A RAFAH È UNA MATTANZA. A CHI CONVIENE IL GENOCIDIO da IL MANIFESTO
A Rafah è una mattanza e l’Onu riduce gli aiuti. 50mila uccisi in 18 mesi
Infinito presente Tra le vittime dal 7 ottobre, 18mila bambini. L’area di Tal al-Sultan sotto assedio totale, non si hanno più notizie di civili e soccorritori. In poche ore i raid israeliani uccidono due reporter palestinesi: uno colpito a casa, l’altro in auto. Bombardato l’ospedale Nasser per eliminare un funzionario di Hamas: fuori uso
Eliana Riva 25/03/2025
La Striscia di Gaza è un cimitero che accoglie 50mila morti almeno. I numeri aggiornati sulle vittime dell’attacco israeliano dal 7 ottobre 2023 sono impossibili da concepire. Almeno 18mila bambini ammazzati, più di 113mila feriti. E i dati non tengono conto delle migliaia di dispersi. Eppure, la comunità internazionale assiste totalmente impotente agli attacchi israeliani.
IN UNA SCIOCCANTE dichiarazione rilasciata dal portavoce delle Nazioni unite, l’agenzia ha fatto sapere che ridurrà il numero del personale e le operazioni nella Striscia. La decisione arriva in seguito all’uccisione di cinque membri dello staff Onu da parte di Israele dall’inizio del nuovo attacco, una settimana fa.
«Il segretario generale Antonio Guterres ha preso la difficile decisione di ridurre la presenza dell’organizzazione a Gaza – si legge nel comunicato – nonostante i bisogni umanitari aumentino e la nostra preoccupazione per la protezione dei civili si intensifichi».
È una dichiarazione di resa dinanzi ai crimini di Tel Aviv, i cui attacchi ottengono il doppio risultato (sperato se non dichiarato) di limitare la fastidiosa presenza internazionale e liberarsi di testimoni scomodi. La notizia del ridimensionamento arriva proprio quando l’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, fa sapere che altre 124mila persone sono state sfollate a Gaza negli ultimi giorni.
IERI ANCHE l’edificio della Croce rossa internazionale a Rafah è stato colpito da una bomba. Un video mostra il fumo e la polvere che si alzano dopo l’impatto, avvolgendo la bandiera dell’ente umanitario. Il comitato internazionale ha comunicato che l’ufficio era stato «chiaramente contrassegnato e notificato a tutte le parti». Lo stato ebraico ha attaccato ancora un ospedale, il Nasser di Khan Younis. Domenica sera i militari hanno colpito il reparto di chirurgia con l’intento di uccidere Ismail Barhoum.
Membro di spicco del comitato politico di Hamas, Barhoum era ritenuto da Israele il «nuovo primo ministro» del movimento. Nel bombardamento ha perso la vita un ragazzo di 17 anni che avrebbe dovuto lasciare ieri l’ospedale. Nei mesi scorsi la struttura era stata ripetutamente attaccata. Un anno fa, ad aprile, dopo il ritiro dei soldati, nei pressi dell’ospedale venne scoperta una fossa comune con più di trecento cadaveri.
Le persone che sono riuscite a uscire dalla zona di Tal al-Sultan, a Rafah, hanno raccontato con orrore l’avanzata dei carri armati e l’assedio dei militari. L’esercito ha ordinato di abbandonare l’area e dirigersi a piedi verso al-Mawasi, la tendopoli per sfollati in cui continua orribilmente a crescere il numero di profughi. Ma non tutti sono riusciti ad andar via. In migliaia sono rimasti intrappolati, circondati e sotto i bombardamenti.
Non si hanno notizie della loro sorte da ieri, quando le comunicazioni sono state interrotte in tutto il quartiere. Si sa solo che centinaia di famiglie sono bloccate, senza assistenza medica, cibo, né acqua. Alle squadre di emergenza non è permesso raggiungere la zona e i feriti muoiono dissanguati, colpiti nel mucchio dall’artiglieria israeliana che spara a chiunque si muova. Una vera e propria mattanza che avviene al buio: l’intera area è assediata dalle truppe israeliane.
SI SONO PERSE le tracce dei paramedici della Mezzaluna rossa palestinese e degli operatori della protezione civile che sono stati inviati in soccorso. Le organizzazioni hanno dichiarato di non avere più contatti e che Israele si rifiuta di dare informazioni nonostante fosse stato avvisato dell’arrivo dei soccorsi.
