IL POTERE È CORRUZIONE. LA CORRUZIONE È POTERE da IL MANIFESTO
Corruzione sistemica, è il potere del denaro sulla politica
QATARGATE. Le immagini delle valigie piene di soldi ci stanno distraendo da una realtà ben più complessa e preoccupante: la corruzione sistemica al centro delle relazioni internazionali
Fabrizio Tonello 20/12/2022
«Perché hai rapinato la banca?» chiede il poliziotto. «Beh, i soldi stanno lì, no?», risponde il rapinatore. La storiella è vecchia ma sempre attuale: i corrotti prendono i soldi da chi li ha, cioè gli Stati. Di sicuro ne hanno anche gli ultraricchi, da Elon Musk a Jeff Bezos, ma quelli non hanno bisogno di far girare trolley pieni di banconote perché ciò che vogliono ottenere lo ottengono direttamente dai governi, ben felici di obbedire.
Nelle complicate vicende del cosiddetto Qatargate una sola cosa è chiara: spesso i regimi autoritari hanno bisogno di darsi una verniciatina di rispettabilità e quindi si rivolgono a chi li può aiutare. Nel caso Panzeri-Kailli-Giorgi siamo di fronte a protagonisti (il Qatar e il Marocco) con sostanziosi interessi che andavano difesi a colpi di quattrini, mazzette di petrodollari così abbondanti da arrivare fino a personaggi di mezza tacca: deputati, ex deputati, assistenti parlamentari che potevano spendere qualche buona parola per i loro padroni ma certo non potevano prendere decisioni in prima persona.
Non inganni il roboante titolo di «vicepresidente del Parlamento europeo» di Eva Kaili: in una fase storica in cui i parlamenti contano sempre meno, in tutto il mondo, una vicepresidente può fare qualche dichiarazione, rilasciare interviste, millantare credito ma le decisioni si prendono altrove. Tra l’altro, assieme alla Kaili c’era soltanto un altro europarlamentare del Pasok: le truppe semplicemente non c’erano.
Da una settimana giornali e televisioni ci intrattengono con le foto delle valigie piene di euro, con i nascondigli improbabili per il denaro (oggi qualunque «risparmiatore» ha il conto in Svizzera, vedi il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana, e questi si fanno prendere con i contanti sotto i cuscini del divano?). Poi, naturalmente, c’è lo choc di vedere Antonio Panzeri, un ex segretario della Camera di Milano, arrestato come un craxiano qualsiasi trent’anni fa.
Purtroppo lo spettacolo assomiglia sempre di più all’esibizione di un prestigiatore: ci distrae da una realtà ben più complessa e preoccupante. La corruzione sistemica al centro delle relazioni internazionali. In questi giorni Foreign Affairs ha scritto che «i pagamenti sottobanco sono diventati strumenti fondamentali delle strategie nazionali, sfruttati per ottenere risultati politici specifici e per condizionare il contesto politico più ampio dei Paesi destinatari”.
Naturalmente, la rivista che è da decenni la voce dell’establishment di politica estera degli Stati Uniti si affretta ad aggiungere che «la relativa trasparenza e libertà dei paesi democratici li rende particolarmente vulnerabili a questo tipo di nefasta influenza». Questo è precisamente l’opposto della verità: da sempre Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno corrotto politici e generali, nei paesi del Terzo mondo, facendone delle rispettive creature. I loro protetti sono rimasti al potere per decenni, dallo Scià di Persia Reza Pahlavi a Somoza in Nicaragua e a Bokassa nella Repubblica Centrafricana.
Quello che ci interessa qui è però un altro aspetto della questione: oggi i petrodollari conferiscono un potere reale a paesi considerati di seconda o terza fila nelle relazioni internazionali, come il Qatar e il Marocco. Il Qatar, come ha scritto qualche giorno fa Alberto Negri su queste colonne è «intoccabile» per il suo gas: lo ha ricordato ieri un ministro dell’emirato, minacciando di rivedere prezzi e quantità delle forniture all’Europa se magistrati e giornalisti belgi continueranno a ficcare il naso nei suoi affari.
La corruzione è sistemica perché è sistemico il potere del denaro sulla politica. Per esempio, da decenni la maggioranza degli americani è favorevole a un’estensione della copertura sanitaria pubblica ma la potentissima lobby delle assicurazioni sanitarie private lo impedisce (né Obama, né Biden hanno veramente provato a cambiare la situazione).
La corruzione è sistemica perché «fare politica è diventato un training per diventare affaristi», come ha scritto Concita De Gregorio qualche giorno fa. Non al livello dei sindaci che nella grande maggioranza dei casi si sbattono onestamente per far funzionare una macchina amministrativa impazzita ma al livello dei primi ministri: Tony Blair, Gerhard Schröder, José Barroso. Nicolas Sarkozy, quando era ancora presidente, disse: «Après, je veux faire du pognon», il bottino nel gergo della malavita francese.
