FINE PENA: UNA SENTENZA DIROMPENTE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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FINE PENA: UNA SENTENZA DIROMPENTE da IL MANIFESTO

Corte costituzionale, una sentenza dirompente

Eutanasia. Non c’è dubbio che una persona in piena salute possa decidere di porre fine alla propria vita. Potrà violare un precetto religioso, ma non incontra ostacoli di ordine giuridicoMassimo Villone  24.11.2021

Con la sentenza 242 del 2019 la Corte costituzionale si pronunciò sul suicidio assistito, dopo aver inutilmente atteso che il parlamento si occupasse in un modo o nell’altro della questione.

Fu una pronuncia cauta per un verso, e per l’altro dirompente. Cauta perché si fermò a una illegittimità costituzionale parziale, per di più assoggettata a condizioni stringenti, dell’art. 580 del codice penale per la parte in cui «non esclude la punibilità» di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio. Dirompente, perché con una pronuncia additiva costruì un percorso che ora nemmeno il legislatore, volendo, potrebbe sbarrare.

NON PUÒ ESSERE PUNIBILE l’assistenza al suicida nel caso di persona «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Inoltre, è necessario che «le condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».

Nel caso di specie, per la Corte la decisione ultima sul se e come si muore non spetta alla persona interessata, ma alla struttura pubblica e al comitato etico (con accentuazioni diverse in ragione del diverso ruolo). È comunque su questa base che ad Ancona fa un passo avanti, dopo mesi di battaglia anche nella sede giudiziaria, una richiesta di accedere al suicidio assistito. Il parere del comitato etico ha aperto la via. Ma la vicenda non sembra conclusa, se – come leggiamo – si discute ancora sulle modalità da seguire per la somministrazione del farmaco che porrà eventualmente fine alla vita del malato.

Emerge una aporia. Non c’è dubbio che una persona in piena salute fisica e mentale possa decidere di porre fine alla propria vita in uno di mille modi diversi, tra cui l’assunzione di farmaci che producano il risultato voluto. Potrà violare un precetto religioso, ma non incontra ostacoli di ordine giuridico. Nemmeno è dubbio che una persona, tenuta in vita con mezzi artificiali ma capace di intendere e di volere e di esprimere la propria volontà, possa decidere di suicidarsi semplicemente rifiutando il trattamento sanitario salvavita. Trova in questo il supporto dell’art. 32 della Costituzione.

Quindi, un diritto di morire sembra indubbiamente riconosciuto. Nessuno può obbligarmi a vivere, se decido di voler morire. Ma è un diritto da esercitare in solitudine. Si richiede cautela, se qualcun altro mi porge il flacone che contiene le pillole al fine necessarie. Questo può accadere senza conseguenze di ordine penale per chi mi assiste nei soli casi previsti dalla Corte e sulla base di un accertamento della struttura pubblica e del parere del comitato etico territorialmente competente. Che potrebbero anche ritenere che la mia decisione non risponde ai canoni restrittivi disegnati dal giudice. Se venisse un diniego, potrei certo ribadire la mia decisione. Praticandola però in solitudine, se in grado di farlo.

ALLORA, PER UNA PERSONA in perfetta salute la decisione di morire è più agevole che per una persona in condizioni disperate. È un paradosso? Certamente sì, per un verso. Ma va compreso che le cautele costruite intorno a casi estremi come quelli del DJ Fabo, o quello cui assistiamo ad Ancona, vogliono anche garantire che intorno al suicidio non si crei un’area melmosa in cui potrebbero giocare interessi non trasparenti. Questo però suggerisce ai soggetti pubblici coinvolti che le garanzie predisposte dalla Corte debbano essere intese nel senso non già di ostacolare o impedire la volontà di porre fine alla propria vita, ma di verificare che tale volontà sia liberamente formata, e che sia portata al fine voluto nel modo migliore per la persona interessata.

