RIARMIAMOCI: 2718 MILIARDI PER FINANZIARE IL FINANZCAPITALISMO da IL MANIFESTO e IL FATTO
Riarmiamoci per salvare il finanzcapitalismo
Marco Bersani 26/04/2025
Armarsi, secondo Draghi, significa «difendere i valori che hanno fondato la nostra società europea e hanno garantito per decenni, ai suoi cittadini la pace, la solidarietà e con l’alleato americano, la sicurezza, la sovranità e l’indipendenza». Armarsi, secondo la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, significa «difendere la democrazia contro le nuove autocrazie». Armarsi, molto più prosaicamente, significa cercare di salvare il capitalismo finanziario dalla sua crisi mai così profonda. La piena e incondizionata libertà di movimento dei capitali, sancita dall’avvento – con Thatcher e Reagan- delle politiche liberiste, ha comportato una profonda finanziarizzazione dell’economia e della società.
Era il mito della globalizzazione i cui nodi giungono ora al pettine. Perché la finanza non produce merci o beni ma “bolle”, le quali, gonfiate a dismisura finiscono per esplodere: è stato così per la bolla del commercio elettronico, a cui è seguita quella dei subprime ed oggi quella dell’hi-tech. I valori prodotti dal capitalismo finanziario sono enormi: i tre fondi finanziari più grandi, BlackRock, Vanguard e State Street, tutti statunitensi, detengono oggi oltre 20mila miliardi di dollari, più dell’intero Pil dell’Europa o della Cina e pari al Pil degli Usa.
Si tratta di ricchezza depredata alla natura, espropriata alla società, estratta dalla compressione dei diritti delle persone. Ma anche di una ricchezza effimera perché, non avendo alcuna corrispondenza nell’economia reale, si trasforma in un’enorme bolla destinata ad esplodere.
L’elezione di Donald Trump alla Presidenza degli Usa ha svelato le carte: la volgarità del tycoon è proporzionale alla crisi del modello americano, fatta di indebitamento alle stelle, di disavanzo commerciale senza precedenti e di declino del dollaro. Trump, in modo sguaiato e ondivago, cerca di imporre misure economiche inseguendo il mito della reindustrializzazione del paese, obiettivo che, se anche non fosse illusorio, richiederebbe decenni e garantirebbe al suo elettorato un irrisorio numero di posti di lavoro ben pagati e garantiti. Ben più realisticamente, Trump sta cercando, con le minacce, qualcuno che si faccia carico di garantire il debito statunitense.
Intanto, i grandi fondi finanziari si stanno allontanando dagli Usa e sono alla ricerca della prossima bolla, per la quale servono enormi investimenti pubblici (a debito) ma che non devono ovviamente essere utilizzati per la redistribuzione della ricchezza nella società: quale miglior settore può garantire tutto questo, se non quello delle spese per la difesa e per gli armamenti?
È sufficiente, come scrive il Parlamento europeo nella sua recente risoluzione a favore di ReArm Europe «sviluppare nei cittadini europei una comprensione condivisa e un allineamento nella percezione delle minacce verso la democrazia» e il gioco è fatto.
È la nuova bolla, che serve a sottrarre ulteriore ricchezza alle collettività e a spingere un po’ più in là la presa di coscienza dell’insostenibilità del capitalismo; ma è una bolla rischiosissima perché il prodotto degli investimenti bellici ha necessità di essere consumato. Stanno costruendo un futuro di guerra, mentre si mettono silenziosamente in fila a salutare Francesco, facendo finta di non aver sentito le sue ultime parole: «Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo» o le sue considerazioni su: «L’economia che uccide, che esclude, che inquina, che produce guerra, non è economia: altri la chiamano economia, ma è solo un vuoto, un’assenza, è una malattia, una perversione dell’economia stessa e della sua vocazione». Chi fa la guerra non va lasciato in pace.
