IL PIANO DI ISRAELE PER GAZA: RIOCCUPARE ED ESPELLERE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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IL PIANO DI ISRAELE PER GAZA: RIOCCUPARE ED ESPELLERE da IL MANIFESTO

Il piano di Israele per Gaza: rioccupare ed espellere

Palestina Il governo Netanyahu ha approvato l’espansione dell’offensiva volta al controllo totale della Striscia. Contro il voto del gabinetto protestano le famiglie degli ostaggi: vogliono un accordo con Hamas

Michele Giorgio  06/05/2025

L’attacco, devastante, condotto da Israele assieme agli Stati uniti contro lo Yemen è scattato ieri dopo il tramonto, mentre l’attenzione era concentrata sul piano approvato domenica sera dal gabinetto di sicurezza israeliano per la rioccupazione della Striscia di Gaza. I primi a colpire, in rappresaglia per il lancio da parte dei guerriglieri Houthi del missile balistico che domenica ha raggiunto il perimetro dell’aeroporto di Tel Aviv, sono stati i cacciabombardieri statunitensi decollati dalle portaerei e dalle basi Usa attorno allo Yemen, che hanno preso di mira Sanaa. Poi è intervenuta l’aviazione israeliana contro la città portuale di Hodeidah, già bersaglio in passato di attacchi violenti. I raid sono proseguiti per ore, e non è escluso che continuino anche nei prossimi giorni. La ritorsione israeliana potrebbe estendersi all’Iran, che il premier Netanyahu considera lo sponsor principale del movimento sciita Houthi, tornato a lanciare missili e droni verso Tel Aviv da quando Israele ha rotto, il 18 marzo, la tregua a Gaza.

C’è chi ieri scriveva che la decisione di Benyamin Netanyahu di espandere l’offensiva israeliana e di (ri)conquistare Gaza – con l’Operazione «Carri di Gedeone» – sarebbe stata dettata dalla necessità del primo ministro di rinviare, ancora una volta, la convocazione dell’inchiesta ufficiale sulle responsabilità sue e del governo nel fallimento della sicurezza israeliana il 7 ottobre 2023. Può darsi che anche questo abbia giocato un ruolo, ma l’approvazione, da parte del gabinetto di sicurezza, del nuovo piano di attacco per la rioccupazione della Striscia è soprattutto il risultato di convinzioni ideologiche e dell’idea dalla guerra ad oltranza che Netanyahu ha dichiarato ad Hamas, a tutti i palestinesi e a mezzo Medio oriente. Ha prevalso quella che alcuni chiamano la «dottrina Smotrich»  che considera legittime la parola «occupazione» e tutte le politiche che Israele attua nel suo interesse, senza curarsi del diritto internazionale.

Smotrich, ministro delle Finanze e leader dell’ultradestra, nei giorni scorsi aveva fatto clamore affermando che la liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza (59 di cui 24 vivi) rappresenta un obiettivo secondario rispetto alla distruzione di Hamas e alla trasformazione radicale della Striscia. La reazione delle famiglie degli ostaggi e dei loro sostenitori è stata immediata: alla Knesset e nelle strade di Gerusalemme, centinaia di persone hanno contestato Netanyahu e chiesto un accordo con Hamas per riportare a casa i loro cari, vivi e morti, a casa. A nulla è servito l’avvertimento giunto dallo stesso capo di stato maggiore Eyal Zamir sui rischi molto elevati che corrono gli ostaggi con l’avvio della potente e distruttiva azione militare approvata dal gabinetto di sicurezza.

Gioiscono, invece, i coloni del gruppo Nachala, sostenitori della guerra ad oltranza come Netanyahu e Smotrich, che da un anno e mezzo invocano la ricostruzione a Gaza degli insediamenti coloniali israeliani evacuati quasi vent’anni fa con il Piano di ridispiegamento. La loro leader, Daniela Weiss, mesi fa, commentando la contrarietà – almeno di facciata – di Netanyahu alla ricostruzione delle colonie a Gaza, azzardò una previsione: «Tra un anno, ciò che oggi ci viene negato diventerà possibile». Una profezia che è vicina a realizzarsi. Se la rioccupazione della Striscia andrà secondo i piani di Netanyahu, l’insediamento dei coloni nell’enclave sarà certo.

