CLIMA, LA COP 29 È UN FALLIMENTO. GRETA: “NON RESTA CHE LA RABBIA” da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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CLIMA, LA COP 29 È UN FALLIMENTO. GRETA: “NON RESTA CHE LA RABBIA” da IL FATTO

Clima, il vertice dell’Onu è un fallimento. Greta: “Non resta che la rabbia”

Il mondo è in guerra – Liti sui soldi. I Paesi poveri volevano più fondi (senza prestiti), ma sono divisi fra loro, gli Usa usciranno dagli accordi, l’Ue balbetta

Virginia Della Sala  24 Novembre 2024

“Mentre la Cop29 sta arrivando alla sua fine, non dovrebbe essere una sorpresa che un’altra Cop stia fallendo. La bozza attuale è un completo disastro. Ma perfino se le nostre aspettative sono quasi a zero, noi non dobbiamo reagire a questi continui tradimenti con altro se non la rabbia”: la rabbia di Greta Thunberg è la stessa dei negoziatori delle piccole isole e dei Paesi vulnerabili che ieria Baku, durante l’ennesimo incontro della giornata, sono andati via dai tavoli accusando di non essere stati ascoltati. L’ispiratrice dei Fridays for Future, degli scioperi contro il cambiamento climatico, alla vigilia dell’inizio di questo summit Onu sul clima in Azerbaijan, era a un evento in Armenia dal titolo “L’impatto dell’aggressione dell’Azerbaijan sui diritti umani e la protezione ambientale”. Ieri, di fronte all’evidente e incipiente fallimento di questo summit, in cui i petro-stati hanno fatto sentire tutto il loro peso, ha chiuso il cerchio avviato 15 giorni fa puntando il dito sull’ipocrisia di tenere il vertice proprio in Azerbaijan. Non senza ragione.

Sintesi e situazione. La Cop29 non si è chiusa venerdì, come previsto, ma si è protratta per tutta la giornata e la serata di ieri: si è arenata sui miliardi da destinare ai Paesi vulnerabili e in via di sviluppo per sostenerli nelle politiche di adattamento e mitigazione (quindi neanche si parla di quelli per i danni e le perdite, che languono). Fino al 2025 il target annuale stabilito è stato di 100 miliardi l’anno ed è stato raggiunto solo nel 2022. Ora i numeri sul tavolo della Cop29 per rinnovare e intensificare l’impegno danno l’estrema sintesi di 15 giorni di lavori e dichiarazioni e delegazioni e allarmi e pure delle divisioni. I Paesi in via di sviluppo – Cina inclusa, anche se l’inclusione è assai contestata dagli Stati ricchi – avevano detto da subito che sarebbero serviti almeno 1.300 miliardi di dollari l’anno, per lo più soldi pubblici e a fondo perduto per non aumentare il loro debito. Il blocco dei Paesi avanzati – privo degli Stati Uniti (pronti a uscire dall’accordo di Parigi) e di fatto adagiato sulle spalle di una debole e sempre meno verde Europa – ne ha proposti 250 all’anno entro il 2035, cifra fatta di contributi pubblici a fondo perduto, ma anche di prestiti bilaterali o da banche multilaterali di sviluppo e pure da quelle private (e comunque senza obblighi di sorta). La cosa non è piaciuta, anzi ha proprio irritato la controparte.

Al secondo giro di trattative, i miliardi sono diventati 300, una cifra che accontentava un po’ tutto il blocco occidentale, che manteneva il formulario con inclusi i fondi privati ma che, anche in questo caso, ha scontentato i Paesi poveri che ne chiedevano almeno 500. A quel punto si è poi consumato pure lo scisma dei più vulnerabili dai Paesi in via di sviluppo: le piccole isole, per capirci, rischiano di finire sommerse e chiedono una sorta di precedenza sui fondi. A quel punto la presidenza ha convocato due plenarie: la prima, alle 20, più semplice, ha approvato le norme per un nuovo mercato globale del carbonio. I punti più difficili, invece, sono stati posticipati, sperando che si dirimesse lo stallo. Mentre andiamo in stampa, pare si stia lavorando su alcuni punti, ma stessa cifra. All’una di notte di Baku, ancora il testo non era finalizzato.

