GUERRA PER PROCURA E NEMICO FANTASMA da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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GUERRA PER PROCURA E NEMICO FANTASMA da IL FATTO

Guerra per procura e nemico-fantasma

 Domenico Gallo  10 Aprile 2025

Lo spirito bellico deve penetrare in profondità nella società. Per questo l’Europarlamento è pronto a ridurre le libertà costituzionali e a creare un controllo culturale in stile maccartista

La risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 2 aprile sull’attuazione della politica di sicurezza e difesa comune disegna un passaggio storico di cui ancora non ci siamo resi conto.

Le critiche mosse da più parti si incentrano tutte sulla gravosità del piano di riarmo ReArm Europe, pudicamente ribattezzato Readiness 2030. In realtà il piano di riarmo si inserisce all’interno di una strategia più vasta e va valutato alla luce di tale strategia. “Prontezza 2030” è una strategia di preparazione alla guerra, come ha dichiarato il 18 marzo a Copenaghen la stessa Ursula von der Layen. Ovviamente la Von der Layen ha precisato che dobbiamo prepararci alla guerra per evitare la guerra. Del resto lo dicevano anche gli antichi romani, la guerra si prepara per la pace (si vis pax, para bellum).

Di fronte alla prospettiva che la guerra in Ucraina possa cessare perché i due principali attori, gli Usa e la Russia, hanno deciso di aprire un negoziato, le istituzioni europee, si sono attivate per scongiurare che dall’eventuale cessate il fuoco possa prendere forma un processo di pace. La risoluzione del Parlamento europeo, in ordine al sostegno all’Ucraina e alla sua pretesa di “vincere” la guerra con la Russia, ribadisce le posizioni bellicose e irresponsabili già espresse ripetutamente.

Con questa premessa, se finalmente dopo tre anni di massacri si giungerà al cessate il fuoco, si tratterà solo di una tregua perché dalla guerra per procura si passerà a una mobilitazione bellica permanente dell’intera Unione europea. È questa la vera novità annunciata con dovizia di particolari nella risoluzione del Parlamento europeo: la mobilitazione generale per prepararci alla guerra con la Russia. Non è facile convincere dei popoli resi imbelli da 80 anni di (quasi) pace, a calarsi l’elmo in testa. Bisogna inventarsi una minaccia grave e cominciare a terrorizzare la gente con espedienti assurdi come il ‘kit di sopravvivenza’ presentato dalla commissaria europea Hadja Lahbib. La costruzione del nemico è il compito a cui si dedica la risoluzione ricorrendo a invenzioni retoriche e falsificazioni abnormi della realtà. Si parte osservando che “la scelta del regime russo di minare l’ordine internazionale (…) e di dichiarare guerra ai paesi europei o di cercare di destabilizzarli, al fine di realizzare la sua visione imperialista del mondo, rappresentano la minaccia più grave e senza precedenti per la pace nel mondo, nonché per la sicurezza e il territorio dell’Ue e dei suoi Stati membri…”. Sarebbe vano chiedere ai politici che agitano con tanta sicumera il fantasma di una minaccia esiziale, le prove di tali loro affermazioni. Da dove risulta che la Russia ha scelto di dichiarare guerra a qualche paese europeo, oppure che ha intrapreso operazioni di destabilizzazione come hanno fatto gli Usa in piazza Maidan? In realtà questa è una visione del nemico a parti rovesciaste, come l’immagine in uno specchio.

Attribuiamo alla Russia quanto noi stessi stiamo facendo per renderci nemici alla Russia. Quando si parla di una minaccia grave e senza precedenti, questo è proprio quello che fa il Parlamento europeo, quando: “Invita gli Stati membri a revocare tutte le restrizioni che impediscono all’Ucraina di utilizzare sistemi d’arma occidentali contro obiettivi militari legittimi in territorio russo”. Quando si paventa la scelta della Russia di dichiarare guerra ai paesi europei, è vero l’opposto. La fornitura di armi di ogni tipo per consentire all’Ucraina di combattere meglio contro le forze armate russe e la direzione strategica delle operazioni militari operata nella base di Wiesbaden, come rivelato dal New York Times il 29 marzo, non sono forme di ostilità che ci rendono – in senso tecnico – cobelligeranti contro la Russia? A essere onesti dovremmo chiederci da quale parte proviene la minaccia e contro chi si rivolge.