«Abbiamo deciso un’azione intensa per la sconfitta di Hamas, che ci aiuterà anche nella liberazione degli ostaggi. Non entreremo nei dettagli, ma abbiamo discusso a lungo su cosa fare per gli ostaggi e per la vittoria. Una cosa è chiara: non ci saranno più ingressi e uscite, non ci saranno più incursioni (di Hamas in Israele)», ha dichiarato Netanyahu, aggiungendo che «la popolazione della Striscia sarà spostata per proteggerla». Un’assicurazione vuota: i 2,3 milioni di civili di Gaza pagheranno il prezzo più alto. Per loro, dice Israele, saranno predisposte porzioni di territorio lungo la costa, dove riceveranno pacchi alimentari distribuiti da società private in accordo con Israele. L’obiettivo vero è spingerli ad abbandonare Gaza «volontariamente» oppure con la forza, per realizzare il piano Trump-Netanyahu della «Riviera di Gaza» senza più palestinesi. Un alto funzionario della Difesa israeliana ha chiarito ai giornali locali che «il piano di trasferimento volontario per i residenti di Gaza, in particolare per quelli che saranno concentrati nel sud, fuori dal controllo di Hamas, sarà parte integrante degli obiettivi dell’operazione». Israele, ha aggiunto, introdurrà aiuti umanitari nella Striscia «dopo l’inizio dell’operazione e il trasferimento massiccio della popolazione verso il sud. Donald Trump è d’accordo, e i governi europei tacciono, lasciando il campo ai deboli comunicati dell’Unione europea. Netto invece il Segretario dell’Onu Guterres. La rioccupazione di Gaza, ha detto, «porterà a innumerevoli altre morti civili e a ulteriore distruzione nella Striscia… Gaza è parte integrante di un futuro Stato palestinese».

Radio Galei Tzahal, citando un funzionario della sicurezza, ha riferito che le forze armate svolgeranno programmi di addestramento nei prossimi giorni e che saranno richiamati circa 60mila riservisti (operazione complessa, ammettono i vertici dell’esercito). Israele darà tempo ad Hamas di accettare le sue condizioni fino al viaggio di Donald Trump a metà mese nel Golfo. In caso contrario scatterà l’offensiva, però per gradi, occupando Gaza pezzo per pezzo. Il grosso delle truppe israeliane, secondo indiscrezioni riportate dalla stampa locale, si spingerà inizialmente in profondità nel nord della Striscia, da dove gli abitanti saranno ancora una volta spinti verso sud. Poi sarà il turno di altri settori della Striscia, a cominciare da Khan Yunis, per forzare ulteriori sfollamenti verso la costa. Rafah – già rasa al suolo e inserita nella «zona cuscinetto» – diventerà uno «spazio umanitario» per la distribuzione di pacchi alimentari, in cui sarà ammassata una parte consistente della popolazione civile. Il ministro dell’estrema destra, Itamar Ben Gvir, si è opposto con forza alla ripresa della distribuzione del cibo – sospesa da oltre due mesi – e ha votato contro il piano. Hamas, nei disegni di Israele, non potrà entrare nello «spazio umanitario». La zona, accanto all’Egitto e affacciata sul mare, sarà controllata e sorvegliata come una prigione. Lì si potrà attuare il progetto di «emigrazione volontaria», se Israele troverà Paesi disposti ad accogliere quei palestinesi che, dopo quasi due anni di morte, fame, distruzione e sofferenze, si dichiareranno «desiderosi» di lasciare Gaza per sopravvivere.

Guerra permanente, il Medio Oriente secondo Netanyahu

Dall’Iran alla Siria La guerra, cominciata con l’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023, in atto su diversi fronti, è ormai la più lunga negli 80 anni di storia dello stato ebraico e all’interno della società cresce un movimento di opposizione con una consistente partecipazione popolare

Alberto Negri  06/05/2025

Quando un giorno vedremo la Papamobile, donata ai palestinesi da Bergoglio, entrare a Gaza forse la Striscia non esisterà più e il Medio Oriente sarà ancora un volta dilaniato dalla guerra e dal caos. I piani dell’escalation israeliana si delineano su cinque fronti: Gaza, Siria, Libano, Yemen e Iran, accusati questi ultimi due di avere coordinato il lancio del razzo non intercettato sull’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Qualcuno pensa che la “diplomazia” di Trump possa fermare il governo Netanyahu? C’è da dubitarne visti i precedenti del presidente Usa e dei governi americani che lo hanno preceduto.

