“L’ODIO”. UNA PROFEZIA DEL 1933 da IL FATTO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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“L’ODIO”. UNA PROFEZIA DEL 1933 da IL FATTO e IL MANIFESTO

Il nazismo: purissima spazzatura

“L’odio”, una profezia del 1933 – Belve, falliti e magnaccia

Heinrich Mann  29 Agosto 2024

Anticipiamo stralci de “L’odio” di Heinrich Mann (1933), per la prima volta in Italia in edizione integrale, in libreria da domani con L’Orma.

No, la dittatura non conta fra le sue file figure d’eccellenza. Ma, com’è facile intuire, non gliene importa nulla, poiché odia l’intelligenza e gli intellettuali e fa di tutto per sottrargli ogni potere. Allo stesso tempo, però, il regime ama presentarsi come benefattore delle scienze e delle arti, a patto che si pieghino ai suoi capricci… È arrivato Hitler e di colpo si è iniziato a gettare i soldi dalla finestra, con premi mirabolanti assegnati a romanzi di nessun valore, ma che strizzano l’occhio al regime. Ecco come si fa quando si vuole annacquare l’arte e il pensiero con idee finte e una finta creatività. L’esperienza ha insegnato ai nazisti che il denaro e la propaganda sono strumenti molto utili al raggiungimento del potere, così questi manipolatori immaginano di poter imporre senza fatica anche un nuovo spirito nazionale, che sia simile al loro.

Per buona parte della nostra vita, ci eravamo impegnati a mettere in parole verità umane, a dar loro forma fino a renderle vive. Letteratura, arte e teatro erano espressioni dell’esistenza, il risultato di ciò che aveva resistito a lunghe battaglie e rigorose selezioni… Ora lo Stato razziale ha abolito la libertà in ambito intellettuale come in ogni altro campo, ed è intenzionato a far cadere nell’oblio ogni fama ben meritata. Questo regime e i suoi sostenitori sono tanto folli, o tanto stupidi, da credere di poter imporre talenti e opere con la forza, e così sostituire quelli che dichiarano obsoleti. Grandi opere e successi non si raggiungono più a fatica, ma vengono decisi per decreto. E se il pubblico non è d’accordo, allora bisogna obbligarlo con la forza. Sbattiamo nei campi di concentramento gli spettatori ribelli! Il pubblico diserta gli spettacoli e non legge la letteratura nazista perché la noia e l’imbarazzo sono sentimenti insopportabili, specie quando vengono propinate solo mezze verità, vuote e per giunta pretenziose. L’eroe tragico – approvato dagli uffici competenti – può dichiarare ben dieci volte a serata di essere un vero tedesco e che quindi, da vero tedesco, non appena sente pronunciare la parola “cultura”, mette mano alla pistola. Eppure, nessuno fra il pubblico si sente coinvolto, la sua arte non tocca nessuna corda del cuore umano. È un prodotto di fabbrica della violenta e prepotente minoranza che è riuscita a conquistare il Paese…

La necessità di umiliare l’intelligenza comporta un’ammissione di debolezza: smaschera quella tipologia umana che per farsi strada nella vita ha bisogno di sopprimere l’ingegno altrui. Uno degli eroici drammaturghi le cui opere venivano rappresentate in teatri tragicamente vuoti è il ministro della Propaganda. Tempo fa, quando la Germania non era ancora purificata dalle razze inferiori, si era dedicato alla stesura di un romanzo erotico davvero mediocre. Quell’altro, che si vanta di proteggersi dalla cultura con la pistola, durante la guerra si è finto pazzo per tre anni così da evitare il fronte. A questa nobile figura è stato dato l’onore di dirigere il teatro di Stato, e sia lui sia il ministro possono commuoversi contemplando le vette inaspettate a cui la vita li ha condotti… Per tenere allenato il nostro senso dell’umorismo, la nuova letteratura si arricchisce, tra l’altro, di un grande personaggio comico, il fanatico che per un tempo immemorabile aveva ostentato un demonismo posticcio e una perversione di maniera, e ora celebra il grande eroe nazionalsocialista, ossia una vittima dei comunisti. In vita, l’eroe faceva il magnaccia… Sono questi i personaggi di spicco, oggigiorno. E visto che la vecchia guardia si è adattata, è naturale che anche la maggior parte dei giovani sia disposta a conformarsi. Si vive una volta sola! Va di moda la forza. E in mancanza di quella vera, va bene pure un’isterica crudeltà. Lodiamo i vincitori! Disprezziamo i vinti! Non vogliamo né capire, né giudicare! Limitiamoci a definirci tedeschi, guai a dire che siamo proletari o magari intellettuali!… Si sa, le conquiste degli intellettuali non contribuiscono in nulla alla gloria del nostro Paese. Non c’è altro da aggiungere. Siamo tedeschi, nient’altro che tedeschi. Adesso, gli uffici deputati mettono in guardia: non bisogna stroncare le opere in cui il regime si riconosce. Si pubblica solo spazzatura purissima.

