FRANCIA, LA POSTA IN GIOCO È IL FUTURO DELLA DEMOCRAZIA da IL MANIFESTO
Francia, la posta in gioco è il futuro della democrazia
Scommessa fallita. La crisi politica francese mostra i limiti di un sistema costituzionale in cui i poteri del presidente si sono ampliati senza tener conto della trasformazione nella composizione della rappresentanza parlamentare
Mario Ricciardi 06/09/2024
La crisi politica francese mostra i limiti di un sistema costituzionale in cui i poteri del presidente si sono ampliati senza tener conto della trasformazione nella composizione della rappresentanza parlamentare, che da tendenzialmente bipolare (secondo il classico schema destra-sinistra) si è frammentata dando vita a un multipolarismo fluido, nel quale alcuni partiti storici sono scomparsi, o hanno subito scissioni che ne hanno ridimensionato il peso, e altri sono nati, rendendo più difficile la formazione di maggioranze parlamentari coerenti e stabili.
In Francia questa mutazione del panorama politico è avvenuta all’ombra dell’ascesa dei consensi della destra estrema, che si è consolidata come forza in grado di condizionare le politiche del paese, anche se non è riuscita ancora a conquistare la guida dell’esecutivo o la Presidenza della Repubblica.
La scommessa “centrista” di Macron, che ha puntato sull’ulteriore scomposizione della sinistra in due aree, una moderata, di fatto subalterna al partito del presidente, e l’altra radicale, da marginalizzare attraverso il modello degli “opposti estremismi” è fallita. Di fronte alla prospettiva di un centro che persegue politiche economiche neoliberali, e di una destra nazionalista, la sinistra si è ricomposta dando vita a un’alleanza, il Nfp, che nelle ultime elezioni – volute da Macron senza consultarsi con nessuno – ha conquistato una posizione di maggioranza relativa. In queste circostanze, la logica della rappresentanza avrebbe condotto naturalmente all’incarico di un esponente della coalizione di maggioranza relativa, ma il Presidente ha messo in atto una strategia di dilazione puntando sulla spaccatura del Nfp. Dato che questa ipotesi non si è realizzata, Macron ha reso esplicito il suo rifiuto di dare l’incarico a un esponente della sinistra, avviando consultazioni il cui scopo è stato quello di favorire la costituzione di un’altra maggioranza relativa che sia omogenea rispetto alle politiche che nella legislatura precedente erano state portate avanti dal governo di minoranza guidato dal suo partito. Dopo alcune settimane, e lunghe consultazioni, arriva l’incarico a Michel Barnier, uomo della destra tradizionale, che non dispiace affatto a Le Pen.
Il Rassemblement National di Le Pen e Bardella non più al bando
Francia, svolta autoritaria. Non c’è argine al dilagare dell’estrema destra in Europa senza dare spazio alla sinistra: Macron sceglie invece come premier il vecchio gaullista Barnier che Le Pen può appoggiare. Ora dietro il “cordone sanitario” “repubblicano” c’è il Fronte popolare. È il vento del Partito popolare europeo. Ma la svolta autoritaria, dopo il voto popolare, apre il conflitto
Marco Bascetta 06/09/2024
Nel cuore forte d’Europa gli antidoti ai veleni della destra estrema mostrano di indebolirsi ogni giorno di più. La nomina del vecchio gaullista Michel Barnier, membro di un partito spaccato, in forte evidente declino ed elettoralmente perdente, alla carica di primo ministro da parte del presidente Emmanuel Macron indica con precisione quale sia davvero il punto di caduta. Che non può darsi alcun serio argine al dilagare dell’estrema destra in Europa senza concedere spazio alla sinistra: e non si danno serie aperture a sinistra conservando integra, intoccabile e quasi sacralizzata la politica filopadronale e la strenua difesa della rendita finanziaria cui il cosiddetto centrismo, in tutte le sue articolazioni, si è dedicato da tempo anima e corpo.
E, infatti, è il Rassemblement national di Le Pen e Bardella a dirsi disposto ad andare a vedere le carte del vecchio politico conservatore con un solido pedigree reazionario. Pronto ad entrare nel gioco del potere, probabilmente niente affatto a titolo gratuito. Se dovesse garantire nascita e tenuta di un siffatto governo conservatore il Rassemblement finirebbe se non col tenerlo in pugno, almeno con l’esercitare un forte condizionamento sulla sua futura politica.
La tagliola dell’arroganza di Macron si chiude così inesorabilmente sul Fronte popolare della sinistra. Dopo aver inghiottito i peggiori rospi come l’ex ministro di polizia Gerard Darmanin pur di sbarrare la strada alla destra nazionalista, ritirandosi a favore di candidati macronisti laddove ritenuto necessario per scongiurare la vittoria dei candidati del Rassemblement, la sinistra si ritrova invece oggetto di quella totale messa al bando che avrebbe dovuto bloccare l’estrema destra.
