MENZOGNE EVERSIVE da IL FATTO
Caso Almasri, l’avviso di garanzia a Giorgia Meloni un atto dovuto. Ecco perché la procura non aveva altra scelta
Marco Lillo 29 Gennaio 2025
Il procuratore Francesco Lo Voi non aveva scelta: doveva iscrivere nel registro degli indagati la presidente del Consiglio Meloni, i ministri Piantedosi e Nordio e il sottosegretario alla Presidenza Mantovano per trasmettere tutto al Collegio dei reati ministeriali informando “immediatamente’” gli indagati permettere loro di presentare memorie o farsi sentire. Lo impone l’articolo 6 comma 2 della legge costituzionale n.1/1989, citato nella lettera cortese che Lo Voi ha spedito a Meloni. Invece di attendere le decisioni del Collegio in silenzio Meloni ha preferito sparare la notizia sui social. Eppure il suo co-indagato Mantovano è un magistrato e le avrà spiegato le norme. Quel video in cui la premier mostra quell’avviso scontato e ricorda che Lo Voi è il Pm del processo “fallimentare” a Salvini sfiduciando poi di fatto lui e tutta la magistratura con frasi allusive è un passo irresponsabile. Che messaggio trasmette la presidente del Consiglio ai cittadini quando dice “io non mi faccio ricattare e non mi faccio intimidire”?
I cittadini sono portati a credere che ci sia una relazione tra quell’atto ostile del Pm e il braccio di ferro che lei sta ingaggiando con la magistratura sulla separazione delle carriere. Sono indotti a pensare che c’è da aver paura dei magistrati, perché anche la donna più potente d’Italia deve dire forte al popolo che lei non si fa intimidire e ricattare. Se la premier fa intendere che quattro membri del governo sono vittime di un atto ingiusto dopo un processo ingiusto contro un quinto membro del governo per fatti vecchi, è sensato chiedersi: “In che paese viviamo?”. Questi messaggi passano proprio grazie all’asimmetria di conoscenze tra la potente premier che parla e il teleutente che la ascolta. Un politico buono cerca di colmare questo divario conoscitivo spiegando cosa prevede la legge ai cittadini. Una cattiva politica sfrutta l’ignoranza per far credere agli elettori di vivere in un mondo che non esiste.
Un mondo dove un Pm come Lo Voi (da sempre un moderato che piace ai moderati) diventa l’inquisitore spietato dei politici di destra. Allora anche a costo di essere pedanti è bene ricordarlo: Lo Voi non aveva scelta. Il procuratore ha ricevuto la denuncia di due reati ministeriali il 23 gennaio. Per legge aveva solo 15 giorni di tempo per trasmettere il fascicolo “omessa ogni indagine” al Collegio dei reati ministeriali competente. L’avvocato Luigi Li Gotti aveva postulato ipotesi di peculato e favoreggiamento tutte da dimostrare ma per fatti precisi contro 4 membri del governo indicati per nome.
Lo Voi non ha fatto altro che iscrivere i quattro per i reati ipotizzati girando tutto al Collegio. Se davvero Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano abbiano concorso a fare peculato e favoreggiamento inviando a Torino l’aereo per portare Almasri in Libia lo decideranno i giudici ‘speciali per i ministri’ romani. La competenza non è di Torino perché l’aereo di Stato ha caricato (a spese nostre) a Caselle il comandante Al Masri accusato di crimini e torture. Ma quell’aereo è partito da Roma. Qui, in teoria, inizierebbe il presunto peculato. Qui si radica la competenza. Il collegio potrà fare indagini come un giudice istruttore del vecchio rito. Immaginiamo che sarà acquisita la corrispondenza tra ministero della Giustizia e magistrati a monte delle procedure che hanno portato al volo e al rimpatrio. Meloni e compagni si potranno far sentire e al termine dell’istruttoria arriverà la decisione di archiviare o chiedere l’autorizzazione a procedere al Parlamento. Ove fosse concessa (ma parliamo di ipotesi astratte e totalmente premature) a decidere sarà il Tribunale ordinario, come accaduto a Palermo con Matteo Salvini.
