VELOCI VERSO LA CATASTROFE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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VELOCI VERSO LA CATASTROFE da IL MANIFESTO

L’Onu: «Procediamo sulla buona strada. Verso la catastrofe»

Doccia scozzese. Sempre più drammatiche le parole del segretario Guterres Il nuovo report: insufficienti gli sforzi dei paesi da qui al 2030. Per rispettare l’obiettivo ambizioso dell’Accordo di Parigi, il mondo ha bisogno di dimezzare le emissioni annuali di gas serra nei prossimi otto anni

Luca Martinelli  27.10.2021

A meno di una settimana dalla Cop26 di Glasgow siamo sulla buona strada per la catastrofe climatica. Di quanti campanelli d’allarme abbiamo bisogno?» ha detto ieri il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, i cui commenti assumono un tono via via più drammatico man mano che si avvicina la conferenza ONU sul clima. Guterres è intervenuto alla conferenza stampa di presentazione del nuovo « Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP). A pochi giorni dal «Production Gap Report» che evidenziava come i governi stiano pianificando di produrre entro nel 2030 il 110% in più di combustibili fossili rispetto a quanto sarebbe coerente con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C, il nuovo documento spiega che allo stato attuale gli sforzi dei singoli Paesi porterebbero a una riduzione solo del 7,5% delle emissioni annue di gas serra nel 2030, un impegno insufficiente secondo le Nazioni Unite: il mondo, infatti, ha bisogno di una riduzione del 55% delle emissioni per limitare l’aumento della temperatura globale sotto il grado e mezzo, cioè quel livello indicato dagli scienziati per uno scenario meno rischioso per il nostro Pianeta e il futuro dell’umanità.
«Come dice il titolo del rapporto di quest’anno, “Il riscaldamento è acceso”, e come mostrano i contenuti del rapporto, la leadership di cui abbiamo bisogno è spenta. Lontana» ha avvertito Guterres.

Le promesse di riduzione delle emissioni sono «vaghe» e incoerenti con la maggior parte degli impegni nazionali per il 2030, avverte il rapporto. Eppure, secondo l’«Emissions Gap Report» la buona strada sarebbe una e una sola: «Per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi in questo secolo, l’obiettivo ambizioso dell’Accordo di Parigi, il mondo ha bisogno di dimezzare le emissioni annuali di gas serra nei prossimi otto anni». Ripetiamolo: dimezzare le emissioni entro il 2030. È questo l’obiettivo, ambizioso, che deve darsi la Cop26 che inizia domenica 31 ottobre e continuerà fino al 12 novembre a Glasgow, in Scozia.

Il mondo ha appena otto anni per tagliare 28 gigatonnellate di CO2 equivalente. Per mettere questo numero in prospettiva, le emissioni di anidride carbonica da sole dovrebbero raggiungere 33 gigatonnellate nel 2021. Quando anche tutti gli altri gas serra sono presi in considerazione, le emissioni annuali sono vicine a 60 gigatonnellate. «Il cambiamento climatico non è più un problema futuro. È un problema di adesso» ha detto Inger Andersen, direttore esecutivo dell’UNEP. «Per avere una possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, abbiamo otto anni per quasi dimezzare le emissioni di gas serra: otto anni per fare i piani, mettere in atto le politiche, attuarle e infine realizzare i tagli. L’orologio sta ticchettando forte»

Se non cambierà niente, la direzione è segnata: gli impegni sul clima e le misure di mitigazione porteranno secondo le proiezioni UNEP il Pianeta a un aumento della temperatura globale di 2,7 gradi entro la fine del secolo, ben lontano dagli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Il titolo del rapporto presentato ieri è «Il riscaldamento è acceso». L’UNEP ha rilevato che la pandemia di Covid-19 ha portato nel 2020 a un calo senza precedenti delle emissioni globali, il quale non è stato comunque sufficiente a invertire la rotta, come ha spiegato l’altro ieri anche l’ultimo report della World Meteorological Organization: la concentrazione di gas climalteranti in atmosfera continua a crescere.

In relazione all’emergenza sanitaria e alla ripresa, il rapporto segnala anche un rischio: «Nella maggior parte dei Paesi è stata persa l’opportunità di utilizzare il salvataggio fiscale e la spesa per stimolare l’economia sostenendo l’azione per il clima». Secondo il rapporto, infatti, è «probabile che solo il 20% circa degli investimenti totali per la ripresa fino a maggio 2021 riduca le emissioni di gas serra».

