse l’essere umano è il predatore per eccellenza, ma il sistema socioeconomico in cui viviamo, ossessionato dalla crescita continua (concetto che non si trova in natura), che amplifica le disparità sociali, economiche e di disponibilità delle risorse, sicuramente gioca un ruolo fondamentale nel rafforzare questa cultura predatoria.

Ma non si può cedere alla rassegnazione, che è foriera di indifferenza e inazione. Tutto parte dalla consapevolezza che ogni nostra azione lascia un’impronta, seppur piccola, sul pianeta, e contribuisce a creare una cultura.

Se agiamo collettivamente e consapevolmente, possiamo essere noi gli artefici di un futuro migliore che lasceremo in eredità ai nostri figli.
Oggi la scienza ci fornisce le soluzioni alle emergenze ambientali che assediano il pianeta, soluzioni tecnologicamente ed economicamente realizzabili, che coinvolgono le nostre azioni quotidiane come le grandi scelte della comunità internazionale.

Ma questo non basta, se non è accompagnato da un cambiamento, lo definirei un progresso, culturale. Abbandoniamo la cultura predatoria per una cultura dell’empatia, un’empatia per gli esseri umani come per la natura che ci sostiene, trasmettiamola ai nostri figli, e avremo eradicato il seme della guerra e della povertà e insieme raggiunto una nuova armonia con il pianeta.

* Filippo Giorgi è il responsabile della Sezione Fisica della Terra del Centro internazionale di Fisica Teoretica di Trieste. Il suo gruppo di lavoro nel 2007 ha vinto ex-equo con Al Gore il Premio Nobel per la Pace. Oggi ga parte di molti comitati scientifici internazionali. Nel 2018 ha pubblicato il libro divulgativo «L’uomo e la farfalla. Sei domande su cui riflettere per comprendere i cambiamenti climatici» (Franco Angeli editore). Sabato interverrà come relatore al premio giornalistico internazionale Marco Luchetta di Trieste

Col testo unico sull’ambiente il Governo vuole le mani libere

 

 GIANFRANCO AMENDOLA  16 NOVEMBRE 2023

Questo governo si appresta a dare il colpo di grazia alla già scarsa operatività della normativa di tutela ambientale. Pochi giorni fa, infatti, i ministri per l’Ambiente, Gilberto Pichetto Frattin, e per le Riforme istituzionali, Elisabetta Casellati, hanno istituito, con decreto, una commissione interministeriale per rivedere tutte le leggi vigenti di tutela dell’ambiente “onde raccoglierle in un unico testo normativo coerente con la legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1 e con i principi euro-unitari e internazionali”.

Una radicale semplificazione della normativa ambientale sarebbe certamente auspicabile perché già oggi anche un esperto della materia fatica spesso a capire che cosa prevede la legge. L’opposto, insomma, di quello che ci vorrebbe per incrementare la legalità nel settore e cioè poche norme chiare, facilmente comprensibili da tutti. Tanto per fare un esempio, attualmente il grosso della normativa ambientale è contenuto nel Tua (Testo unico ambientale: D.Lgs 152 del 2006) che inizialmente constava di 318 articoli e 45 allegati, ma dopo appena 12 anni, aveva già subito 762 modifiche. E pertanto è del tutto condivisibile la premessa del decreto secondo cui il Tua necessita di una “profonda attività di revisione”. Ma su tutto e non solo per garantirne la “coerenza” con le nuove norme costituzionali sull’ambiente e con i principi eurounitari e internazionali che già oggi, in ogni caso, costituiscono un obbligo per la interpretazione e applicazione della normativa vigente.

Se, a questo punto, andiamo a leggere il decreto, si apprende che la commissione è composta di 32 membri, quasi tutti avvocati e professori (e qualche generale) sconosciuti in campo ambientale, assistita da 22 “tecnici” dove, come segnala Repubblica, ci sono anche ‘trombati’ alle elezioni (che vengono, così, “ripescati”) nonché numerosi avvocati e ingegneri che lavorano, o hanno lavorato per conto di lobby potenti e interessate alla realizzazione di grandi opere nel settore dell’energia e delle costruzioni.

Ma la cosa più stupefacente sono i tempi e i compensi: la commissione deve ultimare la predisposizione di uno schema di legge delega per la riforma della normativa ambientale “entro e non oltre il 31 gennaio 2024” mentre gli schemi dei decreti attuativi dovranno essere predisposti “entro e non oltre il 31 dicembre 2024”. E, quanto ai compensi, il decreto stabilisce che “gli incarichi di presidente… di co-presidente, nonché di componente della Commissione, del Gruppo di esperti e della Segreteria tecnica sono svolti a titolo gratuito”. Lavorando gratis e a spese proprie, la commissione, decidendo a maggioranza, dovrebbe ultimare il grosso del lavoro entro due mesi (incluse le feste natalizie). Il che lascia presupporre che, in realtà, sia già stato deciso quello che dovrà proporre. E, di certo, non si tratta di miglioramenti, per i quali certamente, a prescindere dalla gratuità dell’incarico, non vi sarebbe neppure il tempo per una seria elaborazione.

Del resto, il buongiorno si vede dal mattino. Senza che nessuno ne parlasse, già a febbraio 2023 questo governo ha programmato, con decreto legge, una modifica della normativa sulle terre e rocce da scavo “al fine di razionalizzare e semplificare le modalità di utilizzo delle stesse, anche ai fini della piena attuazione del Pnrr”; preannunciando, quindi, che ben presto le terre e rocce da scavo pesantemente inquinate prodotte dalla realizzazione delle grandi opere verranno “liberalizzate” e non più trattate come rifiuti. Esattamente il contrario di quello che dovrebbe fare se veramente volesse dare attuazione alle recenti modifiche costituzionali sull’ambiente.

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