La favola della Russia che si prepara ad aggredire altri paesi europei è un’elucubrazione al di fuori del principio di realtà. I dati ufficiali del Sipri dimostrano che attualmente la spesa militare dei Paesi Ue e della Gran Bretagna è circa tre volte superiore a quella russa (461,6 miliardi di dollari a fronte di 145,9 miliardi). La Russia ha una popolazione che è solo un terzo di quella europea, ha abbondanza di risorse e materie prime ma non ha le capacità finanziarie e industriali per poter sfidare un intero continente.

Per prepararsi alla guerra il primo passo è l’invenzione del nemico. Sulla base di questo presupposto bisogna lavorare per far girare tutto il sistema in direzione della prontezza bellica. Questo è l’obiettivo perseguito dalla risoluzione. Innanzitutto il riarmo, il Parlamento europeo “accoglie con favore il piano ReArm Europe”. Ciò comporta il rafforzamento del pilastro europeo della Nato. Quindi la risoluzione si dilunga sul rafforzamento della capacità industriale sul fronte degli armamenti. Per incrementare la produzione industriale di armamenti naturalmente occorrono risorse adeguate. Non basta il 2% del Pil richiesto dalla Nato, il Pe richiede di “raggiungere con urgenza un livello di spesa per la difesa notevolmente superiore all’attuale obiettivo della Nato”. Per sostenere queste ingenti spese occorre mobilitare le risorse finanziarie adeguate, per questo il Pe “esorta gli Stati membri a sostenere l’istituzione di una banca per la difesa, (..) che funga da istituto multilaterale di prestito concepito per fornire prestiti a un basso tasso di interesse e a lungo termine per sostenere le principali priorità (..), quali il riarmo, la modernizzazione della difesa”.

La preparazione alla guerra non è soltanto un fatto di mobilitazione di risorse economiche, di passaggio dal welfare al warfare, lo spirito bellico deve penetrare in profondità e animare la società in tutte le sue articolazioni. Bisogna richiedere compattezza ideologica, escludere il pensiero critico e le informazioni divergenti dalla costruzione del nemico. Per la vigilia della guerra il Pe prefigura una sostanziale riduzione delle libertà costituzionali per proteggere la società dalle manipolazioni dell’informazione del nemico. La guerra, prima che guerreggiata si deve combattere sul fronte della cultura e dell’informazione, secondo l’esempio del maccartismo. All’uopo il Pe “sostiene l’impegno a istituire uno ‘scudo europeo per la democrazia’; e ribadisce il proprio invito agli Stati membri, alla Commissione a prendere in considerazione l’istituzione di una struttura indipendente e dotata di risorse adeguate incaricata di individuare, analizzare e documentare le minacce di Fimi (manipolazione delle informazioni e interferenze straniere) contro l’Ue nel suo complesso, di individuare, rintracciare e richiedere l’eliminazione dei contenuti online ingannevoli”. In sostanza si chiede di istituire un organo simile alla Commissione per le Attività antiamericane che negli anni 50 negli Usa organizzò la caccia alle streghe mettendo al bando artisti, intellettuali, funzionari pubblici sospettati di essere quinte colonne del nemico. Quest’organo dovrebbe vigilare sulla verità ed eliminare dal circuito della comunicazione pubblica tutte le informazioni e le comunicazioni divergenti. Non basta la protezione assicurata dallo scudo europeo per la democrazia, non basta proteggere i nostri giovani dalle informazioni del nemico e dal pensiero critico, bisogna stimolarli a esercitarsi nell’arte della guerra. Il Pe “chiede di mettere a punto programmi di formazione dei formatori e di cooperazione tra le istituzioni di difesa e le università degli Stati membri dell’Ue, quali corsi militari, esercitazioni e attività di formazione con giochi di ruolo per studenti civili”. In altre parole, libro e moschetto! Con questa buffonata, più stupida che tragica, naufragano gli ideali e le speranze che avevano animato le generazioni che avevano creduto nel progetto di un’Europa casa comune per i popoli europei, spazio di democrazia e libertà.

Altro che carri armati: L’Europa tema le piazze

 Francesco Sylos Labini  10 Aprile 2025

Mentre in Italia Berlusconi giustificava i tagli a università e ricerca con lo slogan: “Perché dobbiamo pagare uno scienziato, se facciamo le scarpe più belle del mondo?”, la Cina intraprendeva un cammino opposto, diventando in pochi anni una vera e propria superpotenza scientifica. Oggi ha superato sia gli Stati uniti sia l’Unione europea per numero di articoli scientifici ad alto impatto pubblicati ogni anno. La sua ascesa è stata rapidissima: rispetto alla media del periodo 1996-1998, la produzione scientifica cinese è aumentata di 18 volte, e di 3,6 volte rispetto al periodo 2006-2008. Nel 2003, gli Stati Uniti pubblicavano 20 volte più articoli della Cina; nel 2013 il rapporto era già sceso a quattro, e dal 2022 Pechino ha superato entrambi.

