TASSI AMARI da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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TASSI AMARI da IL MANIFESTO

Mossa Bce, nonostante Draghi lo spread torna a fare paura

TORNA L’AUSTERITÀ. Toccata quota 225. Cottarelli: potrebbe costarci 40 miliardi. Giornata convulsa sui mercati. Il ministro Franco balbetta: mossa attesa, ma dipende da che tipo di inflazione si vuole combattere

Massimo Franchi  11/06/2022

Messo in soffitta dagli eredi il suo bazooka, ora anche l’effetto Draghi sembra svanire. La svolta rigorista di giovedì della Bce crea uno scenario dove l’Italia sembra tornare in balia dei mercati e lo spread a galoppare. La lotta all’inflazione miete dunque la sua prima vittima nel paese guidato dall’ex presidente della Bce. Un paradosso che pochi si sarebbero aspettati anche solo pochi giorni fa.

LA FINE DEL QUANTITATIVE EASING – lo strumento che tramite l’acquisti di titoli del debito dei paesi in difficoltà Draghi dal 2015 ha usato per salvare l’Euro e i conti pubblici nostrani – coincide con il ritorno dei problemi che il «governo dei migliori» sembrava aver magicamente cancellato. In sole 24 ore l’aumento del differenziale fra i tassi di interesse dei titoli italiani e quelli tedeschi è tornato ad essere la parola più citata nei telegiornali: «Spread alle stelle». I 225 punti base di ieri sono niente a confronto con i 528 che raggiunsero Tremonti e Berlusconi nel 2009, ma tredici anni dopo le dinamiche sono simili a conferma che per i mercati l’Italia – Draghi o non Draghi – è considerata l’anello debole dell’Euro.

Il rendimento del decennale italiano è pari al 3,713%, un livello che non vedeva dal febbraio del 2014 e superiore all’impennata vista nel 2018, anno in cui il differenziale subì gli effetti dell’incertezza politica del nostro paese.

Sebbene la mossa di Lagarde di alzare i tassi – come fatto da mesi dai cugini della Fed – fosse largamente attesa e assai moderata – solo lo 0,25% – è stato l’annuncio dello stop quasi totale al Quantitative easing a produrre gli effetti peggiori. A fine 2021 sul Btp decennale il Mef pagava l’1,1% di rendimento, ieri 2,8% in più.

E GLI EFFETTI SUI CONTI PUBBLICI italiani in prospettiva sono pesanti. E vengono fatti direttamente da un altro presidente del consiglio (sebbene incaricato solo per poche ore nel 2018), l’economista Carlo Cottarelli: «L’impatto dello spread sui conti pubblici, in termini di aumento della spesa per interessi, per ora è limitato: oltre tre miliardi conteggiando un punto percentuale in più di tasso medio sui titoli di Stato. Ciò che preoccupa è la velocità di aumento dello spread. Se l’aumento continuasse a questo ritmo, finirebbe per diventare un problema». Lo studio dell’Osservatorio di Cottarelli calcola che «il costo cresce via via che nuovi titoli vengono emessi per sostituire i vecchi (892 miliardi di titoli scadono entro aprile 2027). Complessivamente, nei primi cinque anni la maggior spesa per interessi, per il rinnovo dei titoli in scadenza, sarebbe di 39,4 miliardi, di cui 36,7 miliardi dovuti al rinnovo di titoli e 2,7 al deficit», conclude Cottarelli.

La Bce giovedì ha annunciato due rialzi dei tassi a luglio e settembre, è apparsa poco incline a varare da subito piani anti-spread e ha abbassato le stime di crescita per il 2022 e il 2023, alzando quelle dell’inflazione.

A RUOTA IERI È ARRIVATA BANKITALIA: il caro energia si sta abbattendo pesantemente sulle prospettive di crescita: prima della guerra sia spettava un +3,8% per l’Italia, ora ha tagliato la stima 2022 al 2,6%. E Via Nazionale avverte che con un’escalation della guerra e di interruzioni alle forniture di energia che spingerebbero l’inflazione annua verso l’8%, la crescita 2022 sarebbe zero, quella 2023 sarebbe negativa di oltre l’1%.

Proprio sul fronte dei prezzi al consumo, a maggio negli Usa, l’indice è salito dell’1% su mese e dell’8,6% su anno, sopra le attese e al top da dicembre 1981.

Con questo quadro – a cui si aggiungono il nuovo lockdown a Shangai per il Covid – hanno portato a un «venerdì nero» sui mercati. Milano, maglia nera, con il Ftse Mib che ha perso il 5,17% e bruciato 39 miliardi in un colpo solo. A Parigi il Cac40 è sceso del 2,69% e a Francoforte il Dax40 del 3,08%, quando a Wall Street il Dow Jones è in calo del 2,4%.

NEL FRATTEMPO LA POLITICA italiana per lo più se la prende con la Lagarde, soprattutto la destra. Mentre il – di solito silente – ministro dell’Economia Daniele Franco cerca di gettare acqua sul fuoco dello spread con poco successo e parole troppo tecniche per suscitare attenzione: «L’aumento dei tassi era prevedibile e non ha molto effetto sullo scenario macroeconomico – ha detto presiedendo il consiglio ministeriale dell’Ocse a Parigi – . Si torna a una situazione di normalità», ha detto. A suo avviso, il problema è piuttosto «la traiettoria» dell’aumento e la tempistica: nello stabilire l’innalzamento dei tassi – ha continuato Franco – bisogna considerare i fattori che sono alla base dell’inflazione, se questa è legata dalla parte della domanda o dalla parte dell’offerta. Se è dalla parte della domanda l’aumento dei tassi è appropriato per contenere l’inflazione, se l’inflazione dipende ampiamente da shock dell’offerta l’aumento dei tassi è meno pertinente», senza però chiarire la sua posizione.