Gli aiuti umanitari sono bloccati da inizio mese e manca ormai ogni sorta di bene essenziale, dalla farina al carburante fino alle medicine. Ciò che si può comprare ha raggiunto prezzi esorbitanti e le agenzie umanitarie sono costrette a chiudere i punti di distribuzione cibo. L’acqua scarseggia oppure è contaminata, i malati non possono più curarsi.
Le operazioni di recupero dei corpi sotto le macerie, che erano cominciate durante il cessate il fuoco, si sono nuovamente interrotte. Le ambulanze funzionanti sono poche e spesso non hanno la possibilità di raggiungere i feriti, che muoiono per le strade, con i cadaveri che diventano cibo per cani randagi.
Ieri, a poche ore di distanza, sono stati uccisi due giornalisti. Mohammad Mansour, del canale Palestine Today, è stato colpito mentre si trovava nella sua casa insieme alla moglie e al figlio. Strazianti le scene di amici e parenti che tentavano di svegliarlo tenendogli tra le mani il microfono con il logo della sua emittente televisiva.
HOSSAM SHABAT, reporter di Al Jazeera, aveva da poco condiviso sui social la notizia del suo collega ucciso, quando un missile ha colpito l’automobile su cui viaggiava. Era già stato ferito durante un attacco israeliano ma aveva scelto di continuare a svolgere il suo lavoro. Il numero dei giornalisti uccisi a Gaza dall’inizio della guerra è salito a 208. Almeno 65 persone sono state uccise dall’alba al tramonto, sotto un’ondata di incessanti bombardamenti. Sono 730 i morti dalla ripresa degli attacchi.
L’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito e distrutto a Gaza cento veicoli simili a quelli che Hamas avrebbe usato durante l’attacco del 7 ottobre 2023 in Israele. Si tratterebbe per lo più di pick-up bianchi, distrutti in movimento o mentre erano parcheggiati. I bombardamenti hanno causato vittime e feriti.
Hamas ha diffuso il video di due ostaggi israeliani, Elkana Bohbot di 36 anni e Yosef Chaim Ohana di 24, che si rivolgono al governo dichiarando che gli attacchi e il blocco degli aiuti rendono difficile anche la loro vita.
Sirene attivate nel pomeriggio di ieri nelle aree israeliane del nord al confine con Gaza. Il lancio di razzi dalla Striscia non ha causato danni. Anche gli Houthi yemeniti hanno preso di mira Israele ma il missile è stato intercettato. Ieri ad Haifa un palestinese di vent’anni con cittadinanza israeliana ha attaccato un gruppo di persone, uccidendo un uomo di 85 anni e ferendo gravemente un ventunenne.
Eliana Riva
Storica, esperta di Paesi Islamici, documentarista
Armi e tecnologie, a chi conviene il genocidio
Profitti Boeing, Lockheed Martin e RTX sono tra i principali fornitori di tecnologie militari all’esercito israeliano. Dietro di loro si celano fondi d’investimento internazionali
Alberto Negri 25/03/2025
Perché Israele non può fermare le guerre e noi non possiamo fermare il genocidio di Gaza? Perché è parte integrante del complesso militare industriale israelo-americano e anche del nostro, che mascheriamo. Dagli anni ’50 Tel Aviv ha ricevuto dagli Usa oltre 260 miliardi di dollari di aiuti militari.
Soltanto nell’ultimo anno e mezzo, dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, hanno superato i 20 miliardi di dollari. Israele, allo stesso tempo, è all’avanguardia nella ricerca scientifico-tecnologica militare, è uno dei maggiori esportatori di armi e contemporaneamente uno dei maggiori clienti delle americane Boeing, General Dynamics, Lockheed Martin e RTX (Raytheon Technologies).
Queste società sono tra i principali fornitori di tecnologie militari, come caccia F-35, missili avanzati e sistemi di difesa aerea, utilizzati dall’esercito israeliano.
Dietro queste aziende si cela una struttura finanziaria globale: i fondi d’investimento internazionali noti come le «Big Three»: Vanguard, BlackRock e State Street. I tre fondi d’investimento sono tra i maggiori azionisti di rilievo delle principali compagnie di armamenti e di molti settori. Vanguard, BlackRock e State Street detengono quote significative in Boeing, Lockheed Martin e RTX, influenzando la gestione e le strategie di queste società. L’aumento delle spese militari e l’acquisto di armamenti da parte di Israele sono strettamente collegati ai profitti di queste aziende.