Questo risultato è il frutto di una strategia d’investimento di lungo periodo. Tra il 2012 e il 2022, i finanziamenti alla scienza di base sono passati da 10 a 32 miliardi di dollari, mentre quelli destinati alla ricerca applicata e allo sviluppo sperimentale sono raddoppiati, da 70 a 140 miliardi. Con 1,87 milioni di ricercatori (contro 1,43 milioni negli Usa), la Cina oggi forma molti più dottorandi in discipline Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e, entro quest’anno, ne diplomerà il doppio degli Stati Uniti. I dieci istituti di ricerca più produttivi al mondo si trovano tutti in Cina, e nel loro complesso pubblicano nove volte più articoli ad alto impatto del secondo Paese classificato (spesso gli Usa). Questa strategia ha trasformato l’economia cinese, rendendola competitiva non solo nel settore manifatturiero, ma anche nelle tecnologie avanzate: intelligenza artificiale, 5G, energie rinnovabili, veicoli elettrici. Nel 2021, la Cina ha depositato il 37,8% dei brevetti mondiali, contro il 17,8% degli Stati Uniti.

Secondo l’Australian Strategic Policy Institute, Pechino è oggi leader globale in 57 delle 64 tecnologie critiche analizzate – un’inversione radicale rispetto al 2007, quando gli Stati Uniti dominavano in 60 aree e la Cina solo in tre. Parallelamente, il peso economico globale si è spostato. Se nel 1991 i paesi del G7 rappresentavano il nucleo dell’economia mondiale, oggi il loro primato è in discussione. Il Pil combinato dei Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) ha superato quello del G7, segnando un mutamento epocale negli equilibri globali.

Il problema centrale degli Stati Uniti – e dell’Europa, a ruota – è la crescente finanziarizzazione dell’economia. La finanza ha frenato l’innovazione industriale: oggi, per un Ph.D. in Ingegneria, è più vantaggioso lavorare a Wall Street che in un centro di ricerca tecnologica. Il paradosso è che l’economia reale, quella che produce innovazione, viene sacrificata proprio dal successo della finanza. Questo processo ha svuotato il tessuto produttivo, ampliato le disuguaglianze e minato le basi materiali del consenso nei paesi occidentali. Quando gli Stati non sono più in grado di garantire benessere, spostano la propria legittimità sulla promessa di protezione da minacce esterne: immigrazione, terrorismo, autocrati, ecc. Da qui nasce il nuovo militarismo che attraversa l’Occidente: una deriva bellicista che alimenta i conflitti presenti e prepara quelli futuri (e a questo servono gli estremisti e i decreti Sicurezza).

I governi europei, in particolare, si preparano a una guerra con la Russia non per una reale necessità strategica, ma per disperazione politica. Il modello economico che per decenni ha garantito benessere a una larga parte della popolazione è in crisi; il potere sfugge di mano e, a ogni tornata elettorale, si è costretti a inventare un nuovo “fenomeno” per perpetuare le stesse politiche. Anche la classe media si sta impoverendo e la crisi non è più periferica: coinvolge la maggioranza dei cittadini, sempre più in difficoltà ad accedere ai beni essenziali.

Nonostante ciò, i governi continuano a destinare risorse alla militarizzazione, anziché rafforzare lo stato sociale. All’orizzonte si profila, dunque, una tempesta: uno scontro tra una classe dirigente scollegata dalla realtà e una cittadinanza spinta verso la rabbia, la frustrazione e il disagio. In assenza di risposte concrete, le élite ricorrono al trucco più antico del potere: unire le masse attorno a una guerra, distrarle con il nazionalismo e cercare così di difendere un ordine che sta irrimediabilmente crollando.

Ma questa è una strategia folle. La guerra non risolverà i fallimenti del sistema: li aggraverà. L’Europa non è sull’orlo di un’invasione esterna, ma sull’orlo di una rivolta interna. E se le élite continueranno a insistere su questa traiettoria suicida, la vera esplosione non arriverà dai carri armati stranieri, ma dalle piazze delle nostre città.

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