L’ALTERNATIVA C’È da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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L’ALTERNATIVA C’È da IL MANIFESTO

Welfare e fisco, tra status quo e cambiamento

Sinistra. La spesa sociale continua ad essere finanziata col debito. La cosa non può durare all’infinito. Un bilancio non è sostenibile se alle voci in uscita non corrispondono altrettante entrate. C’è l’urgenza di una discussione che ancori la discussione sullo Stato sociale alla riforma fiscale

Gaetano Lamanna  30.04.2021

Le verità più semplici a volte stentano ad essere riconosciute. Le cortine fumogene sollevate dalla destra intorno all’orario del coprifuoco o per chiedere le dimissioni del ministro della salute Roberto Speranza, tendono a in realtà a dissimulare le vere cause di una gestione improvvisata, disorganizzata, a volte caotica, dell’emergenza sanitaria.

Le disfunzioni e i problemi messi in luce dal virus ricadono in toto sulle ricette che hanno orientato l’economia dei governi negli ultimi trent’anni. La dèbâcle dello Stato minimo (“meno Stato più mercato”) è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno ne vuole trarre le conseguenze. C’è una certa reticenza, anche da parte del Pd, ad ammettere che i servizi e le strutture pubbliche non hanno retto per i tagli subiti e per il progressivo smantellamento dello Stato sociale. Avere imposto alla sanità, alla scuola, al trasporto locale, modelli di gestione di tipo aziendalistico, ha provocato danni incalcolabili.

Avremmo avuto meno difficoltà e meno lutti se non si fossero chiusi centinaia di presidi ospedalieri stipulando, contemporaneamente, convenzioni milionarie con strutture e cliniche private. Le scuole sarebbero state più agibili se si fosse investito per eliminare le famigerate “classi pollaio”. Anche il trasporto pubblico locale è stato sacrificato sull’altare degli interessi privati. Persino i nostri anziani più fragili sono stati consegnati al business degli imprenditori delle Rsa. Le privatizzazioni, attuate con la promessa di risparmi mirabolanti, di maggiore efficienza e di tariffe più contenute per i cittadini, sono riuscite nel capolavoro di offrire servizi più scadenti a costi più alti.

L’esperienza della pandemia ha dimostrato quanto sia importante il ruolo dello Stato e quanto sia stata fuorviante la falsa equazione “privato uguale efficienza”. Ci sono voluti ben quattro scostamenti di bilancio nel giro di un anno per affrontare l’emergenza pandemica, per sostenere i settori più colpiti ed evitare che servizi fondamentali, a partire dalla sanità, collassassero. Il debito pubblico è schizzato al 160 per cento del Pil. Nella storia d’Italia bisogna risalire alla fine della prima guerra mondiale per trovare un picco così alto di indebitamento. Nell’immediato è stato possibile accantonare il problema per una serie di condizioni favorevoli: il ruolo della Bce, i tassi d’interesse prossimi allo zero, la sospensione del patto di stabilità. Senza trascurare la boccata d’ossigeno del Pnrr.

La spesa sociale, tuttavia, continua ad essere finanziata col debito. La cosa non può durare all’infinito. Un bilancio non è sostenibile se alle voci in uscita non corrispondono altrettante entrate. C’è l’urgenza di una discussione che ancori la discussione sullo Stato sociale alla riforma fiscale. Il governo ha intenzione di presentarla in Parlamento entro luglio sotto forma di legge delega. La sinistra ha una grande occasione per far emergere la stretta correlazione esistente tra fisco e Stato sociale. Il finanziamento di un nuovo Stato sociale, largo e inclusivo, che tuteli tutti – lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, precari e immigrati, giovani e anziani, donne e bambini – richiede un prelievo fiscale rigorosamente progressivo e la messa al bando dell’evasione. Dall’equità fiscale passa anche la riduzione delle diseguaglianze. Questo è il terreno sul quale sfidare la destra.

Invece di invitare il segretario della Lega, Matteo Salvini, a pazientare ancora un po’ per la riapertura serale dei ristoranti, qualcuno dovrebbe chiedergli come si concilia la flat tax con le esigenze di un nuovo welfare. Il Pd, invece di incalzare il capo della Lega, sembra prigioniero delle proprie contraddizioni politiche e culturali, gioca male la partita e rischia di perderla. Se vogliamo dirla tutta, dopo la drammatica esperienza che abbiamo vissuto, una forza (che voglia dirsi) di sinistra avrebbe dovuto sganciarsi da una visione politica tutta schiacciata sul mantenimento dello status quo, con qualche aggiustamento, ponendosi alla testa del cambiamento.

La vicenda dell’autonomia differenziata ci conferma, purtroppo, che il Pd gioca ancora di rimessa. Nel 2001, con il titolo V, si voleva rispondere alla richiesta di «devolution» (di bossiana memoria) e sappiamo com’è finita. La «devolution» fu fatta ma al prezzo di minare il servizio sanitario nazionale e ridurlo in venti sistemi regionali. Ripercorrere la stessa strada con l’«autonomia differenziata» non è politicamente saggio.

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