La corruzione è sistemica per un motivo molto semplice: il bilancio dello Stato corrisponde a oltre il 50% del prodotto interno lordo in tutti i paesi occidentali, con in testa la Francia (62%), seguita da Belgio, Italia, paesi scandinavi, Spagna, Germania e Gran Bretagna (Giappone e Stati Uniti stanno al 46-47%). Sono le cifre di previsione per il 2020, quindi prima della pandemia, ora è certamente di più. Questo significa che i soldi stanno lì, per tornare alla storiella citata all’inizio, ed è lì che vengono cercati e trovati.
Quale è oggi la normalità di essere di sinistra?
COMMENTI. Le vicende di Soumahoro e Panzeri ci riguardano. Le democrazie diventate oligarchie legittimate dal vuoto politico, allevano diseguaglianze, privilegi e lobby che li promuovono
Alfonso Maurizio Iacono 20/12/2022
Le vicende di Soumahoro prima e di Panzeri dopo ci dicono che, se il patologico è soprattutto un ingrandimento del normale, dobbiamo interrogarci su quale sia oggi la normalità dell’essere di sinistra. Quelle vicende ci appartengono? Oppure basta un prenderne le distanze affermando implicitamente o esplicitamente che ciascuno di noi non c’entra e tanto meno poi la sinistra in quanto tale?
Vi è come una sorta di silenzio imbarazzato. Cosa mai avremmo fatto se per caso Soumahoro e Panzeri fossero stati di destra? Ma sono di sinistra. Si sono attaccati alla condizione di essere dei privilegiati e hanno fatto del privilegio una forma di vita nascosta dal paravento dell’antirazzismo, dell’eguaglianza, della giustizia. E se il privilegio fosse stato acquisito e vissuto nelle forme della legalità, ciò sarebbe stato accettato a sinistra? Sarebbe stato accettato a sinistra come al centro, come a destra?
Scrive Primo Levi ne I sommersi e i salvati: «L’ascesa dei privilegiati, non solo in Lager ma in tutte le convivenze umane, è un fenomeno angosciante ma immancabile: essi sono assenti solo nelle utopie. È compito dell’uomo giusto fare guerra ad ogni privilegio non meritato, ma non si deve dimenticare che questa è una lotta senza fine. Dove esiste un potere esercitato da pochi, o da uno solo, contro i molti, il privilegio nasce e prolifera, anche contro il volere del potere stesso; ma è normale che il potere, invece, lo tolleri e lo incoraggi». Forse nelle nostre democrazie questo fenomeno non è più angosciante, ma normale, perché le nostre non sono più democrazie ma oligarchie legittimate democraticamente dove ciò che conta è la scarsa partecipazione, l’ignoranza pubblica, l’apatia politica.
Ciò porta all’allevamento del privilegio e delle diseguaglianze contro cui la sinistra dovrebbe lottare. Lo fa soltanto a parole, perché nei fatti non si preoccupa politicamente, moralmente, organizzativamente di come fronteggiare l’ascesa dei privilegiati e la discesa dei diseguali. In Europa e nel Parlamento Europeo (ma del resto ovunque) le lobby sono legalizzate. Ma tutto ciò che è legale non è detto che sia anche morale. Le lobby sono organizzazioni che promuovono le dinamiche del privilegio. Cosa hanno a che fare con chi dovrebbe lottare contro i privilegi e per l’eguaglianza?
Oggi è più facile e comodo assumere come propria condotta la famosa frase di Miss Thatcher: «Non c’è alternativa!». La sinistra di fatto vi si è arresa con una presa d’atto di una realtà che si propone come realismo e disincanto.
È invece accettazione supina di un mondo che sempre più intreccia privilegio e sfruttamento come dati naturali e pensa che questa sia la normalità. Mark Fischer diceva che è più facile immaginare la fine del mondo che non la fine del capitalismo. Privi ormai di un’immaginazione che sappia affrontare direttamente la realtà, ci auto-inganniamo illudendoci di lottare per tamponare i guasti sociali e ambientali del capitalismo, ma oggi, a differenza di un tempo, finiamo con il favorire l’ascesa dei privilegiati in un gioco teatrale dove ciascuno – destra, sinistra, centro – ha un ruolo da recitare all’interno della sfera del privilegio.
Tutto è normale, tutto è naturale. Se è vero, come pensavano Claude Bernard e Friedrich Nietzsche, che il patologico è un ingrandimento del normale, il problema oggi non è solo ciò che emerge dai contesti in cui hanno operato Soumahoro o Panzeri, ma ciò che si nasconde dentro tali contesti politici, istituzionali, umani che sono vissuti come la normalità di una sinistra imbevuta di neoliberismo, di élitismo, di assuefazione morale al senso del privilegio e al crescere delle diseguaglianze. Ciò che mi spaventa ancora di più del lato patologico è questa normalità.
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