Si chiude un’epoca, la lotta all’inflazione detta le regole

LA SVOLTA. La riunione del Consiglio direttivo della Bce e la successiva conferenza stampa sono destinati ad entrare nella storia economica e finanziaria europea. Ma non certo in modo glorioso. Sta di […]

Alfonso Gianni  11/06/2022

La riunione del Consiglio direttivo della Bce e la successiva conferenza stampa sono destinati ad entrare nella storia economica e finanziaria europea. Ma non certo in modo glorioso.

Sta di fatto che si chiude un’epoca. Quella cominciata con il whatever it takes e proseguita con il pompaggio di liquidità, con il denaro che praticamente non costava niente, ove la banca centrale acquistava titoli di stato a go-go, mentre i tassi erano negativi. E’ la prima grande conseguenza – che non riguarda solo l’Europa – della guerra sull’economia mondiale.

Sulla stampa economica e negli ambienti finanziari si discute se le decisioni della Bce abbiano seguito le tappe indicate oppure vi sia stata un’accelerazione. In sostanza se le colombe hanno tenuto oppure i falchi abbiano preso nettamente il sopravvento.

Discettare sulle espressioni usate dalla Lagarde è di poco sugo. Conta di più vedere la reazione dei mercati. Ed è negativa, con le borse europee in picchiata e lo spread che sale a 230. Lo è malgrado si trattasse di una svolta annunciata. Già da qualche tempo si sapeva che con l’8 settembre si sarebbe usciti dalla fase caratterizzata da tassi negativi iniziata nel giugno del 2014. Si sapeva che essi avrebbero cominciato a salire sia a luglio che a settembre. Come pure era noto che il programma di acquisti netti sarebbe terminato il primo luglio. L’ordine degli interventi è stato rispettato, prima la stretta sulla liquidità, poi l’incremento dei tassi.

Ma il margine di incertezza lasciato sul secondo aumento dei tassi da realizzarsi a settembre (sarà dello 0,25% o dello 0,50%? ), e la vaghezza delle dichiarazioni di Lagarde rispetto alla individuazione e messa in opera di uno strumento anti-spread, ha prodotto qualcosa che assomiglia di più ad una diffusa paura che a un momento di incertezza. Per nulla temperata dalla possibilità annunciata di reinvestimento dei titoli acquistati con totale flessibilità, per combattere la “frammentazione” (un termine cui probabilmente si ricorrerà spesso) dei costi di finanziamento dei singoli Stati.

L’onda è arrivata da lontano. Anche se la Fed americana procede in modo inverso, prima l’intervento sui tassi e poi quello sulla liquidità, la molla è la stessa: l’aumento dell’inflazione che negli Usa ha sopravanzato le previsioni – per la verità non impossibili – costringendo l’ex presidente della Banca centrale Yanet Hellen ad una pubblica autocritica e che nell’Eurozona ha superato l’8% e non intende fermarsi.

Di fronte a ciò la Bce ha rimesso in campo la priorità che deriva dalla sua scriteriata missione, ovvero la primazia della lotta all’inflazione. Il che, come è noto, contraddice il principio che quando l’economia va male i tassi vanno diminuiti per dare ossigeno al mercato, mentre una stretta può essere opportuna se l’economia si surriscalda troppo. Eppure proprio la Bce ritiene che la crescita nell’anno in corso e nel prossimo sarà scarsa lasciando qualche speranza solo per il 2024. Bankitalia ha rivisto al ribasso, di un punto abbondante, tutte le previsioni di crescita del nostro Pil rispetto a quelle formulate a gennaio.

Ma la situazione di oggi fuoriesce dalla manualistica economica, dal momento che abbiamo avuto due avvenimenti giganteschi in rapida successione e congiunzione tra loro: l’entrata in scena del risparmio accumulato durante il periodo più duro della pandemia appena essa ha segnato una flessione e la guerra che ha dato un ulteriore colpo alle già rinsecchite catene del valore, complicando ogni cosa sul fronte dell’offerta e non solamente dei prodotti energetici.

Questo fa sì che assieme all’inflazione continui il declino dell’economia e quindi, malgrado le contorsioni espressive di Lagarde, il baratro della stagflazione è sempre più vicino. Ma puntare sul contenimento dell’inflazione, anziché su un diverso modello di sviluppo, non potrà che peggiorare la situazione.

La guerra serve per rallentare, se non bloccare, le misure contro il cambiamento climatico. Non illudiamoci troppo sul voto europeo, peraltro così contrastato, sull’auto elettrica. Allo stesso modo, malgrado gli orientamenti europei sul salario minimo, l’insistenza sull’inflazione è funzionale a contenere anche la più timida spinta all’aumento dei salari.

Ritorna il tormentone modello anni Settanta sulla spirale prezzi-salari. Da un lato si affermano giusti principi, dall’altro si adottano misure economico-finanziarie opposte. Senza l’entrata in scena di un movimento di classe e di massa è facile prevedere chi prevarrà.

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