Lockheed Martin ha fornito i caccia F-35 a Israele, considerati un pilastro delle sue capacità militari. Gli F-35 il 26 ottobre hanno eliminato in un giorno l’80% delle difese anti-aeree iraniane.
Boeing è responsabile della vendita di velivoli da combattimento e missili, mentre RTX ha fornito avanzati sistemi missilistici e difese aeree. Ogni vendita non solo rafforza l’apparato bellico israeliano ma genera anche grandi profitti. Le Big Three svolgono un ruolo di primo piano nell’alimentare una rete economica che beneficia direttamente dalle tensioni geopolitiche e militari.
Mentre la popolazione civile di Gaza e Cisgiordania continua a soffrire per le operazioni militari e l’occupazione, le aziende belliche e i loro principali azionisti vedono aumentare i propri profitti grazie alle vendite crescenti di armamenti.
Ecco perché si parla di complesso militar-industriale israelo-americano. Ha un preciso significato bellico, finanziario e di potere globale. Israele ha un’influenza sproporzionata per quanto riguarda le vendite di armi. Al mondo è il 97° paese per popolazione ma il nono maggiore esportatore di armi. In settori come l’intelligenza artificiale e la cybersecurity è in testa alla leadership mondiale. Gaza e la Palestina sono il laboratorio dello stato ebraico. Come scrive nel suo libro (Laboratorio Palestina, Fazi) il giornalista premio Pulitzer Antony Loewenstein, ebreo australiano.
«Molti paesi vendono armi – dice Loewenstein – ma ciò che rende unica l’industria israeliana è il mix di armi, tecnologie di sorveglianza e tecniche che si combinano per creare un sistema completo per il controllo di popolazioni “difficili” e si basano su anni di esperienza in Palestina».
Il complesso militar-industriale di Israele – e di conseguenza anche degli Usa – utilizza i Territori occupati palestinesi come banco di prova per le armi e le tecnologie di sorveglianza che esporta in tutto il mondo, a partire dall’intelligenza artificiale. L’adozione di tecnologie di Ia è stata accelerata dalla Unità 8200, il reparto d’élite dell’intelligence israeliana, oggi composta per il 60% da ingegneri ed esperti tech, il doppio degli informatici arruolati dieci anni fa.
Eppure tra i palestinesi si muore sempre di più. Secondo le testimonianze di ex soldati e analisti raccolte dal Washington Post, la fiducia nell’Ia ha portato le forze armate israeliane a ridurre alcuni passaggi di controllo, con il risultato di aumentare il numero di obiettivi ritenuti legittimi. Anche se questi comportano un maggior rischio di vittime tra i civili. Dalla proporzione di 1:1 del 2014 (un civile “sacrificabile” per colpire un membro di Hamas di alto livello) si è passati a 15:1 o persino 20:1 nel conflitto attuale, stando alle fonti del Washington Post.
Tutto questo naturalmente non ferma Israele e la crescita del suo apparato militar-industriale sempre più integrato in quello americano. La startup israeliana Wiz, leader nella cybersicurezza, è nel mirino di Google. Il conglomerato di Bezos aveva già provato ad acquistarla la scorsa estate per 23 miliardi di dollari ma aveva ricevuto un secco no. Ha quindi deciso di alzare l’offerta, secondo il Wall Street Journal, a circa 33 miliardi di dollari.
Ci si chiede spesso come mai gli americani e gli europei non facciano pressioni concrete su Netanyahu per limitare le stragi a Gaza che ormai superano i 50mila uccisi (70mila secondo fonti come Lancet). La realtà è che Stati uniti e Gran Bretagna sono direttamente impegnati nelle operazioni militari: il 70% dei voli di ricognizione sui bersagli da colpire a Gaza e in Libano nel 2024 sono stati compiuti da aerei americani e britannici. Ma soprattutto non c’è azienda europea importante che non abbia accordi con l’Israel Innovation Authority, agenzia governativa incaricata di finanziare progetti innovativi. Per esempio Stellantis si è unita ad altre aziende italiane come Enel, Leonardo STMicroelectronics, che hanno aperto laboratori di ricerca e sviluppo in Israele, o Sparkle, Snam e Adler che hanno concluso accordi con l’Israel Innovation Authority e con startup israeliane nel settore high-tech.
Ecco perché Israele non può mai perdere una guerra e noi europei non faremo nulla per fermare Netanyahu. Anche il riarmo europeo, che beneficerà le industrie belliche del continente e americane, renderà Israele più forte e influente. Come e perché muoiono a Gaza e in Medio Oriente lo sappiamo bene.
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