No, il regime non dispone di menti eccelse, né in letteratura né in altri ambiti dell’attività intellettuale e morale. Ha a disposizione alcuni cervellini che gli sono utili e un’enorme massa di mediocri, menti deboli che, in mancanza di vera letteratura – ormai messa a tacere o prodotta solo in esilio – si fanno sempre più deboli. L’appellativo di “belve intellettuali” non li tocca. Oggigiorno le belve sono molto apprezzate.

Per terra e cielo, invasa mezza Cisgiordania

Medio Oriente. Operazione israeliana a Jenin, Tulkarem e Tubas. Dieci combattenti uccisi, campi devastati. Ordinato il coprifuoco per 80mila persone

Chiara Cruciati  29/08/2024

L’operazione militare lanciata ieri racconta una storia lunga sei decenni: è la Cisgiordania il vero obiettivo di Israele, non Gaza. Di Gaza non sa che farsene: territorio tra i più ricchi e liberali prima del 1948, dalla Nakba è una terra disastrata, definitivamente annichilita dall’assedio totale iniziato nel 2007. Dentro ci vivono 2,2 milioni palestinesi, praticamente lo stesso numero della Cisgiordania ma in un fazzoletto di terra infinitamente più piccolo. Ariel Sharon nel 2005 ordinò il ritiro di esercito e coloni non perché spinto da un inatteso desiderio di pacificazione, e difatti l’occupazione non è finita, si è solo resa invisibile.

Apparizioni improvvise, «da remoto»: bombardamenti a tappeto e confini sigillati. Si ritirò perché Gaza non interessa. La Cisgiordania è un’altra cosa: è «Giudea e Samaria», così la chiamano le autorità israeliane; è terra destinata a Israele, così la pensa l’ultradestra messianica oggi al governo. È l’obiettivo: confiscare più terra possibile con meno palestinesi possibile e realizzare un’annessione di fatto, come ora dice anche la Corte internazionale di Giustizia. Con buona pace della soluzione a due stati che riempie la bocca delle cancellerie occidentali.
In questi due anni di governo di ultradestra il progetto è stato portato avanti con l’ausilio dei coloni – in apparenza civili che operano per conto loro, in realtà braccio armato dell’autorità – e dai raid militari quasi quotidiani dentro le città (652 i palestinesi uccisi dal 7 ottobre). Ieri si è raggiunto un nuovo apice, con 80mila palestinesi prigionieri a Jenin, Tulkarem e Tubas e un assalto per terra e per cielo.

VENTIDUE ANNI FA l’invasione delle città cisgiordane avvenne in piena Seconda Intifada. La vita si fermò, la quotidianità divennero i funerali, gli scontri armati, i coprifuoco, gli arresti di massa e gli assedi, con due città simbolo della brutalità della risposta alla sollevazione palestinese: la Chiesa della Natività a Betlemme e la Muqata, il palazzo presidenziale, a Ramallah. Nella prima avevano cercato riparo 230 palestinesi, tanti combattenti; nella seconda viveva Yasser Arafat, leader dell’Olp e dell’Autorità nazionale palestinese.

L’operazione iniziata ieri ricorda Scudo Difensivo, 2002. Un’azione coordinata, lanciata in piena notte, che travolge la Cisgiordania settentrionale e i campi profughi negli ultimi anni alcova alla rinnovata lotta armata palestinese, Jenin, Tulkarem, Tubas. Poche ore dopo, nel primo pomeriggio, colonne di soldati a piedi sono penetrate a Shuafat, il campo di Gerusalemme.

