“L’ordine delle cose”. Libia, Europa e migranti nel film di Segre
Vorrei segnalare il film “profetico” di A. Segre, L’0rdine delle cose. Si tratta della visione diretta delle conseguenze prodotte dai provvedimenti del ministro Minniti a proposito dei migranti. A questo scopo pubblicherei, se fosse possibile, la recensione di Lucia Tedesco.
VIttorio Boarini
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di Lucia TEDESCO, da Cinematographe, 2 settembre 2017
L’Ordine delle cose è un film di Andrea Segre, proiettato durante la 74ª Mostra del Cinema di Venezia, interpretato da Paolo Pierobon, Giuseppe Battiston e Valentina Carnelutti. L’Ordine delle cose verrà distribuito nelle sale il 7 Settembre.
Corrado è un funzionario del Ministero degli Interni che si occupa principalmente di immigrazione. A causa dei continui sbarchi che si susseguono sulle coste italiane, viene spedito in Libia, a Tripoli, per poter dialogare con il governo e gli ufficiali libici che regolano gli ingressi nei centri di detenzione. Il suo ruolo è determinante considerate le difficoltà di un paese come la Libia, scosso dal regime di Gheddafi e da accordi tra forze armate ed esponenti politici con cui Corrado si sconterà pur di avvalorare e assecondare gli interessi dell’Europa.
Durante una visita nei centri di detenzione si renderà conto delle condizioni miserabili dei rifugiati ed entrerà in contatto diretto con una di loro, Swada, una donna somala che da mesi tenta di attraverso il Mediterraneo per poter raggiungere il marito in Finlandia. Corrado darà finalmente una voce, un volto e una storia ai numeri in serie che si susseguivano sullo schermo del suo computer, realizzando che con pochi sforzi ha la possibilità di cambiare il destino di una persona.
Considerato che la genesi de L’ordine delle cose ha visto il suo inizio tre anni fa, il film possiede un valore aggiunto, una nota di verità che sconvolge e rapisce allo stesso tempo. Ciò che la pellicola si pone come obiettivo è di sottolineare come il rifiuto, l’abnegazione di un solo uomo è il riflesso di una società contemporanea che vive una crisi identitaria e culturale senza eguali.
Un popolo come quello europeo che è stato fondatore di diritti, esempio di civismo e pioniere d’ogni legge morale e costituzionale, possa ammutinare ogni proprio credo e ogni libertà forgiata col sangue dei proprio avi, al fine di ridimensionare la portata e la gravità di ciò che sta accadendo; la negazione è il primo passo verso il fallimento, un fallimento a livello umano che sceglie di porre ogni ingiustizia collaterale all’ombra della propria coscienza, un modo che ha l’uomo di giustificare gli atti più scabrosi, dandogli un nome differente, un peso minore e volendo, in certi casi, farli anche passare come una virtù.
Ecco cosa imperversa nella società attuale, l’aiuto e la compassione sono segni di debolezza, chiudere le frontiere è una scelta sana, un gesto di benevolenza verso il proprio popolo, la desensibilizzazione di una comunità che sceglie di esportare il dolore di una popolazione distrutta per mano degli stessi che innalzano muri divisori, è l’inconfutabile disgregazione interna che porterà conseguenze inimmaginabili.
Andrea Segre realizza un film plurale, che guarda alle istituzioni, alla politica, al ruolo dell’immigrazione ai tempi del neo-nazismo latente e sotto mentite spoglie, un’opera amara con un’estetica ben precisa, con un’etica imprigionata, clandestina a sua volta, importata nel vecchio continente da paesi cosiddetti in via di sviluppo. Corrado tenta di liberare le coste italiane dal fardello migratorio a discapito di vite umane, una scelta ardua che declinerà la sua persona in modo impercettibile e che sarà ben visibile sui battiti finali, concludendo questa antifiaba in modo disarmante.
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