Il correttore saudita. La cronaca di una giornata disperante e disperata – occhiaie, stanchezza, nervosismo, un intero stadio in via di smontaggio – s’è illuminata di un inatteso retroscena diplomatico. Un delegato saudita è stato accusato di aver apportato modifiche direttamente al testo ufficiale dei negoziati della Cop29. In sostanza le presidenze del vertice solitamente inviano i testi di negoziazione come documenti Pdf non modificabili a tutti i Paesi per poterli poi discutere. E invece su quel Pdf, nero su bianco per così dire, è spuntata la mano correttrice del ministro dell’Energia saudita Basel Alsubaity. Una delle modifiche, ad esempio, eliminava una sezione di testo che invitava a implementare i piani e le strategie a basse emissioni a lungo termine. La cosa ha fatto un certo scalpore. I sauditi, peraltro, potrebbero già ritenersi soddisfatti di non aver avuto nessun aumento degli obiettivi di riduzione alle fossili rispetto alla decisione della Cop di Dubai dell’anno scorso. Evidentemente non gli basta.

La carica dei lobbisti fossili a Baku: l’Italia prima tra gli europei

Eni, Italgas & C. – Tra i 1.773 i rappresentanti accreditati da tutto il mondo, almeno 115 sono arrivati dai governi dell’Ue come parte delle delegazioni ufficiali

Virginia Della Sala  24 Novembre 2024

L’Italia è stata il Paese in Europa che ha superato tutti gli altri per numero di badge concessi per accedere alla Cop29 di Baku (dove si negoziavano le sorti del pianeta quanto a cambiamento climatico e inquinamento) a dipendenti e dirigenti di imprese che fanno affari con gas e petrolio, soprattutto con quelli dell’Azerbaijan, che ha ospitato il vertice Onu.

Parliamo di 25 persone in totale, rappresentanti sia di imprese italiane sia estere, secondo il conto di Kick Big Polluters Out (Kbpo), una coalizione di oltre 450 organizzazioni di tutto il mondo che chiedono di tenere fuori da questi consessi i lobbisti delle fonti fossili. Il dibattito è stato forse il più caldo e discusso di tutto il summit e, anche considerando quanto apertamente i petro-Stati come i sauditi e gli azeri abbiano utilizzato la Cop per difendere gli idrocarburi pubblicamente, non è di certo esaurito. Ecco allora una rapida sequenza delle nostre presenze “oil & gas”.

Prima di tutto, i numeri di Kbpo sono stati analizzati e raccontati, poi aggiornati, da ReCommon e da Clean The Cop, la campagna italiana promossa dall’associazione ecologista A Sud, da EconomiaCircolare.com e da Fondazione Openpolis, a cui hanno aderito anche Greenpeace Italia, Energia per l’Italia, Isde – Medici per l’ambiente, Rinascimento Green e Coordinamento Nazionale No Triv. Insomma, una buona parte del panorama ambientalista italiano.

Secondo le analisi sulle liste degli accrediti Unfccc (la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite che ha reso obbligatorio dichiarare la propria affiliazione) tra i 1.773 i rappresentanti delle imprese “fossili” accreditati da tutto il mondo, almeno 115 sono arrivati dai governi dell’Ue come parte delle delegazioni ufficiali. Tra questi, secondo le stime delle Ong, l’Italia è quella che ne ha di più: 25 contro i 24 della Grecia, i 17 della Svezia, i 13 del Belgio, i dieci della Danimarca, nove dalla Bulgaria, sette dalla Romania, cinque dall’Ungheria come dal Portogallo e uno dai Paesi Bassi. Come si può vedere, l’Italia è in cima al podio europeo. Non si tratta di soli lobbisti nazionali.

Otto sono di Italgas, ha spiegato ReCommon a inizio settimana: “Italgas è una controllata di Cdp Reti e partecipata da Snam, che a Baku può contare sulla delegazione più folta, incluso il Ceo Paolo Gallo e il Ceo di Italgas Reti, Pier Lorenzo Dell’Orco”. A questi si aggiunge l’accredito di Leonardo D’Acquisto, direttore degli affari istituzionali. Va ricordato che già nei primi giorni di negoziato Italgas aveva siglato un accordo commerciale con l’azienda energetica nazionale azera Socar.

E ancora: c’erano esponenti della Mediterranean Energy and Climate Organisation (Omec), che fanno capo a Eni, e a completare la delegazione c’era il vicepresidente del Cane a sei zampe Marco Piredda. Tre poi gli accrediti di Snam, formalmente presentati come rappresentanti di Venice Sustainability Foundation, che ha come obiettivo anche lo sviluppo della hydrogen valley a Marghera: Piero Ercoli, Domenico Maggi e Sergio Molisani, rispettivamente executive directorhead of Eu affairs e chief of international assets officer.

Per Enel era invece accreditato Daniele Agostini, head of energy and climate policies, per Confindustria Daniele Bianchi, coordinatore dei consorzi energetici nazionali oltre che membro del cda del Consorzio Toscana energia e per Seingim Group (gruppo ingegneristico che si occupa anche di Oil&Gas) Vittorio Maria Nicolò Maiorana, direttore degli affari internazionali.

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