OLTRE IL BUIO DEL DDL SICUREZZA. I DIRITTI SPECIALI NELLO STATO SENZA LIMITI da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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OLTRE IL BUIO DEL DDL SICUREZZA. I DIRITTI SPECIALI NELLO STATO SENZA LIMITI da IL MANIFESTO

Oltre il buio del Ddl Sicurezza. Le fiaccole illuminano la piazza

Ddl Paura Centinaia di persone a Roma e in altre città. Non si ferma la mobilitazione per il diritto al dissenso.

Giuliano Santoro  18/01/2025

Piazza Sant’Andrea della Valle è il dente di asfalto che si incunea verso corso Rinascimento, dove affaccia Palazzo Madama. È qui che si ritrovano in centinaia, con tanto di fiaccole e cartelli, per protestare contro il Ddl sicurezza. L’idea l’ha lanciata Amnesty International e raccolta dalla rete «A Pieno Regime», organizzazione di scopo, composita e plurale che dopo la grande manifestazione dello scorso 14 dicembre continua a mobilitarsi per fermare il disegno di legge che ormai anche diversi organismi internazionali (Ocse, Consiglio d’Europa e Nazioni unite) considerano al di là delle normali garanzie offerte dai sistemi liberaldemocratici.

«SIAMO DI FRONTE a una svolta autoritaria pericolosa e dobbiamo fermarla – esordisce Luca Blasi, uno dei portavoce della rete – Il governo Meloni sta esasperando gli animi e continua a provocare la piazza». Dopo di lui Riccardo Noury, portavoce di Amnesty, spiega: «Questo provvedimento preoccupa noi e preoccupa molte organizzazioni internazionali perché dietro la parola ‘sicurezza’ si cela un disegno repressivo di alcuni diritti fondamentali. Uno tra i più importanti quello di protesta pacifica, cioè di esprimere in piazza dissenso o pensiero critico in forma pacifica. Il Ddl aumenterà la popolazione carceraria, perché prevede nuovi reati, aggravanti, passaggi da sanzioni amministrative a reato penale. E tenderà a colpire le vulnerabilità, le marginalità, forme di resistenza assolutamente non violenta. Insomma un provvedimento contrario ai diritti umani. Noi chiediamo che ci sia un ripensamento complessivo su questo provvedimento, perché così come scritto lederà gravemente i diritti umani».

IN PIAZZA RIMBALZANO le notizie sulle modifiche al Ddl e sul rischio che accanto ad esse la destra provi ad accelerare e allo stesso tempo soffiare sul fuoco delle emergenze sociali trasformandole in allarmi per l’ordine pubblico. «La richiesta generale è che c’è poco da emendare – il segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio, Natale Di Cola – Il Ddl va rifiutato. Continueremo a mobilitarci, fino a quando il governo non fermerà questo provvedimento sbagliato». Dalla piazza di Napoli, il suo omologo Nicola Ricci conferma: «La sicurezza che vuole il governo è la sicurezza di reprimere, di discriminare, di fare cittadini di serie A e di serie B – fa sapere il segretario generale Cgil Napoli e Campania – il paese si deve rendere conto che questo provvedimento prevede settanta nuovi reati penali e pene rafforzate. Limita il diritto al dissenso, a manifestare, a rivendicare e protestare per difendere i diritti sociali e civili». Il ping pong tra le piazze della mobilitazione diffusa crea lo scambio con le manifestazioni in giro per l’Italia: arrivano messaggi da Empoli, Reggio Emilia, Asti.

«C’È UN PAESE che non si rassegna – dice il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni, che ha partecipato alla manifestazione bolognese – Non si rassegna all’idea che dissentire diventi un reato, che manifestare diventi impossibile e che l’unico strumento per gestire i conflitti, i bisogni in questo paese sia l’implementazione dei dispositivi penali e punitivi, naturalmente sempre e solo nei confronti dei più deboli».

Per Cecilia D’Elia, senatrice del Pd, «è molto importante che ci sia un’opposizione nella società, di associazioni, organizzazioni, sindacati, perché questo ddl in realtà non tratta della sicurezza dei cittadini, ma è un decreto che mette fortemente in discussione l’agibilità democratica, la possibilità di manifestare, la resistenza non violenta. E quindi è una misura pericoloso per chi è impegnato e per quei cittadini senza potere che vogliono manifestare la loro opinione, per far arrivare i loro problemi nel dibattito pubblico». Per il Movimento 5 Stelle a Roma ci sono i parlamentari europei Carolina Morace e Dario Tamburrano. Prima di loro, Giuseppe Conte da Montecitorio ribadisce l’impegno dei suoi. E a chi gli chiede della presenza in piazza risponde: «Attueremo qualsiasi misura volta a contrastare la deriva reazionaria di questa maggioranza. Adesso questa battaglia è ancora in corso in parlamento. Ma non rinunciamo a nessuno strumento per contrastare questa azione di governo e queste misure inaccettabili».

