NASA: “STIAMO ASSISTENDO A CAMBIAMENTI SENZA PRECEDENTI” da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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NASA: “STIAMO ASSISTENDO A CAMBIAMENTI SENZA PRECEDENTI” da IL MANIFESTO e IL FATTO

Luglio 2023 è il mese più caldo da «diverse centinaia di anni»

L’ALLARME DEL CLIMATOLOGO DELLA NASA. «Stiamo assistendo a cambiamenti senza precedenti in tutto il mondo»

Luca Martinelli  22/07/2023

Mancano dieci giorni alla fine del mese, ma Gavin Schmidt, capo climatologo della Nasa, ha già annunciato che con tutta probabilità luglio 2023 sarà il più caldo mai registrato da diverse «centinaia, se non migliaia, di anni» in tutto il mondo.

Diversi record di calore sono già stati battuti a luglio, secondo due strumenti dell’Unione europea e dell’Università del Maine negli Stati uniti, e le tendenze al rialzo delle temperature sono inequivocabili e probabilmente si rifletteranno nei prossimi rapporti mensili delle agenzie statunitensi collegate alla Nasa. Schmidt cita tra gli altri l’osservatorio europeo Copernicus, che pure aveva detto che il mondo si stava avviando verso il luglio più caldo dall’inizio delle misurazioni, dopo un giugno già da record. «Stiamo assistendo a cambiamenti senza precedenti in tutto il mondo» ha dichiarato Gavin Schmidt. «Le ondate di calore negli Stati uniti, in Europa e in Cina stanno battendo dei record», ha aggiunto. Soprattutto perché non possono essere attribuite esclusivamente al fenomeno El Niño (un fenomeno climatico ciclico che ha origine nell’Oceano Pacifico e provoca un aumento delle temperature globali, accompagnato da siccità in alcune parti del mondo e forti piogge in altre), «che è appena arrivato». Sebbene El Niño abbia un ruolo limitato nelle osservazioni attuali, continua Schmidt «abbiamo visto temperature superficiali del mare da record, anche al di fuori dei tropici, per diversi mesi e ci aspettiamo che questo continui, perché continuiamo a emettere gas serra nell’atmosfera». Questi causano i cambiamenti climatici, che portano con sé come conseguenza il riscaldamento globale.

I fenomeni attuali aumentano la probabilità che il 2023 sia l’anno più caldo mai registrato. Tale probabilità è attualmente del 50% secondo i calcoli di Gavin Schmidt. Ma altri scienziati ritengono che la probabilità sia dell’80%, ha aggiunto, spiegando che secondo le stime il 2024 sarà un anno ancora più caldo. È anche per questo che desta preoccupazioni un articolo pubblicato su Science che racconta di un problema serio per l’umanità nascosto in una carota di ghiaccio ritrovata in Greonlandia. Lo riassume in poche righe Jesse Smith, senior editor della rivista, raccontando la scoperta che il Nord-ovest dell’isola sia stato libero dai ghiacci in un periodo interglaciale conosciuto come Stadio Isotopico Marino 11, circa 416mila anni fa. Una questione che ci riguarda perché, come spiega Smith, «l’assenza di ghiaccio in quel luogo significa che la calotta glaciale della Groenlandia deve aver contribuito con più di 1,4 metri all’innalzamento del livello del mare» e questo è successo «quando la temperatura media dell’aria globale era simile a quella che sperimenteremo presto a causa del riscaldamento climatico provocato dall’uomo».

Questa scoperta ribalta la convinzione che l’isola più grande del mondo fosse una fortezza di ghiaccio in piedi da 2,5 milioni di anni. Il campione, lungo oltre 3 metri e contenente terra e pietre, era conservato in un congelatore. Oltre ai sedimenti, conteneva resti di foglie e muschio, una prova inconfutabile che il terreno un tempo era privo di ghiaccio. Ciò è avvenuto durante un periodo di riscaldamento naturale, quando le temperature erano simili a quelle odierne e tra +1°C e +1,5°C più alte rispetto all’era preindustriale. I modelli sviluppati dai hanno dimostrato che l’innalzamento del livello del mare causato all’epoca dallo scioglimento di questa calotta glaciale sarebbe stato compreso tra 1,5 e 6 metri. Sono stime ma suggeriscono che tutte le regioni costiere del mondo, dove si concentrano grandi centri abitati, rischiano di essere sommerse nei secoli a venire.

