“UNIVERSITÀ E MILITARIZZAZIONE” da IL MANIFESTO e IL FATTO
«Leonardo sta diventando per Torino e per il Politecnico quello che fu la Fiat»
CAMPUS LARGO. Intervista a Michele Lancione, professore di geografia politico-economica: «La ricerca è ormai intrecciata con il mondo militare. L’università ha concesso a Leonardo i nostri saperi e gli ha offerto una legittimazione culturale. Ci viene detto che collaboriamo con partner militari solo per ricerche civili ma è una posizione ipocrita»
Luciana Cimino 01/05/2024
«Leonardo sta diventando per Torino quello che una volta era la Fiat». Michele Lancione, professore ordinario di Geografia politico-economica al Politecnico di Torino, ha pubblicato a settembre scorso con la casa editrice Eris Università e militarizzazione. Il duplice uso della libertà di ricerca, in largo anticipo sull’attualità di questi giorni. «Quando l’ho scritto volevo aprire una discussione in ambito accademico, poi c’è stata un’accelerazione del dibattito dovuta al disastro della situazione palestinese che ha portato a una forte presa di coscienza tra gli studenti».
Nella prefazione ha scritto che voleva offrire loro uno strumento per «lottare per affermare la liberazione del sapere accademico dalle colonie militari».
Non immaginavo sarebbe diventato normale vedere la polizia dentro gli atenei e gli studenti manganellati per due cartelli. Si è ribaltata la prospettiva: l’università serve per avere spirito critico e protestare, invece la ministra Bernini dà ragione a quelli che l’hanno svenduta di fatto. Questo è successo perché da troppo tempo la ricerca è intrecciata con il mondo militare e con i servizi a esso legati, ma questo rischia di far perdere all’università il suo scopo di conoscenza. Leonardo lavora per fare profitto e non deve porsi questioni etiche. Le proteste degli studenti nascono da tutto ciò.
Per militarizzazione non intende solo la ricerca.
No, anche quel processo, cominciato in Occidente dopo l’11 settembre 2001, in cui si trasforma in militare ciò che non è, in primis i luoghi.
Nel libro si chiede se l’università pubblica possa fare ricerca tecnologica senza affrontare la questione del duplice uso.
Il trasferimento di un sapere o di una tecnologia dal campo civile a quello militare o viceversa è una questione difficile da controllare. Questa impossibilità di controllo viene usata come una scusa da chi è interessato a unire università e industria bellica, ci viene detto che collaboriamo con partner militari come Leonardo soltanto per ricerche civili ma è una posizione ipocrita. Faccio un esempio: se un’azienda trae profitto dagli armamenti sarà molto facile acquisire una tecnologia che manda i razzi su Marte anche per buttarli su Gaza. Ma dobbiamo sottolineare che, se la ricerca di base è definanziata, gli atenei sono quasi obbligati a cercare soldi così.
Questo, sembra di capire, vale in particolare per il Politecnico dove insegna.
Da quando il comparto dell’automotive non garantisce più lavoro e ricerca, Torino ha deciso di puntare sul settore dell’aerospazio militare. Il primo player è Leonardo. Il Politecnico che storicamente ha formato quadri, dirigenti e ingegneri per la Fiat ha visto una grande opportunità in questo nuovo settore. Nel farlo ha concesso a Leonardo i nostri saperi e le nostre tecnologie, gli ha fatto acquisire un vantaggio rispetto ai competitor a spese dell’università italiana e gli ha offerto una legittimazione culturale, un tecno washing.
Che ruolo ha la fondazione di Leonardo Med-Or, nel cui cda siedono dodici rettori di atenei italiani, in tutto ciò?
È l’esempio emblematico della militarizzazione dell’università. Bernini, forse in buona fede, si vanta di questa collaborazione e sbaglia. Il think tank presieduto da Minniti serve a Leonardo per posizionarsi sul mercato strategico del Mediterraneo e del Medio Oriente. È naturale che ci sia un interesse nei conflitti in corso, o futuri, di queste zone. Molti rettori adesso iniziano a domandarsi se il loro mandato sia quello di offrire consulenza al principale produttore italiani di armi e se questo impedisca un’analisi geopolitica sensata.
Non accade solo in Italia.
In tutta Europa ci sono programmi di finanziamento molto specifici che esistono a varie scale, come Horizon. In Italia nel 2022 è stato lanciato il Pnrm (Piano Nazionale della Ricerca Militare) che coinvolge ministero della difesa e dell’istruzione e università e ha come obiettivo «l’incremento del patrimonio di conoscenze della Difesa nei settori dell’alta tecnologia». In realtà serve per iniettare risorse statali e ricercatori pubblici nel comparto industriale militare. Ma se i soldi ci sono perché non metterli nella ricerca di base anziché buttarli così?
Lei è tra i firmatari della lettera che diversi docenti hanno mandato al rettore del PoliTo.
Abbiamo chiesto di prendere posizione sul pestaggio degli studenti dentro l’università, aspettiamo una risposta chiara.
