L’OCCASIONE DEI REFERENDUM: UNA PROPOSTA PER ROMPERE IL SILENZIO da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
19828
post-template-default,single,single-post,postid-19828,single-format-standard,cookies-not-set,stockholm-core-2.4.5,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.12,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-7.9,vc_responsive

L’OCCASIONE DEI REFERENDUM: UNA PROPOSTA PER ROMPERE IL SILENZIO da IL MANIFESTO e IL FATTO

L’occasione dei referendum: una proposta per rompere il silenzio

Commenti Ogni volta che hanno occasione di parlare ai media, tutti gli esponenti politici dell’opposizione non dovrebbero fare altro che invitare i cittadini a votare l’8 e il 9 giugno

Luigi Ferrajoli  01/05/2025

La destra ha deciso di sabotare i cinque referendum abrogativi dell’8 e del 9 giugno. Di questi referendum i giornali non parlano, su di essi le televisioni non informano, i dibattiti pubblici li ignorano. L’obiettivo delle destre è il loro fallimento.

Il successo dei referendum dipende infatti dal raggiungimento del quorum, cioè dal fatto che vadano a votare almeno la metà degli elettori. La destra punta sull’astensionismo, sull’apatia, sull’egoismo, sull’indifferenza morale, sul disimpegno civile, sul disinteresse politico delle persone per problemi che direttamente non le riguardano.

Eppure si tratta di cinque quesiti la cui condivisione è una scelta di civiltà. Sono tutti quesiti sull’uguaglianza, o meglio sulla riduzione delle disuguaglianze e delle discriminazioni. Il referendum sull’abbassamento da 10 a 5 anni del tempo di residenza legale in Italia necessario a ottenere la cittadinanza, vale a ridurre le disuguaglianze formali, di status, abbreviando i tempi nei quali i migranti sono non-persone, esclusi anziché inclusi nella nostra società. È un referendum contro il razzismo, contro l’esclusione, contro le paure, contro le diffidenze e le ossessioni identitarie, sulle quali le nostre destre hanno speculato, ottenendo consenso alle loro politiche disumane e così abbassando il senso morale dell’intera società.

I referendum sul lavoro, per la cui promozione dobbiamo essere grati soprattutto alla Cgil, sono diretti a ridurre le disuguaglianze sostanziali tra i lavoratori generate dalla precarietà e dalla potestà di licenziare. Sono referendum contro l’arbitrio, per la sicurezza contro gli infortuni e a sostegno della dignità del lavoro. Sono contro leggi che hanno distrutto l’uguaglianza nei diritti dei lavoratori, e con essa la solidarietà sulla quale si basava la soggettività politica del movimento operaio. Privando i lavoratori dei loro diritti e mettendoli in concorrenza tra loro, queste leggi hanno ridotto i lavoratori a merci. Hanno ribaltato la direzione del conflitto sociale: non più verso l’alto, ma verso il basso, nei confronti dei migranti e dei devianti di strada; non più contro le disuguaglianze ma contro le differenze – di nazionalità, di religione, di sesso, di condizioni economiche e sociali.

Sono tutti, questi referendum, altrettanti quesiti sul nostro grado di adesione e di condivisione della nostra Costituzione. Giacché tutti sono a sostegno dei fondamenti della Repubblica scritti nei primi articoli della nostra carta costituzionale: il lavoro, la dignità, l’uguaglianza di tutte le persone solo perché tali, siano esse migranti o lavoratori.

Soprattutto, questi referendum abrogativi non equivalgono a una qualsiasi votazione. Con essi non ci si limita a votare su chi ci governerà. Il voto nei referendum non equivale a una delega, ma a una concreta decisione destinata a migliorare la vita di milioni di persone. Rispondendo “Sì” ai quesiti referendari, i cittadini decidono, direttamente e personalmente, su questioni di fondo.

Operano una scelta per l’uguaglianza e contro il razzismo, le discriminazioni e lo sfruttamento. Fanno un passo nel senso dell’attuazione della nostra Costituzione. Difendono, con la dignità di migranti e lavoratori, la dignità di tutti noi.

Per questo è necessaria una mobilitazione dell’intero elettorato democratico diretto a indurre la maggioranza della popolazione ad andare a votare. Per questo, al silenzio-stampa e alla disinformazione con cui le destre intendono far fallire i referendum, è giusto opporre una risposta civile e di sicuro impatto mediatico. Tutti gli esponenti dell’opposizione – dal partito democratico ai Cinque Stelle, da Alleanza Verdi e Sinistra ai centristi antifascisti – tutte le volte che, in occasione dei telegiornali, vengono interpellati sulle svariate questioni del giorno, dovrebbero utilizzare questi brevi spazi di comunicazione per invitare le persone ad andare a votare. Dovrebbero trasformare le battute rituali ed inutili, che sono loro richieste, in informazioni sui contenuti dei referendum e in inviti ad andare a votare. Dovrebbero farlo in maniera apertamente provocatoria, ostentando la totale incongruenza di questi inviti con la questione sulla quale, volta a volta, vengono interpellati. Proprio perché la destra controlla la Rai e gran parte della stampa, proprio perché punta sull’ignoranza e la disinformazione, è necessario che quanti vengono intervistati su qualunque problema mostrino di voler far uso dei brevi spazi di comunicazione loro concessi per dire: «L’8 e il 9 giugno andate a votare nei referendum».