Ieri il Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani era a Rimini, dov’è in corso Ecomondo. Non ha commentato il rapporto UNEP, ma ha ribadito che il «gas naturale svolgerà comunque un ruolo significativo nella transizione energetica», anche se è una fonte fossile e dovrebbe essere tenuta sotto terra. Ad intervenire sulla COP26 è stata invece la vice ministra degli Esteri Marina Sereni, concludendo i lavori della X Conferenza Italia-America Latina e Caraibi. «Europei, Latinoamericani e Caraibici condividono l’agenda internazionale in tema di commercio internazionale, sviluppo sostenibile e cambiamenti climatici, si tratta di un patrimonio di influenza su scala globale che dobbiamo usare con pragmatismo, ma sempre ispirati dai valori cardine che ci accomunano». L’appuntamento di Glasgow rappresenta, secondo Sereni, «uno dei principali banchi di prova dell’efficacia del multilateralismo». Ad ascoltare Guterres, la bocciatura è vicina.

La parola d’ordine contro il G20 è «convergenza»

In movimento. Fridays, studenti, precari e operai sfilano insieme. Previsti 10 pullman dalla Gkn. Tutti i sindacati di base nello stesso spezzone. In piazza Fiom ed Flc Cgil. «Le nostre priorità sono: decarbonizzare il sistema produttivo; sbloccare il green fund; abbandonare il mercato dei crediti di carbonio», dicono i giovani in lotta per il clima

Giansandro Merli  ROMA  27.10.2021

Intrecciare rivendicazioni ambientaliste e sociali, connettere nuove generazioni di attivisti climatici e vertenze di precari e operai, far sfilare nello stesso corteo realtà sindacali diverse. È la sfida principale lanciata dagli organizzatori delle mobilitazioni contro il G20, che andranno in scena a Roma dal 29 al 31 ottobre prossimi.  Il vertice ufficiale, a cui prendono parte i capi di stato e di governo insieme ai ministri dell’Economia dei paesi più ricchi, si svolgerà nel quartiere Eur. Sul tavolo tre temi: misure per fermare il cambiamento climatico; ripresa economica; contrasto del Covid-19 e di nuove possibili pandemie. Le soluzioni proposte, però, non convincono chi si è dato appuntamento ad alcuni chilometri di distanza.

«PER NOI le priorità sono: decarbonizzare strutturalmente il sistema produttivo; abbandonare il mercato dei crediti di carbonio che sono una falsa soluzione; stanziare i 100 miliardi annuali previsti del green fund per contrastare i danni che il cambiamento climatico sta già facendo nel sud del mondo; cancellare il debito dei paesi in via di sviluppo per consentire loro di avviare la transizione ecologica», afferma Emanuele Genovese, dei Fridays For Future romani. I Fridays convergeranno nella capitale da oltre 30 città. Tra il 28 ottobre e l’1 novembre saranno ospiti del centro sociale Acrobax all’interno del Climate Camp. In tenda per il clima anche realtà ecologiste romane e oltre 150 attivisti di Extinction Rebellion (Xr), pronti a mettere in campo azioni di disobbedienza civile a sorpresa. Tra gli slogan del campeggio: «Da Roma a Glasgow, le vostre soluzioni sono il problema». Proprio al termine del G20, infatti, si svolgerà nella città scozzese la conferenza delle parti sui cambiamenti climatici (Cop26).

A Roma, intanto, il programma delle manifestazioni è denso. Venerdì apriranno le danze lo sciopero e il corteo degli studenti. Sabato la marcia unitaria partirà da Piramide alle 15, diretta a Bocca della Verità. Da Firenze arriveranno gli operai Gkn, che hanno organizzato dieci pullman. Significativa la presenza delle vertenze Alitalia, Whirlpool, TextPrint, FedEx. I sindacati di base sfileranno tutti nello stesso spezzone: Usb, Adl, Cobas, Sial Cobas, Si Cobas, Clap. Presenti anche Fiom ed Flc Cgil. In piazza, insieme ai Fridays e Xr, le realtà che animano la Società della cura (Sdc) e i centri sociali della capitale.

«QUESTO VERTICE non farà nulla per migliorare la vita delle persone – dice Marco Bersani, portavoce Sdc – A Draghi serve per mettere in vetrina la cosiddetta “ripresa” economica. Al Viminale per dire che l’ordine pubblico ha funzionato benissimo, dopo aver alzato artificialmente il tiro». A seguito dell’assalto fascista alla Cgil dal ministero dell’Interno sono partiti segnali di allarme sulle mobilitazioni del prossimo fine settimana. Nella capitale sono annunciati droni, cecchini, militari, 5mila agenti e servizi segreti di diversi paesi a protezione dei rappresentanti governativi e per il controllo dell’ordine pubblico.

«È stato alimentato un allarme strumentale per ostacolare il corteo – dice Clara Mascia, di Flc Cgil – Ma sarà una grande piazza ricca di contenuti: pensiamo che per uscire dalla pandemia e fermare il cambiamento climatico siano urgenti investimenti strutturali in istruzione e ricerca. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, invece, moltiplica la precarietà di docenti e ricercatori». Tra le richieste che i manifestanti porteranno sui cartelli: stop ai brevetti e copertura vaccinale per tutti i paesi del mondo.