Dietro il “cordone sanitario” “repubblicano” ci è finito così il Fronte popolare. Con la mossa di Macron la République entra ancora una volta in quella modalità monarchica che si annida, anche costituzionalmente, nel suo seno. Ma sappiamo che quando la Francia imbocca questo corso autoritario (e questa volta lo fa addirittura infischiandosene di un risultato elettorale e della domanda di cambiamento che veicola) raramente le acque restano tranquille.
Lo stile di governo di Emmanuel Macron e la sua cinica astuzia stanno sfidando da tempo la pazienza dei cittadini francesi. Non a caso, immediato è stato l’annuncio di mobilitazioni.
Lo smottamento a favore della destra che si è espresso, dopo lunga gestazione, con le elezioni del Parlamento europeo nello scorso giugno non ha affatto cessato di produrre i suoi velenosi effetti.
Una volta assicurata la presidenza della Commissione a Ursula von der Leyen, le cortesie nei confronti di socialdemocratici e verdi hanno perso di interesse. Il declino della Spd, dei Verdi e dei liberali in Germania mina seriamente la tenuta del governo di Berlino e il peso di queste forze in Europa.
Così, il Partito popolare europeo, seguendo la direzione del vento, si pone sempre più il problema di come relazionarsi positivamente con l’inquietante mondo alla sua destra, dapprima assumendone o addirittura anticipandone temi e argomentazioni, ma prima o poi dovrà spingersi oltre questo mimetismo competitivo. Indispensabile sarà, a quel punto, distinguere e separare. Trovare interlocutori più digeribili tra i diversi raggruppamenti sovranazionali della destra. Non sarà facile visto il reticolo di legami che li intrecciano.
Ma non vi è dubbio che gli equilibri europei, a partire dall’asse centrale franco-tedesco stanno cambiando.
Se l’esclusione delle istanze di sinistra e la difesa senza residui degli interessi economici dominanti dovessero diventare una priorità assoluta allora anche in Germania l’appoggio, almeno a livello dei governi locali, da parte dell’Afd non potrebbe che rientrare nell’ordine del possibile.
Il presidente francese ha certamente fiutato questo cambiamento. Non può non aver valutato il fatto che il governo Barnier non avrebbe nessuna possibilità di mantenersi in sella senza una qualche forma di tolleranza da parte del Rassemblement national. E che questo rappresenterebbe in qualche modo un primo passo verso lo sdoganamento definitivo di questa forza politica.
Di fronte a una situazione che impone di scegliere tra destra e sinistra, Macron sceglie la prima. E lo fa misconoscendo platealmente i risultati di una azzardata competizione elettorale che egli stesso ha imposto. Si tratta di una scelta tale da stupire perfino il più convinto critico della democrazia rappresentativa.
La situazione di stallo politico viene superata, dunque, ma rischiando una vera e propria crisi costituzionale: due minoranze sono state in competizione per accaparrarsi il numero di parlamentari che sarebbe stato sufficiente a formare un governo, e la destra ha giocato il ruolo privilegiato di forza di interdizione che ha tutto da guadagnare da una situazione in cui è stata in grado di prevenire la formazione di un governo di sinistra e, allo stesso tempo, di condizionare gli orientamenti di un governo centrista nascente, che sarà costretto a cercare i propri consensi volta per volta nell’assemblea, o a ricorrere, come ha già fatto il precedente esecutivo, a strumenti legislativi che la costituzione autorizza, ma che sviliscono il ruolo della rappresentanza parlamentare.
L’aspetto più grave della situazione francese, che, come si è detto, è il risultato di scelte di cui Macron porta in pieno la responsabilità, è che il Presidente ha fatto chiaramente capire di non essere disposto a riconoscere la legittimità di indirizzi politici diversi da quelli che egli ha promosso nella precedente legislatura. La natura tendenzialmente paternalista del presidenzialismo alla francese, non a caso modellata sulla figura di un leader sui generis come Charles de Gaulle, si sta evolvendo dunque in una direzione esplicitamente autoritaria. Appare chiaro, infatti, che uno spostamento del conflitto sul piano extraparlamentare – attraverso mobilitazioni che già si annunciano nei prossimi giorni – andrebbe incontro a una reazione repressiva (come è già accaduto altre volte nel corso del mandato di Macron all’Eliseo).
C’è in questa torsione autoritaria la chiara impronta di uno dei caposaldi dell’ideologia neoliberale, che consiste nel mettere la politica economica, guidata da principi di favore per il capitale, al riparo dalle interferenze che possono derivare dalla formazione di maggioranze parlamentari che potrebbero perseguire indirizzi redistributivi di politica economica. Spezzare le reni alla sinistra, anche attraverso la forza, è giustificato, in questa prospettiva, dall’obiettivo di subordinare il lavoro all’impresa, l’eguaglianza all’efficienza. Tanto peggio, se questo vuol dire restringere la libertà di scelta o di manifestazione delle opinioni. La posta in gioco in Francia, quindi, non è soltanto la formazione di una maggioranza parlamentare, ma il modo di intendere la democrazia e il suo rapporto col capitalismo. Cioè il suo futuro.
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