ISRAELE E TERRITORI OCCUPATI: ORA C’È ARIA DI INTIFADA da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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ISRAELE E TERRITORI OCCUPATI: ORA C’È ARIA DI INTIFADA da IL FATTO

Palestinesi divisi in due e ortodossi “visionari”: ora c’è aria di Intifada

ISRAELE E TERRITORI OCCUPATI – Allo sbando. Frutti avvelenati. Il governo di estrema destra sembra aver stimolato gli ultrà ebrei, mentre le divisioni tra Gaza e Cisgiordania indeboliscono ancor più le posizioni degli arabi

ANGELO FERRACUTI   1 MARZO 2023

In questi giorni Gerusalemme sembrava tranquilla, c’era già aria di primavera e il viavai ininterrotto di pellegrini di tutto il mondo nella Città santa, la paura e il terrore degli attentati sembravano svaniti. Eppure solo un mese fa, il 26 gennaio, c’era stato un raid dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin, uno dei primi frutti avvelenati del nuovo governo di estrema destra appena insediato, un atto di aggressione definito “operazione antiterrorismo”, che aveva lasciato sul campo 9 morti, tra cui una donna anziana, seguito 24 ore dopo nel Giorno della memoria da una rappresaglia nel quartiere di Neve Yaakov, quando il 21enne palestinese Alkam Khairi aveva sparato sulla folla che usciva dalla sinagoga uccidendo otto persone. E ancora il giorno dopo, vicino all’ingresso del sito archeologico della Città di Davide, nella parte est della città, un tredicenne palestinese aveva sparato ferendo due israeliani.

Dopo 55 anni l’esercito israeliano non ha più in Cisgiordania il controllo assoluto dei territori occupati, tutto è nelle mani del ministro delle Finanze e leader dell’ultradestra Bezalel Somtrich, a cominciare dall’espansione degli insediamenti e, soprattutto nella parte est di Gerusalemme, giusto per mettere un po’ di benzina sul fuoco, sono cominciate le drammatiche operazioni di abbattimento delle case abusive dei palestinesi. L’avevo detto alla guida turistica durante una visita guidata, un ragazzo alto di Tel Aviv con un berretto grigio in testa e il baricentro del corpo sbilanciato, mentre stavamo per arrivare alla piazza del Muro del pianto, e lui mi aveva commentato categorico “vanno nei territori a sgomberare e cercare solo i terroristi”, aggiungendo subito dopo aggressivo, “questa situazione fa solo comodo ai capi palestinesi per mantenere il loro potere”. Questo per ribadire come la pensa la maggioranza dei cittadini israeliani che hanno votato il governo più anti-palestinese della storia.

Il Muro del pianto e le tuniche bianche dell’Apocalisse
A Gerusalemme insieme ai riti consumistici del turismo religioso di massa, anche l’afflato mistico sembra essere ai suoi massimi livelli, mentre giri puoi imbatterti in ragazzi dai capelli lunghi e gli occhi celesti vestiti solo di una tunica bianca e una corda intorno alla vita, che camminano scalzi come Gesù dirigendosi verso il santo sepolcro: pare che l’architettura della città vecchia, l’aura antica, sia un decisivo elemento scatenante in persone psicolabili. La chiamano Sindrome di Gerusalemme, alcuni di loro, in preda all’agitazione pensano di essere la Vergine Maria incinta o uno dei cavalieri dell’Apocalisse, esaltati come il quarantenne turista ebreo americano, definito però da padre Schnabel, Vicario Patriarcale, “un ebreo estremista”, che qualche giorno fa ha staccato la statua di Gesù Cristo nella cappella della condanna nella chiesa della Flagellazione, deturpandola a colpi di martello.

Quando ho visitato il sito religioso la statua giaceva su un tavolo all’entrata, il volto sfregiato e la gamba sinistra staccata, mentre orde invasate di pellegrini polacchi o coreani continuavano ad arrivare da tutte le parti e iniziavano in gruppo la via crucis issando con le braccia grandi croci di legno.

A Betlemme avevo visto l’imponente muro di separazione con i graffiti di Banksy che crea un senso d’accerchiamento, oppressione, e impedisce ai palestinesi autorizzati di raggiungere Israele, costretti a lunghe file ai check-point da dove i soldati controllano i territori occupati. Sono corpi reclusi i loro, stranieri in casa propria, in questa immensa e soffocante prigione a cielo aperto, controllati giorno e notte. Il mio driver Ahmad, un ragazzo alto e calvo, aveva detto convinto “il problema è politico, non religioso, cristiani, musulmani, anche ebrei, sono tutti figli di Abramo, ma gli israeliani non hanno rispetto, noi viviamo qui prima di loro, dopo la seconda Intifada hanno messo su questo muro di vergogna lungo 700 chilometri escludendoci da Gerusalemme”. Da Betlemme avevamo visitato il vecchio campo profughi di Aida, scendendo a Gerico lungo il deserto della Giudea. Ahmad ha nostalgia dei tempi di Arafat, “la Palestina allora era unita, oggi siamo divisi in due parti, due governi, uno a Ramallah, l’altro a Gaza”.

Ero rientrato a Gerusalemme con l’autobus di linea, quasi due ore di viaggio per fare dieci chilometri. Arrivati al cheek-point i militari avevano chiesto all’autista di accostare più avanti, sulla banchina. Eravamo scesi a terra, qualche turista e una decina di giovani studenti palestinesi, in attesa che i soldati facessero i controlli.

Dopo quasi un’ora erano arrivati un ragazzo e una ragazza, le divise ordinate, in mano i fucili, e quando avevamo mostrato loro i documenti hanno guardato noi turisti sorridenti e con gentilezza, chiedendoci di rientrare, mentre invitavano con cenno secco del capo e sguardo sprezzante alcuni degli altri a farsi da parte per effettuare controlli più accurati.

Due giorni fa, tornando in albergo dopo un giro a Nazareth, un archeologo italiano che vive nella nostra guest house uscendo dalla sua camera piuttosto scosso mi ha avvisato che a Nablus c’era stato un massacro dopo l’ennesima operazione dei militari israeliani alla ricerca di presunti terroristi. Erano entrati nella città vecchia accerchiando una casa, aprendo il fuoco, uccidendo 10 palestinesi e ferendone più di cento, dieci dei 51 già assassinati dalle forze israeliane nel 2023 (150 nel 2022), così improvvisamente quella che sembrava una giornata tranquilla si è trasformata in un incubo, e il conflitto si è riacceso.

Il massacro di Nablus prepara una nuova tempesta
Il portavoce del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha accusato il governo israeliano di essere “responsabile di questa pericolosa escalation”, mentre il movimento islamico di Hamas ha avvertito che “la pazienza sta finendo”.

Le forze militari israeliane hanno bombardato la Striscia di Gaza da cui nel corso della notte erano partiti razzi verso Israele, mentre il gruppo della resistenza palestinese “Tana dei Leoni” ha invitato a una “giornata della rabbia” nel giorno di preghiera a Gerusalemme est e in quelli successivi.

Il clima improvvisamente si è fatto incandescente, forse si sta preparando una nuova Intifada.

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