IERI UN GRUPPETTO di attivisti di Rete Ecosistemica Roma è stato portato in commissariato per aver srotolato uno striscione davanti al palazzo della Nuvola, l’hub vaccinale in cui si svolgerà il meeting. C’era scritto: «La catastrofe arriva, è tempo di agire».

Gli attivisti, comunque, preferiscono guardare avanti: «Non ci interessano prove muscolari, questa mobilitazione è la prima tappa di un percorso». Che continuerà domenica con un’assemblea nazionale al teatro Garbatella, dalle 10 alle 16.

Le bugie interessate che spingono gas e nucleare

Clima. Se tutt’ora nessun paese ha scelto con decisione di dare avvio alla transizione che dovrebbe portare ad ottenere entro non molti anni una copertura del fabbisogno energetico al 100 per cento da rinnovabili è perché in gioco ci sono molti interessi che le bloccano.

Luciana Castellina, Massimo Serafini  27.10.2021

«Inutile preoccuparsi per l’approvvigionamento di energia e per il suo rincaro: a darci quanto abbiamo bisogno e a contenere il costo delle nostre bollette c’è il nucleare». Questo il messaggio tranquillizzante uscito dagli ultimi incontri al vertice dell’Unione europea, proprio ora, a pochi giorni dal G20, il vertice di Glasgow, quando dovranno essere ridefiniti i parametri, le cifre della riduzione da imporre alla produzione di energia tratta da fonti non rinnovabili.

E così, proprio quando difronte alla drammatica accelerazione delle catastrofi climatiche tutti ci aspettavamo un taglio più radicale di quello previsto nei precedenti vertici, accade il contrario: i limiti potrebbero diventare anche meno rigidi, se non per il carbone almeno per il gas e il nucleare, che in Italia era stato addirittura cancellato da due referendum e in Germania nel 2022 avrebbe dovuto esser chiusa l’ultima centrale ancora aperta. Perché – questa è la sostanza dell’annuncio – l’energia derivata dalle fonti rinnovabili – sole vento e acqua – inutile illudersi, non sono sufficienti.

Le cose però non stanno così: le rinnovabili non solo sono sufficienti, sono anche meno care. Se tutt’ora nessun paese ha scelto con decisione di dare avvio alla transizione che dovrebbe portare ad ottenere entro non molti anni una copertura del fabbisogno energetico al 100 per cento da rinnovabili è perché in gioco ci sono molti interessi che le bloccano. Quelli degli azionisti dell’Eni, che vorrebbero continuare a ricorrere alle centrali a gas della cui rendita godono (in Germania per via dei giganteschi accordi conclusi con la Russia, mediatore proprio l’ex cancelliere socialdemocratico Schroeder, che allo scadere della sua carica, della potentissima Gasprom è diventato consigliere); in Francia quelli che provengono dalla più estesa rete di centrali nucleari d’Europa, per uso civile ma anche militare.

Ecco dunque perché anziché impegnarsi a costruire la nuova rete energetica fondata sulle rinnovabili si sparge la leggenda che non sarebbero sufficienti, sebbene non sia vero. Vento e sole, usando il patrimonio dei bacini idroelettrici costruiti già 100 anni fa dai nostri nonni – che hanno dato all’Italia il primato europeo in questo campo – come supplenza in caso di eventuali intermittenze di erogazione da parte del vento e del sole. In più idrogeno verde per navi, ed aerei, che non hanno dove attaccare spine elettriche. I calcoli fatti in proposito ci dicono che così potremmo raggiungere gli obbiettivi che l’Europa e le Convenzioni mondiali hanno fissato per il 2055.

Basterebbe questo a chiarire le cose, ma non può non esser detto ciò che non viene detto sul nucleare. Nella rubrica “Attenti ai dinosauri” a cura della Task force “Natura e lavoro” pubblicata sul manifesto on line l’analisi dell’ing.Sorokin sulla questione.

Ma il problema di cui si dovrebbe prendere atto è che non c’è più tempo. Già ci sono dubbi, in parte fondati, sulla validità dell’obiettivo del 55 % di energie rinnovabili per il 2030 e quindi occorrerebbe fare già molto di più, ma è certo che riproporre oggi di investire in centrali nucleari di quarta generazione per costruire le quali servono anni , o sulla fusione nucleare per la quale le previsioni più ottimistiche sui suoi possibili risultati indicano più di 30 anni di tempo, è irresponsabile.

Chi sostiene che puntare sul 100 per 100 di rinnovabili è un obiettivo illusorio si pone o è fuori dalla scienza come i no vax e i negazionisti del cambiamento climatico. Le proiezioni su cui noi ci basiamo sono in linea con quelle pubblicate dall’Onu, e dall’Unione Europea

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