Il piano israeliano per Gaza approvato nella notte tra domenica e lunedì – che prevede il richiamo di migliaia di riservisti – comprende la conquista della Striscia e l’intensificazione degli attacchi contro Hamas. Durante la riunione del gabinetto di sicurezza il primo ministro israeliano ha affermato che continuerà a «promuovere il piano di Trump» per «la partenza volontaria degli abitanti di Gaza».

IN SINTESI: conquista e pulizia etnica. I palestinesi verranno cacciati dal nord e dal centro per essere concentrati nel sud della Striscia, il che significa moltiplicare il disastro umanitario già in atto in una sorta di inferno dove da oltre due mesi non entrano aiuti per il blocco israeliano.

Gaza è sull’orlo della carestia: «Lì non entrerà neppure un chicco di grano», aveva dichiarato il 7 aprile il ministro delle finanze Smotrich. A lui e a questo governo non importa nulla che usare come un’arma gli aiuti umanitari è una violazione del diritto internazionale. Tutto questo non accade per caso è ma un piano fortemente voluto dalla leadership israeliana che intende cacciare i palestinesi dalla Striscia, vivi o morti.

La catastrofe umanitaria sulle sponde del Mediterraneo è creata apposta per mettere con le spalle al muro la comunità internazionale e il mondo arabo, costretti, un giorno, a fare qualche cosa davanti alle immagini dei palestinesi che muoiono di fame. Ma questa è un fase già avanzata della crisi: prima gli israeliani concentreranno la popolazione in campi profughi, chiamati «isole», dove sopravvivere a stento o morire lentamente e senza alcuna prospettiva per il futuro. Noi staremo a guardare e dei gazawi resteranno gli scheletri: ecco come va a finire il piano Trump di «Gaza Riviera», per coloro che ancora credono alle sue pericolose carnevalate.

Certo, non tutto per Netanyahu va bene. La guerra, cominciata con l’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023, in atto su diversi fronti, è ormai la più lunga negli 80 anni di storia dello stato ebraico e all’interno della società cresce un movimento di opposizione con una consistente partecipazione popolare. Per contrastarlo il premier continua a ordinare le mobilitazione dei riservisti: Israele, nella sua testa e in quelle dell’estrema destra al potere, deve diventare un paese in stato di mobilitazione permanente ed effettiva. Siamo allo stadio finale del sionismo? Una nazione colonizzatrice sempre in armi ma mai sicura, con un leadership che non si cura più neppure della sorte dei suoi ostaggi. Un messaggio di morte, non di vita.

PER GIUSTIFICARE la mobilitazione permanente si aprono nuovi fronti. Tra questi la Siria sta assumendo un ruolo sempre più importante, con l’invio di truppe sul campo che, secondo lo stato ebraico, avrebbero il compito di proteggere i drusi dopo una serie di episodi violenti nel paese. Alcuni di loro, infatti, si sono rivolti a Israele dopo aver subìto attacchi da parte di gruppi radicali sunniti, ma altri temono che il coinvolgimento di Tel Aviv possa trascinare la Siria, ma anche in Libano, verso la tanto temuta divisione del suo territorio. Non è un caso che il leader druso libanese Walid Jumblatt abbia appena compiuto una visita inaspettata a Damasco al siriano Al Jolani.

Qual è la strategia dello stato ebraico? Fare leva sulle questioni etnico-settarie per ridurre il Medio Oriente a micro entità facilmente manovrabili. Certo, in Siria le cose non vanno esattamente come vorrebbe Netanyahu, basti pensare all’accordo tra Erdogan e i curdi e alla stessa presenza militare della Turchia. Ma la cosa essenziale per Israele – e per gli Usa – è la destabilizzazione continua per imporsi come potenza egemonica in Medio Oriente, evitando qualsiasi trattativa che possa implicare concessioni.

Anche nel complesso militar-industriale israelo-americano non sempre le cose vanno come vuole Netanyahu. Almeno in apparenza. Per ora Trump sembra voler frenare un eventuale attacco di Israele all’Iran che comunque può contare su alleati come Mosca e Pechino, capitali con cui gli Usa devono trattare sull’Ucraina e sui dazi. Ma Netanyahu morde il freno: nel suo progetto di escalation vede rovine fumanti in tutto il Medio Oriente, la scomparsa definitiva di intere nazioni e dei loro popoli. Una guerra senza fine.

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