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LUCA MERCALLI  22 LUGLIO 2023

L’ondata di caldo estrema nel Mediterraneo, annunciata da una settimana, è diventata realtà. A delineare l’anomalia climatica non provvedono le mutevoli impressioni delle persone bensì i termometri delle reti di misura, anzitutto quelle istituzionali del Servizio meteorologico dell’Aeronautica militare e delle agenzie regionali per l’ambiente (Arpa) e del Sistema nazionale protezione ambiente (Snpa) – ma pure quelle amatoriali che in molti casi rivaleggiano con quelle professionali per cura nell’installazione e manutenzione degli strumenti, rendendo capillare il quadro conoscitivo in un territorio complesso come quello italiano.

La frammentazione istituzionale purtroppo non giova al reperimento immediato e univoco di questi dati, che altri servizi meteorologici esteri mettono a disposizione in tempo reale e sull’intero territorio nazionale, ma in ogni caso le misure degli ultimi giorni parlano chiaro: la possente bolla di aria nordafricana, rovente come di rado (e in alcune Regioni mai) si era vista nel nostro Paese, si è tradotta in numerosi nuovi record storici di temperatura massima, soprattutto in Sardegna. Tra il 18 e il 19 luglio i valori più elevati, oltre 10-12 °C sopra media, sono i 46,2 °C registrati all’aeroporto militare di Decimomannu, 20 km da Cagliari, picco di caldo inedito nella serie di osservazioni dell’Aeronautica iniziata nel 1961; senza precedenti in oltre mezzo secolo di misure anche i 42,2 °C di Capo Caccia, i 42,7 °C della vicina Alghero e i 43,0 °C di Olbia. Pur senza raggiungere il primato italiano ed europeo di 48,8 °C dell’11 agosto 2021 a Siracusa (appena convalidato dall’Organizzazione meteorologica mondiale dopo un lungo processo di valutazione) non si è scherzato nemmeno in Sicilia, con ulteriori record nelle serie ventennali del Sias, il Servizio agrometeorologico regionale, tra cui 44,8 °C nelle campagne di Agrigento, 45,2 °C tra gli aranceti di Ribera, 46,3 °C a Licata. Non mancano valori ancora più elevati, vicini a 48 °C nel Sud della Sardegna, la cui attendibilità tuttavia è in corso di analisi e richiede cautela: fa parte del metodo scientifico, basta attendere che le procedure di validazione vengano concluse. Meno estremo ma pur sempre fuori dal comune il caldo nel resto del Paese, ben sopra i 35 °C dalla Valpadana (qui condito da un’afa equatoriale) fino ai circa 40 °C dell’area urbana di Roma e ai 44 °C di Foggia. Ad aggiungere eccezionalità all’episodio c’è poi la sua lunga durata, non due o tre giorni come spesso avviene, ma per quanto riguarda la Sardegna e il Sud anche due settimane.

Nessuno ha dunque inventato dati, cambiato colori alle carte meteorologiche, truccato statistiche o fomentato allarmismi per spaventare la popolazione o per portare acqua al mulino della transizione ecologica. Sono misure strumentali, punto. Peraltro inserite in un contesto climatico internazionale che, basandosi sulle informazioni delle più autorevoli agenzie del settore, pare un bollettino di guerra, con il mondo che – da quando esistono osservazioni meteorologiche – non era mai stato caldo come negli ultimi venti giorni, il record di 52,2 °C in Cina, le anomalie di elevata temperatura dell’Atlantico settentrionale e di scarsa estensione del ghiaccio marino intorno all’Antartide statisticamente fuori scala.

Chi sminuisce o, peggio, nega l’evidenza della crisi climatica e le sue conseguenze, deve assumersi la grave colpa di intralciare e rallentare un processo di consapevolezza e azione già lungo e difficile di suo. Ci sono quotidiani che hanno sostenuto che i dati meteorologici fossero falsi, che fa caldo semplicemente perché è estate, che è sempre successo, che l’allarme non fosse giustificato. Invece i record ci sono stati eccome, e l’anomalia climatica è tra le più evidenti di duecento anni. Chiedo pertanto all’Ordine dei giornalisti, del quale sono componente e formatore, di attivare il Consiglio di disciplina per violazione del codice deontologico e del “Manifesto di Piacenza” sul giornalismo scientifico. All’articolo 2 si legge che “il giornalista ha l’obbligo di ricorrere, soprattutto quando si occupa di materie scientifiche, a fonti qualificate”. Tali fonti sono le reti di osservazione meteorologica e non le chiacchiere al bar. I record climatici sono attestati da migliaia di stazioni di osservazione che in Italia svolgono la propria attività anche da più di due secoli. Personalmente ho la responsabilità del mantenimento di tre osservatori ultracentenari riconosciuti dall’Organizzazione meteorologica mondiale come “Centennial Observing Stations”: Moncalieri, Domodossola e Piacenza. Oltre a questi ce ne sono un’altra ventina, l’Italia è il Paese che ne ha di più al mondo. Non sono disposto a sentirmi dire che rilevino dati falsi. È una menzogna bella e buona.

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