A LEZIONE DI DEMOCRAZIA CON EURIPIDE E TUCIDIDE da IL FATTO
A lezione di Democrazia con Euripide e Tucidide
Filippomaria Pontani 28 Marzo 2025
“Lo Stato da cui vengo è governato da un uomo solo, non dalla massa…” (Elon Musk? No, Euripide). “La guerra è iniziata con lo scopo di punire il tiranno, mentre ora termina con l’obiettivo di non subire danni dal tiranno” (Michele Santoro? No, Demostene). “Nei ragionamenti umani, si tiene conto della giustizia quando la necessità incombe con pari forze su ambo le parti; in caso diverso, i più forti esercitano il loro potere e i più deboli vi si adattano” (Lucio Caracciolo? No, Tucidide). “Tiriamo fuori la Pace, a tutti cara… Su, avanti, contadini, mercanti, falegnami, artigiani, immigrati, stranieri, isolani: venite qui, tutti voi, popolo!” (papa Francesco? No, Aristofane).
I classici antichi non meritano stolide venerazioni: l’Atene “aurea” che ha generato queste frasi era una società schiavista, xenofoba, patriarcale, imperialista. Eppure fu lì che la parola demos, “popolo” (non l’indistinto laòs del “pastore di genti” Agamennone, né l’ethnos che incastella in identità separate), s’inverò come corpo civico e come regime politico che prevedeva leggi e diritti uguali per tutti. Discutere le conquiste, le contraddizioni, le categorie di pensiero maturate nell’antichità è – alla lettera – parlare di noi, oggi.
“Classici contro” è la rassegna che dal 2010 Alberto Camerotto e io organizziamo a mani nude provando a legare assieme scuola e università, testi antichi e questioni dell’oggi, ricerche nuove e disseminazione d’idee, luoghi arcinoti e teatrini di provincia. È un privilegio lavorarci con studiosi, poeti, attori, filosofi, giornalisti, ma coinvolgendo in primis nei laboratori, nelle recitazioni, nelle azioni i docenti e gli studenti dei Licei, che sono il presente e il futuro del nostro tessuto civico. Negli anni, sul nucleo veneto (Venezia, Treviso, e l’epicentro che è Vicenza) si è innestata una rete cui hanno aderito decine di Licei da Reggio Calabria a Novi Ligure, da Sant’Angelo dei Lombardi a Cagliari a Milano, con un fulcro attivissimo in Sicilia sotto l’egida di Andrea Cozzo, profeta di un modo diverso di leggere il messaggio degli antichi.
Ci è capitato di parlare – il tema cambia ogni anno – di Xenía (ospitalità) sull’assito dell’Olimpico con i migranti gambiani sbarcati a Lampedusa; di Dike (giustizia) in un oceanico 23 maggio al Tribunale di Caltanissetta, o in un confronto a Rebibbia tra l’Eschilo degli studenti e quello dei detenuti dell’Alta Sicurezza (mirabile progetto di Cristina Pace); di Oikos (ambiente) leggendo, forzatamente online, liriche di poeti scritte ad hoc per noi negli anni della pandemia (un’antologia internazionale curata da Stefano Strazzabosco); di Utopia (Europa) mentre la Grecia veniva devastata dall’austerità della trojka; di bellezza e denaro (Elena di Troia, Verre, Petronio) ai tempi del Cavaliere; di Pòlemos (guerra) in una memorabile edizione che toccò i teatri del fronte del ’15-’18; di Parrhesía (libertà di parola) tra Socrate e Julian Assange, e poi a Catania tra Cicerone e Luana Ilardo. Ovunque costruendo azioni potenti grazie al lavoro indefesso di professori di liceo capaci di indurre giovani altrimenti distratti alla comprensione e all’assimilazione fisica (le recite, le riduzioni musicali, le esecuzioni danzate, l’analisi testuale) di opere ardue, controverse, ma tutt’altro che distanti da noi.
Demos, quest’anno: è un privilegio inenarrabile discuterne a Vicenza, città e provincia il cui popolo ha pagato un alto tributo ottant’anni fa nelle lotte della Resistenza (non ci sazieremo mai dei Piccoli maestri). È un privilegio farlo alle Gallerie d’Italia, nel salone dove i clipei di Ettore e Achille sorvegliano chi parla dell’assedio di Troia/Gaza cantato da Darwish o del ruolo dei tribuni nella Repubblica romana. È un privilegio farlo nel Teatro Olimpico progettato da Andrea Palladio, chiedendosi con Bertolt Brecht, dinanzi all’eterna scenografia dell’Edipo Re: “Tebe dalle sette porte chi la costruì?”. È una scommessa fondante far vivere gli spazi pubblici del passato non come musei ma come arene di discussione, luoghi d’incontro e di confronto, al modo del teatro antico che della democrazia fu parte essenziale.
Nel 1926 Joseph Roth deplorava l’ostracismo decretato dal regime sovietico contro i classici greci e latini (troppo “borghesi”), esortandolo al contrario a “svelare, in modo realmente rivoluzionario” le ipocrisie di Atene, le atrocità dell’Iliade, la viltà di Ovidio, a presentare quei testi non come modelli ma come stimoli di pensiero. Quest’anno, mentre nere nubi s’addensano sul Demos dell’Europa, far ragionare liberamente i giovani su Teseo, Cleone, Marx e Meneghello può essere un modo per immaginare se, come e in che misura il popolo possa o debba resistere al peggio che, pare, s’avvicina.
No Comments