I diritti speciali nello Stato senza limiti

Piazze e polizia Evocare a gran voce scudi penali e privilegi per le forze dell’ordine, arricchendo il corredo già pronto nel disegno di legge sicurezza (aggravanti, tutele rafforzate, pagamento di spese legali, licenze d’armi), supporta l’idea di uno stato fondato sull’autorità e sull’obbedienza

Alessandra Algostino  18/01/2025

Le immagini e la retorica delle forze di polizia vittime della supposta violenza dei manifestanti, oltre a stridere con il contenuto degli stessi video, sono emblema di una concezione autoritaria dello stato e strumento della sua legittimazione culturale. Raccontano di una distorsione della verità, di una narrazione che, grazie ad una informazione troppo spesso supina, è ripetuta con insistenza, sino a tramutarsi in univoca realtà, modellando così «l’opinione e quindi la volontà politica nazionale» (Gramsci).

Un suggerimento per giornalisti mainstream, ma anche per pubblici ministeri e giudici: assistere a qualche manifestazione, possibilmente non dietro il cordone della polizia.

Evocare a gran voce scudi penali e privilegi per le forze dell’ordine, arricchendo il corredo già pronto nel disegno di legge sicurezza (aggravanti, tutele rafforzate, pagamento di spese legali, licenze d’armi), supporta l’idea di uno stato fondato sull’autorità e sull’obbedienza.
Autorità e obbedienza appartengono ad orizzonti estranei alla democrazia, che si fonda, imprescindibilmente, sulla partecipazione e sull’uguaglianza, sulla «pari dignità sociale» (articolo tre della Costituzione), sul pluralismo e sul conflitto.

Nella democrazia disegnata dalla Costituzione – dovrebbe essere ovvio – al centro è la persona, la garanzia della sua dignità, non lo Stato e le sue istituzioni; la seconda parte della Costituzione (l’organizzazione dello Stato) è strumentale rispetto alla prima (principi, diritti e doveri della persona).

Sostituire il principio di autorità alla partecipazione, la ragion di stato al pluralismo e al conflitto, la primazia delle istituzioni alla centralità della persona, non è certo poco in termini di sovversione dei paradigmi democratici, ma non nemmeno è tutto.

La volontà di istituire privilegi per le forze di polizia, di dotarle di immunità, scardina anche il principio di uguaglianza e il concetto di limite.
Ci sono cittadini “più cittadini” di altri, funzionari pubblici più rilevanti di altri, a dimostrazione che lo Stato non intende identificarsi con i cittadini e nemmeno con la garanzia del diritto all’istruzione o del diritto alla salute, ma con l’ordine pubblico; fine non è la sicurezza dei diritti e la sicurezza sociale, ma una coesione sociale intesa come sterilizzazione della società, a beneficio di alcuni.

L’uguaglianza come connotato del diritto proprio di una democrazia cede il passo a diritti speciali: il diritto speciale del migrante, il diritto speciale di chi vive ai margini (fra punizione della povertà e daspo urbano), il diritto speciale di chi dissente e ora il diritto speciale di chi rappresenta l’autorità. Diritto del nemico e diritto dell’amico; disumano e super-umano.

Il nemico è stigmatizzato e criminalizzato, espulso; l’amico, che veicola l’immagine dell’autorità, è celebrato e oggetto di franchigie e benefici.
Non si tratta solo di accontentare settori concepiti come politicamente affini ma di diffondere una concezione dello stato: autoritaria, insofferente a chiunque dissenta e intollerante ai limiti.

La divergenza sociale e politica è punita: chi critica è querelato; chi fa un blocco stradale compie un reato; chi disobbedisce con la nonviolenza, se è un carcerato e un migrante sarà punito, se è un eco-attivista per ora è solo espulso (il daspo urbano come moderno confino?); chi è povero, nel migliore dei casi, è ghettizzato o mantenuto in condizioni di sudditanza da benefici elargiti come graziosa carità.

I privilegi e le immunità per le forze di polizia, a fronte dell’uso della violenza, hanno un parallelismo nel mancato rispetto dei limiti istituzionali da parte dell’esecutivo, che siano sentenze dei giudici o ruolo del Parlamento. Una insofferenza al limite (la limitazione del potere è essenza del costituzionalismo) che si salda con il vittimismo del potere che giustifica la violenza con l’essere vittima.

È quanto tragicamente ci restituisce il “laboratorio Palestina”: menzogna così prepotente, e potente grazie alle complicità di molti, che impone l’assurda accusa di antisemitismo a chi pretende di “dire la verità al potere” ed è teatro di una orribile violenza legittimata con il ruolo di vittima e con la disumanizzazione, il disconoscimento, dell’“altro”.

Non è certo la violenza dei manifestanti (posto che vi sia) a preoccupare ma la violenza istituzionale e la cultura autoritaria che la narrazione vittimistica delle forze di polizia reca con sé.

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