QUARESIMA DELL’INFORMAZIONE: IL DIRITTO A DISSENTIRE È ABOLITO COME NEL 1915-18 da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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QUARESIMA DELL’INFORMAZIONE: IL DIRITTO A DISSENTIRE È ABOLITO COME NEL 1915-18 da IL MANIFESTO e IL FATTO

Festa di Articolo21 nella quaresima dell’informazione

RI-MEDIAMO. La rubrica settimanale sui media a cura di Vincenzo Vita

Vincenzo Vita  19/07/2023

Lo scorso mercoledì 12 luglio ’23, presso la Casa internazionale delle donne a Roma, si è tenuta la Festa annuale dell’associazione Articolo21.
La partecipazione è stata importante, perché ha segnato il passaggio dell’esperienza nata nel 2002 sull’onda dei berlusconiani «editti bulgari», a una più articolata e plurale rete associativa. Con un eccesso di gergalità simile approccio si chiama intersezionale, vale a dire la modalità di azione che cerca di cogliere l’intreccio tra i diversi diritti e di unificare le azioni per la loro tutela.

L’articolo 21 della Costituzione riguarda sì la libertà di espressione, ma si coniuga ad altri aspetti cruciali della Carta, e solo in tale connessione trova la possibilità di essere esercitato. Pensiamo all’uguaglianza delle opportunità, alla pace, al lavoro, all’unità nazionale contro i rischi della cosiddetta autonomia differenziata. Non solo. Siamo in una repubblica parlamentare e ogni tentazione presidenzialista va frenata, anche per l’evidente mancanza di una normativa capace di rendere effettivo il citato articolo 21. Ne ha parlato nell’introduzione un giurista da sempre impegnato come Roberto Zaccaria.

I temi proposti dalla festa hanno toccato proprio l’assurdità della legislazione ancora in vigore, come il Testo unico della radiodiffusone mutuato dalla vecchia legge dell’ex ministro Gasparri o l’assenza di progetti di riforma nel campo della crisi dell’editoria. Prevale il precariato privo di garanzie ed è sempre aperta la piaga delle querele temerarie. Su quest’ultimo argomento si è rinnovata la richiesta di varare una disciplina almeno in linea con la nuova direttiva europea in materia. Il ricorso alle querele è una forma di censura e di bavaglio, in grado di vanificare il diritto di cronaca.

In tal senso, l’eventuale condanna del fondatore di WikiLeaks Julian Assange avrebbe il sapore di un monito a tutte e tutti coloro che osano mettere il naso negli arcani dei poteri e delle guerre. Un breve film proiettato con decine di testimonianze lo ha ben spiegato.
Per questo è urgente riaprire una generale vertenza sui diritti, come ha già annunciato la Cgil per il prossimo 30 settembre con l’appoggio di più di sessanta sigle.

La novità, però, sta nella necessità di coniugare i vari piani del confitto. Non per caso, alla festa ha partecipato l’associazione nazionale partigiani con Gianfranco Pagliarulo e Iole Mancini: se si andasse verso una restrizione delle rappresentanze elettive, diverrebbe vitale collegare pluralismo dell’informazione e lotta contro gli autoritarismi.
In tale direzione andava la presenza dell’associazione nazionale magistrati, visto l’attacco costante all’autonomia e all’indipendenza dei giudici.

Un tratto essenziale della vertenza riguarda la solidarietà e l’accoglienza, come hanno testimoniato la comunità Auxilium, quella di S. Teodoro, il Centro Italiano Rifugiati, l’Associazione di solidarietà per le donne afghane. Così si sono sentite le voci che chiedono verità e memoria: per Giulio Regeni, per Ilaria Alpi, per Mario Paciolla, per Giancarlo Siani. Inoltre, va sottolineata la presenza del Centro di giornalismo Permanente, costituito da numerosi giovani desiderosi di svolgere la professione.

Sono intervenuti Vittorio Iacovacci, che fece la scorta all’ambasciatore ucciso nel Congo Luca Attanasio, e la professoressa Annalisa Savino famosa per la lettera agli studenti dopo il pestaggio fascista di Firenze.
La serata, condotta dal coordinatore dei circoli Beppe Giulietti e dalla portavoce Elisa Marincola, ha voluto ricordare un esponente storico di Articolo 21, Elio Matarazzo, ex dirigente della Rai recentemente scomparso.

L’idea scaturita delle testimonianze è chiara: in un periodo in cui sono a rischio i perni del sistema democratico, solo un network di soggetti interessati a costruire un’alternativa può coprire i vuoti lasciati da una vecchia politica insensibile alle urgenze reali di una società che si sente delusa e marginale, impoverita e senza speranze.
Naturalmente, è doveroso incrociare le forze progressiste, ma ben sapendo che da sole non bastano.