Un successo di questi referendum abrogativi equivarrebbe a un risveglio della ragione e, soprattutto, della coscienza democratica del nostro paese. Varrebbe a bocciare non solo le pessime leggi sottoposte ai quesiti referendari, ma l’intera politica di questo governo, illiberale e antisociale, e la sua penosa istigazione all’astensione e al qualunquismo. Rifonderebbe la fiducia nella democrazia. Restituirebbe vigore e vitalità alle nostre malandate istituzioni. Suonerebbe come un appello all’unità delle forze di opposizione e a un atto radicale di sfiducia popolare, e virtualmente di sfratto, nei confronti di questa destra al governo. È un’occasione storica irripetibile: la possibilità di una svolta, di un’inversione di rotta della nostra politica. Spetta a tutti noi non perdere questa occasione.

“Referendum oscurati, temono che il lavoro ritorni un diritto”

Silvia Truzzi  1 Maggio 2025

“Su Jobs Act, precariato e cittadinanza effetti immediati, ma conta pure il valore simbolico”

“Vivere da cittadini, lavorare con dignità” è il titolo di un appello che tenta di squarciare il silenzio sui referendum dell’8-9 giugno: lo hanno firmato intellettuali e accademici come il premio Nobel Giorgio Parisi, Nadia Urbinati, Silvio Garattini, Gaetano Azzariti, Salvatore Settis e Tomaso Montanari. Tra loro c’è anche Francesco Pallante, ordinario di Diritto costituzionale a Torino.

Professore, c’è un gran silenzio attorno all’appuntamento di giugno: perché?

I referendum mirano, nel loro complesso, ad aprire una breccia negli attuali equilibri di potere che vedono la finanza e l’impresa dominare in campo economico, al contrario di quel che prevede la Costituzione. Consci dello squilibrio di potere tra datori di lavoro e lavoratori, i Costituenti si erano posti l’obiettivo di riequilibrare i rapporti di forza. Per questo la Repubblica è “fondata sul lavoro”, diversamente dalle Costituzioni ottocentesche che erano “fondate sulla proprietà”, persino quanto al diritto di voto! Le riforme degli ultimi 30 anni hanno ricreato una situazione ottocentesca e chi ne beneficia non vuole perdere gli enormi vantaggi di cui gode. In quest’ottica anche il referendum sulla cittadinanza è importante: ricompone l’unitarietà della categoria dei lavoratori superando, almeno in parte, la contrapposizione tra lavoratori italiani e stranieri.

Puntano a non raggiungere il quorum?

Sì, purtroppo è oramai invalsa la prassi per cui i contrari all’abrogazione approfittano parassitariamente dell’astensionismo per far fallire i referendum, evitando di mettersi democraticamente in gioco.

Come cambierebbe la legge sulla cittadinanza?

La regola generale è che la cittadinanza possa essere concessa agli stranieri che risiedono in Italia da almeno 10 anni; nel caso degli stranieri maggiorenni adottati da cittadini italiani vale una regola speciale, per cui è sufficiente un periodo di 5 anni. Il quesito mira ad abrogare la regola generale dei 10 anni unitamente al riferimento all’adozione in quella speciale, trasformando la residenza quinquennale in regola generale (com’era fino al 1992).

Poi ci sono i referendum sul lavoro. Uno riguarda la sicurezza: i morti aumentano ma, chiacchiere a parte, la politica sembra disinteressarsene…

La mancata sicurezza sul lavoro è una ferita costituzionale sanguinante. Il lavoro non solo è precario e povero, oramai sempre più spesso è anche mortale. Gli esperti spiegano che le catene di appalti e subappalti rendono impossibile assicurare la sicurezza a chi lavora nei cantieri. È chiaro che è lì che occorre intervenire, ma sinora la politica è rimasta inerte. Il referendum mira a sanare questa ferita.

Precarietà: l’esempio della Spagna, che è tornata indietro, non è servito…

Il caso spagnolo è interessante perché dimostra che, contrariamente a quanto viene ripetuto, rafforzando i diritti dei lavoratori si rafforza il sistema economico nel suo complesso. Per questo i referendum che puntano a ostacolare i licenziamenti e a ridurre i contratti a termine sono fondamentali: procurano beneficio a tutti, non solo ai lavoratori dipendenti.

L’abolizione del Jobs Act crea imbarazzo nel Pd. È solo una questione simbolica o cambierebbe davvero qualcosa?

I referendum sui licenziamenti e sui contratti a termine produrrebbero cambiamenti immediati e importanti nella vita dei lavoratori, inclusi quelli che lavorano nelle piccole imprese (la gran parte di quelle italiane). Per i datori di lavoro il licenziamento disposto in violazione della legge sarebbe più costoso e si amplierebbero le ipotesi di reintegra. Quanto ai contratti a termine, il loro utilizzo sarebbe circoscritto a situazioni connotate da esigenze produttive oggettive. Chiaramente tutto ciò avrebbe anche un’enorme portata simbolica. L’idea alla base del Job Act (ma, ancor prima, del “pacchetto Treu” e della “legge Maroni”) era che il lavoro fosse un mero costo di produzione, da ridurre al minimo. I referendum puntano a tornare alla concezione del lavoro come diritto: quella della Carta.

No Comments

Post a Comment

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.