I coprifuoco, gli ultimatum dell’esercito che danno tre ore ai residenti del campo di Nur Shams per andarsene, il ministero degli esteri che evoca l’«evacuazione» del nord della Cisgiordania ricordano anche altro. Fanno pensare a Gaza, modalità simili, stesso obiettivo: ridurre la popolazione palestinese in spazi sempre più piccoli. Che è poi l’obiettivo principe dell’occupazione: massimizzare i palestinesi in spazi sempre più minuti e facilmente controllabili. È partita con confische di terre e colonie, con la prima – Kiryat Arba – sorta appena un anno dopo il 1967; è proseguita con la pace-farsa del 1993 che ha diviso la Cisgiordania in tre, garantendo il 60% al totale controllo militare e civile israeliano.

MARTEDÌ NOTTE i soldati sono arrivati prima sotto copertura, poi con carri armati e bulldozer, coperti dai droni. I cecchini si sono posizionati sui tetti. A Tulkarem si sono calati dagli elicotteri. Hanno isolato le città chiudendo le strade con checkpoint volanti e barricate: un assedio a cui nel pomeriggio si è aggiunto l’ordine di coprifuoco totale. È stato subito il panico. Il bilancio a ieri era di dieci palestinesi uccisi dai droni, combattenti dei gruppi sorti a difesa dei campi, mentre la Mezzaluna rossa denunciava l’assedio degli ospedali, l’impedimento alle ambulanze di soccorrere i feriti e il fermo dei paramedici. A Jenin l’ospedale è circondato dalla scorsa mezzanotte, non si entra e non si esce. Le ambulanze che riescono a passare sono deviate su strade secondarie, strette e malridotte. A Tubas i residenti raccontano di perquisizioni nelle case e civili scudi umani dei soldati per spostarsi da un tetto all’altro.

COME NEI MESI PASSATI, i bulldozer hanno livellato le strade e distrutto condutture dell’acqua e reti elettriche. I gruppi armati, legati a diversi partiti – Hamas, Jihad, Fatah, Fronte popolare – rispondono con ordigni esplosivi e fucili: hanno distrutto un bulldozer e abbattuto un drone a Tulkarem. Quattro, secondo la stampa israeliana, i battaglioni impegnati in un’operazione che durerà giorni. Nello spiegarla Israel Katz, ministro degli esteri, ha parlato di «infrastrutture del terrore islamico-iraniane»: «Dobbiamo affrontare la minaccia come facciamo con le infrastrutture terroristiche a Gaza, inclusa l’evacuazione temporanea dei residenti».

L’OPERAZIONE DI IERI è spiegata da Tel Aviv con «motivi di sicurezza», già di per sé una stortura in un territorio che Israele occupa. È un’espressione che i palestinesi conoscono bene, giustificazione a qualsiasi aberrazione e copertura a obiettivi politici: il controllo della terra e l’allontanamento dei palestinesi, ma anche la ridefinizione esterna della leadership ufficiale.
Se a Gaza obiettivo dichiarato è la fine di Hamas come forza militare e di governo, in Cisgiordania c’è un’Autorità senza legittimità né consenso. Ieri il presidente Abu Mazen ha interrotto il viaggio in Arabia saudita per rientrare a Ramallah. Il suo portavoce, Nabil Abu Rudeineh, ha definito i raid «una grave escalation» e chiesto agli Stati uniti di intervenire. Mustafa Barghouti, segretario del National Initiative, parla di «atto di guerra»: «Distruggono condutture idriche, linee elettriche, case, scuole…cosa vogliono? Creare una situazione per cui non ci sarà più possibile vivere nel nostro paese, esattamente il piano dei coloni».

COME NEL 2002 con un Yasser Arafat irrimediabilmente indebolito e umiliato, simili invasioni demoliscono quel che resta di un governo senza sovranità che i palestinesi non amano. Diventerà sempre più complesso cementare un ruolo non fittizio per l’Anp nel dopoguerra. Quel che Israele anela: una leadership ancora più svuotata e controllabile, svuotata e controllabile come i Territori occupati, nel silenzio generale.

 

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