Il diritto a dissentire è abolito come nel 1915-18

NICO PIRO  19 LUGLIO 2023

Ridotto a creatura semi-mitologica il tema del dissenso viene avvistato in Italia ormai raramente. Come un calamaro gigante lascia gli abissi, disorientato dalle temperature crescenti degli oceani, e solo per sbaglio si avvicina alla superficie del dibattito politico-mediatico. È accaduto al salone di Torino con chi contestava il diritto delle femministe a contestare la Roccella e chi contestava alla pregiudicata Montarulli il diritto a contestare il direttore Lagioia. Un cortocircuito nel quale si è inserito Violante, papabile al Quirinale: la protesta va educata! Chissà se andava educato anche il presidente Pertini, secondo cui il dialogo andava bene con gli avversari ma mai con i fascisti. Spaventato dal trambusto, il calamaro gigante si è subito inabissato. Anche colpa, forse, del rumore delle idropulitrici su Palazzo Madama. Per fortuna, grazie al disegno di legge contro “distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento”, nessuno potrà più mostrarsi in disaccordo con l’autodistruzione del pianeta lanciando vernice sul Senato. Il diritto di “imbrattare” quell’istituzione resta solo al suo presidente, revisionista e collezionista di busti del duce, pre-giudice di casi di stupro.

Ma l’estinzione del diritto al dissenso non dipende solo dalla destra al governo. Riavvolgiamo il nastro: ai tempi del Covid si tentò, giustamente, di dare voce a chi di malattie infettive ne sapesse qualcosa, mentre i social erano inondati di balle e in tv andava in onda la par condicio tra medici e stregoni. Un tentativo, nobile nelle intenzioni, che è stato trasformato in sciocca caccia all’untore, indirettamente favorendo la retorica pseudo-libertaria e trumpiana di leghisti e fascisti. Arrivò poi il draghismo, la neo-religione che postula l’infallibilità dell’ex premier (anche di fronte al suo fallimento come politico, gestore di una coalizione). Una fede le cui vestali vengono fornite dall’italico neoliberismo, setta finanziata dallo Stato (manco fossero socialisti). Loro compito è allungare la lista dei nemici, alias quelli che non ascoltano i loro diktat: dai segretari di partito allo chef del ristorante sotto casa. Restano comunque i poveri i loro nemici preferiti: scansafatiche percettori del reddito di cittadinanza, organizzatisi per far fallire bar e ristoranti di lusso.

Concentrando il Novecento in due anni, alla pandemia è seguita la guerra. Le vestali del neoliberismo (comprese quelle da sempre nell’orbita proprietaria del berlusconismo, storica forza putiniana d’Italia) si sono subito messe al servizio del partito delle armi, anche grazie al peggior segretario della storia del Pd (mancato segretario Nato?). Hanno scelto i pacifisti come nemico. In un clima da 15-18, le uniche voci legittimate a parlare sono diventate quelle che chiedono più guerra per fermare la guerra. Vietato parlare del conflitto senza la premessa “c’è un aggredito e un aggressore” (vero, peccato non valga per altre guerre, tipo quella israelo-palestinese). Impossibile far cronaca sulle scelte del governo di Mosca senza la premessa “Putin è un pericoloso dittatore” (vero, meno male che bin Salman ed Erdogan sono illuminati riformisti). Riapparse le liste di proscrizione come in tempi bui, diventa automaticamente un agente del nemico chiunque dissenta dalla narrazione bellicista o dalla deificazione delle armi (un tempo ammazzavano, oggi salvano vite). La “legge marziale” del Pensiero Unico Bellicista legittima l’insulto al pacifista, sempre meritato.

Se ti chiamano complice del criminale di guerra Putin è anche difficile avere tutela dall’Ordine dei giornalisti. Chissà se verrebbe considerato esercizio del diritto d’opinione definire “servi della Nato” gli opinionisti con l’elmetto? Intanto la difesa del dissenso sotto forma di satira, cioè Je suis Charlie, vale solo se ci sono di mezzo terroristi mussulmani. Viene alla mente Guy Debord, se non fosse che dalla “società dello spettacolo” siamo ormai passati a quella dell’avanspettacolo: Prigozhin, per mesi definito mercenario criminale di guerra, diventa in poche ore dissidente anti-cremlino e smantellatore della retorica putiniana sull’invasione. Pandemia, governo dei migliori, la guerra: un percorso di demolizione del diritto al dissenso. La guerra l’ha solo accelerato a pochi metri dal traguardo. Gli anti-putiniani si rivelano cripto-putiniani quando pretendono di dettare le opinioni degli altri e cosa i giornalisti debbano scrivere. Per loro cancellare il dissenso è un successo contro il complotto interno, in realtà è una fistola che avanza nella Costituzione e nella carne del nostro Paese. Che ciò non preoccupi fascisti e neoliberisti è qualcosa di già visto, un secolo fa. Perché le opposizioni, come hanno fatto sul salario minimo, non riescono ad unirsi – pur nelle diverse posizioni sulla guerra – per difendere la libertà di opinione? La democrazia si difende così non producendo più proiettili d’artiglieria.

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