Riarmo globale: 2.718 miliardi. È la cifra più alta di tutti i tempi
Tommaso Rodano 28 Aprile 2025
Rapporto Sipri 2024I numeri descrivono uno scenario spaventoso: il mondo sale del 5,7%. Gli Usa sfiorano quota mille, Israele +65%
Una corsa senza freni e un record assoluto. Nel 2024 la spesa militare mondiale ha raggiunto il livello senza precedenti di 2.718 miliardi di dollari, con un incremento reale del 9,4% rispetto all’anno precedente. Sono i dati impressionanti che emergono dal nuovo rapporto del Sipri, l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma, una delle fonti internazionali più autorevoli sulle spese militari.
I dati, pubblicati oggi, raccontano una realtà che supera in brutalità anche le peggiori previsioni: mai, nemmeno nei momenti più tesi della Guerra Fredda, si era speso così tanto per prepararsi ai conflitti. Il fenomeno non riguarda solo le potenze tradizionali o i teatri di guerra già accesi: è un processo globale che procede da anni, diffuso e accelerato, che investe tutte le aree del pianeta. E questo record precede anche il piano di riarmo europeo.
In testa alla classifica ci sono sempre gli Stati Uniti, con 997 miliardi di dollari investiti in spese militari (+5,7%), pari a quasi il 37% del totale globale. La Cina segue con 314 miliardi (+7%, trentesimo anno consecutivo di crescita), consolidando il ruolo di seconda potenza armata del pianeta. La Russia, nonostante le difficoltà economiche, ha aumentato il budget della difesa del 38% (149 miliardi): è l’incremento più alto tra le grandi potenze, trainato dalla guerra in Ucraina. La stessa Kiev si issa fino all’ottavo posto della classifica globale, con una spesa aumentata del 2,8% (al netto dei copiosi aiuti che arrivano dall’estero).
Anche in Europa la militarizzazione corre veloce. La Germania, spinta dalla dottrina della “Zeitenwende” – la “svolta epocale” annunciata da Scholz nel 2022, dopo l’invasione russa – segna un aumento record del 28%, diventando il primo Paese europeo per spesa militare dalla riunificazione. Ma il balzo più impressionante, tra i quindi investitori militari più “generosi” del mondo, lo fa Israele. Il massacro di Gaza vale un impressionante +65%. L’Italia si colloca al tredicesimo posto mondiale, con una crescita più contenuta ma comunque costante (+1,4%). L’anticipazione del rapporto non descrive la cifra assoluta spesa dal governo italiano (dovrebbe attestarsi poco sotto ai 40 miliardi di euro). Invece altre realtà, come Polonia (+31%) e Giappone (+21%) accelerano vertiginosamente.
La galoppata delle armi – sottolinea Sipri – non è episodica né circoscritta, ma sistemica. L’Europa nel suo complesso ha aumentato la spesa militare del 17% rispetto al 2023, il Medio Oriente del 15%, l’Asia e l’Oceania del 6,3%, le Americhe del 5,8%, l’Africa del 3%.
La corsa è planetaria, trasversale a ogni latitudine e a tipo di regime. Spicca il ruolo della Nato. I suoi 32 membri assorbono oggi il 55% della spesa militare globale: 1506 miliardi. Solo gli Stati europei dell’Alleanza Atlantica hanno investito 454 miliardi di dollari, una cifra che rappresenta circa un terzo del totale dell’intera Nato.
È la “terza guerra mondiale a pezzi” denunciata da Papa Francesco, appena omaggiato dagli stessi governi che hanno ridicolizzato le sue battaglie. Come spiega Sipri, il paradigma è cambiato: si spende sempre più non solo per fronteggiare guerre già in corso, ma per prepararsi a nuovi conflitti, in un quadro di rivalità crescente tra potenze e di ricomposizione dei blocchi geopolitici.
La logica della deterrenza ha lasciato spazio a quella della competizione permanente. Il riarmo non viene più presentato come misura eccezionale, ma come condizione normale della politica internazionale. Non è più soltanto una somma di conflitti sparsi: è un cambio di fase globale. Che ha raggiunto dimensioni maggiori a quelle degli anni della Guerra Fredda. In tutto il mondo, nonostante le tensioni economiche, le crisi ambientali, le disuguaglianze sociali esplosive, le priorità politiche si orientano ancora di più verso la spesa bellica. Si investe più nel futuro delle guerre invece che nel futuro delle società.
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