Ma il vero antifascismo ripudia queste guerre
ELENA BASILE 1 MAGGIO 2024
Fa un certo effetto osservare come alcuni direttori dei giornali principali, dediti fino a ieri a stilare liste di proscrizione di molti esponenti del pensiero critico sulla politica occidentale bellicista, militarista e profondamente nichilista (ospitando i più bassi linciaggi mediatici, giungendo alla calunnia e alla diffamazione, operando l’oscuramento di ogni idea contraria al Verbo statunitense e Nato), si travestano oggi da custodi dei valori antifascisti contro la censura meloniana.
Siamo di fronte a un pericoloso e camaleontico trasformismo che può soltanto nuocere alla zoppicante democrazia liberale in cui ci troviamo a vivere in Europa. Utilizzare l’antifascismo militante per chiamare a raccolta i liberali, i democristiani, i socialisti in via di estinzione, quel che resta di una sinistra divisa e in ritirata, serve soltanto a smarrire i valori umanistici e realmente antifascisti. È solo un gioco delle parti, una commedia che conferma l’elettorato di destra e non nella falsa credenza che l’antifascismo sia pura demagogia. Se oggi si volesse veramente celebrare la cultura antifascista che possiamo per convenienza storica far partire dal 25 Aprile (tuttavia, come ricorda Andrea Zhok, è una ricorrenza istituita da un regio decreto, da coloro che col fascismo erano stati collusi) e che ha permeato il primo dopoguerra (ripudio della guerra in Costituzione, antimiliotarismo e antibellicismo, uguaglianza sostanziale e sociale accanto alla libertà liberale, collaborazione contro competizione, tolleranza per il diverso e pluralismo sostanziale), dovremmo individuare i nostri valori antifascisti nel presente. Mi piacerebbe chiedere ad Antonio Scurati di raccontarci se il militarismo, la corsa agli armamenti, la retorica bellicista della Nato siano consoni al suo antifascismo; se il silenzio omertoso su un giornalista di nome Julian Assange, rinchiuso da anni in carcere senza processo e, secondo le Nazioni Unite, torturato nel cuore dell’Europa con un accanimento mai visto, rientri nell’humus culturale antifascista. Ancora vorrei rivolgermi a lui per sapere se la condanna di un governo terrorista come quello di Netanyahu e la denuncia della complicità occidentale nei crimini di guerra a Gaza e in Cisgiordania, non siano espressione del vero antifascismo odierno.
In un bell’articolo sul Corriere della Sera, Antonio Polito paragona alle rivolte sessantottine i moti universitari, in America come in Europa, per la Palestina libera, in quanto le vere ragioni della protesta, oggi come allora, non sarebbero il massacro in Medio Oriente o in Vietnam, ma la critica alla civiltà occidentale, il profondo distacco delle giovani generazione dai valori dei padri, come magnificamente visualizzato nei film di Antonioni Zabriskie Point e Blow up. Credo anche io che siamo di fronte alla nascita di un movimento che, prendendo spunto dall’orrore della strage di Gaza, come cartina al tornasole della falsa democrazia delle classi dirigenti “liberali” asservite alle oligarchie finanziarie, si oppone radicalmente ai valori fondanti della civiltà occidentale con i suoi eterni miti di superiorità dell’uomo bianco, di disprezzo per le altre culture, di conquista predatoria.
La repressione della libertà di pensiero nelle università, l’arresto degli studenti con la falsa accusa di antisemitismo è un fatto gravissimo che ha visto la complicità di una parte dell’accademia. L’antisemitismo è odio per l’ebreo, la sua cultura, religione, persino i suoi tratti somatici. È stato rivolto dagli europei contro la comunità ebraica internazionale. Nelle università i ragazzi che volevamo cinici, “computerizzati” e moralmente amorfi manifestano a favore di un popolo martoriato, quello palestinese, contro il governo israeliano occupante, brutale, razzista e terrorista. Se la comunità ebraica internazionale non insorgerà con più forza affratellandosi al movimento pro-Palestina sarà un fatto grave che porterà a fuorvianti identificazioni fra essa e le azioni criminali di Netanyahu. Certo, c’è stato il barbaro massacro di Hamas del 7 ottobre contro ebrei innocenti, su cui attendiamo un’inchiesta per chiarire i tanti aspetti opachi, ma quell’azione terroristica non giustifica il massacro dei palestinesi che ha indotto la Cig a intimare a Israele di fermarsi per evitare un genocidio. L’eliminazione di Hamas è un obiettivo strategico irrealizzabile, un alibi per poter perpetrare l’azione bellica contro il diritto internazionale e umanitario, l’allargamento del conflitto, la guerra permanente che permette a Netanyahu di restare al potere. Israele è lo specchio dell’Occidente e della nostra visione patologica del mondo. Dominare attraverso la destabilizzazione e la forza militare. Staccare Riad dalla Cina e dall’Iran promettendo armi, arricchimento dell’uranio e accordi con Israele sulla pelle della Palestina. Una strategia davvero illuminata, non c’è che dire.
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