Menzogne eversive
marco travaglio 30 Gennaio 2025
Nel novembre 2020, mentre stava scrivendo il Pnrr e affrontando la seconda ondata di Covid e le imboscate di Renzi per rovesciare il governo, il premier Giuseppe Conte fu denunciato da Fratelli d’Italia alla Procura di Roma per peculato: l’accusa era di aver mandato la scorta che lo attendeva sotto casa a “salvare” la sua compagna assediata da una troupe delle Iene nel supermercato sull’altro lato della strada, a una decina di metri. La Procura non archiviò, ma iscrisse il premier per peculato, gli notificò l’iscrizione e, come prevede la legge, girò la denuncia al Tribunale dei ministri che, sentiti tutti i protagonisti incluso l’inviato delle Iene, la archiviò nel marzo 2021 perché era tutto falso. Conte non mostrò l’avviso dei Pm a favore di telecamera, non gridò al complotto, si mise a disposizione dei magistrati e attese l’esito dell’indagine. Ne parlò il 3 dicembre rispondendo a un cronista in conferenza stampa: “Ho ricevuto attacchi personali a me e alla mia compagna, e mi spiace molto… Un’esponente di FdI mi accusa di uso improprio della scorta, ma è completamente falso: la mia compagna non ha preso l’auto di scorta, io non ho mandato la scorta, che era lì per me in attesa che scendessi. L’uomo della scorta è intervenuto perché ha visto concitazione e trambusto”. Mesi prima Conte era stato denunciato dai parenti delle vittime del Covid per la mancata zona rossa in Val Seriana: i Pm di Bergamo l’avevano sentito per tre ore nel giugno 2020 a Palazzo Chigi e tre anni dopo, a fine inchiesta, l’avevano indagato con Speranza e altri 18 fra politici e funzionari per epidemia colposa aggravata e omicidio colposo plurimo: cioè per una strage di almeno 4.148 vittime. Anche allora fu avvisato dai Pm prima che il fascicolo passasse al Tribunale dei ministri. E neppure allora gridò al complotto in tv. Espresse fiducia nei magistrati: “Sono assolutamente tranquillo e a disposizione: ho già fornito ai Pm tutte le informazioni in mio possesso e ora, se ci sarà un’altra occasione, fornirò ancora la massima disponibilità”. Il Tribunale archiviò tutto 40 giorni dopo perché “il fatto non sussiste”.
La differenza fra un politico corretto e Giorgia Meloni è tutta qui. Nei confronti della premier i Pm di Roma hanno seguito la legge e la prassi: quando arriva una denuncia circostanziata, come quella dell’avvocato ed ex sottosegretario Luigi Li Gotti contro Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano per il mancato arresto di Almasri, dovendo affidarla subito e “omessa ogni indagine” al Tribunale dei ministri, non possono archiviarla. Devono iscrivere nel registro degli indagati i denunciati e informarli dell’indagine, perché possano nominare un avvocato e presentare memorie difensive.
La Meloni può non saperlo, ma lo sanno i suoi tre coindagati: i magistrati Mantovano e Nordio e il prefetto Piantedosi, che certamente gliel’hanno spiegato. Lei però ha deciso di buttarla in caciara, anzi in congiura, con quel video sgangherato ed eversivo in cui addita la Procura di Roma che compie un atto obbligato come un covo di golpisti che vogliono “ricattarla” e “intimidirla” per rovesciare il governo; e mente per la gola approfittando dell’ignoranza di molti sull’iter tecnico dei reati ministeriali. 1) Quello che sventolava non era un avviso di garanzia: al momento i Pm non la accusano di nulla, la informano soltanto della denuncia e dell’indagine. 2) Nessuna inchiesta a orologeria collegata a riforme o altro. I tempi della notifica dipendono dalla denuncia di Li Gotti, che a sua volta dipende da un atto compiuto (anzi non compiuto) dal suo ministro della Giustizia: il mancato arresto dell’aguzzino libico Almasri, inseguito da un mandato di cattura internazionale della Corte dell’Aja. Che l’Italia, salvo uscire dallo Statuto di Roma che l’ha istituita, era obbligata a eseguire, anziché restituire il criminale alla Libia su un volo di Stato perché tornasse a torturare migranti e a violentare bambini. 3) Nessuna notifica dei Pm può intimidire o ricattare la premier (ricattata, semmai, dalla Libia): probabilmente la denuncia sarà archiviata; se invece non lo fosse, non ci sarebbe comunque alcun processo perché per i reati ministeriali serve l’autorizzazione a procedere delle Camere, e il centrodestra non ne ha mai concessa una; se poi ci fosse un processo, i ministri imputati resterebbero al loro posto (come han fatto Salvini, Santanchè e Delmastro).
4) Li Gotti non è affatto un uomo di sinistra o di Prodi: ex esponente del Msi e di An, poi passato all’Idv di Di Pietro, assiste da sempre come avvocato pentiti di mafia (da Buscetta in giù) e rappresentanti delle forze dell’ordine, inclusa la famiglia del commissario Calabresi ucciso da un commando di Lotta continua. 5) Idem il procuratore Lo Voi, uomo di spicco di MI, la corrente togata di destra. 6) È falso che, restituendo alla Libia il torturatore, il governo abbia tutelato l’Italia: ha tutelato l’aguzzino e i suoi mandanti in barba all’articolo 378 del Codice penale, che punisce fino a 4 anni “chiunque aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti”. E il riferimento alla Cpi fu aggiunto dalla legge n. 237 del 20.12.2012, che ne recepiva lo Statuto. Votata da tutti i partiti, inclusi quelli di destra che ora gridano al complotto riuscendo a commettere un altro reato, punito dall’articolo 668 del Codice penale: l’“abuso della credulità popolare”.
No Comments