Nella sentenza 242 la Corte avrebbe potuto orientarsi per una decisione più radicale, con una mera dichiarazione di illegittimità della fattispecie di cui all’art. 580 del codice penale. Disegnando un percorso complesso, ha supplito a una intollerabile inerzia del parlamento, che dovrebbe essere un tempio non solo della democrazia – come dice Mattarella – ma anche e soprattutto dei diritti. E che invece con il suo silenzio ci ha portato ad avere sì il diritto di morire, ma da soli.

Suicidio assistito, l’ultimo oltraggio della Regione Marche

Fine pena. L’assessore alla Sanità regionale, Saltamartini, tenta ancora di negare il diritto di Mario

Eleonora Martini  24.11.2021

Finalmente, dopo oltre un anno di attesa, Mario (nome di fantasia), il paziente marchigiano tetraplegico immobilizzato da dieci anni, ha ricevuto la verifica della proprie condizioni di salute da parte dell’azienda ospedaliera locale e il parere del Comitato etico territoriale, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza 242 del 2019, in modo da poter accedere, legalmente in Italia, ad un farmaco letale che ponga fine a quelle sofferenze che lui ritiene insopportabili.

Mario, che sarà così il primo paziente in Italia ad accedere al suicidio assistito, ha detto di sentirsi ora «più leggero», «mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni». A darne notizia è stata l’Associazione Luca Coscioni che ha supportato la sua battaglia legale, con l’avvocata Filomena Gallo. Ma ieri la Regione Marche, che finora si è resa inadempiente ai propri doveri, ha precisato «che sarà il Tribunale di Ancona a decidere se il paziente tetraplegico di 43 anni potrà avere diritto al suicidio medicalmente assistito». Secondo l’assessore regionale alla Sanità e ai servizi sociali, Filippo Saltamartini, della Lega, in precedenza presidente onorario del Sindacato autonomo di polizia, «il Comitato Etico da parte sua ha sollevato dubbi sulle modalità e sulla metodica del farmaco che il soggetto avrebbe chiesto (il tiopentone sodico nella quantità di 20 grammi, senza specificare come dovesse essere somministrato)».

L’ASUR (l’Azienda sanitaria unica regionale Marche) aveva già negato a Mario la dovuta verifica ed è stata per questo diffidata due volte. (Ma nelle Marche c’è anche un altro paziente, “Antonio”, anch’egli tetraplegico da otto anni dopo un incidente stradale, che attende la verifica). E ci sono voluti due interventi del Tribunale di Ancona che hanno stabilito il diritto di Mario a proseguire l’iter – atteso da anni – per arrivare all’autosomministrazione di un farmaco letale.

Solo allora, il Comitato etico ha verificato, «dopo 14 mesi – riferisce l’avvocata Gallo, segretaria dell’associazione Coscioni – tramite un gruppo di medici specialisti nominati dalla stessa Asur, che Mario possiede i quattro requisiti fondamentali richiesti dalla Consulta per l’accesso legale al suicidio assistito: è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale; è affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili; è pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; e non è sua intenzione avvalersi di altri trattamenti sanitari per il dolore e la sedazione profonda».

IL COMITATO ETICO scientifico delle Marche, però, secondo quanto affermato ieri dalla Regione, ha rilevato che Mario «non motiva quali siano i presupposti per i quali è stata richiesto il dosaggio indicato di 20 gr, quantità non supportata da letteratura scientifica; non spiega se e con quali modalità si debba procedere tecnicamente alla somministrazione e, se in via preventiva, per conculcare lo stato d’ansia derivante dall’operazione, si voglia avvalere di ansiolitici; non risulta chiaro se debba essere utilizzato solo il farmaco indicato dal paziente, nell’ipotesi in cui non si riesca a portare a compimento la procedura di suicidio medicalmente assistito».

Per l’Associazione Coscioni e per la co-legale di Mario, Filomena Gallo, si tratta di una «grave trappola burocratica»: «La Regione forse dimentica che, su questo, lo scorso 9 giugno, i giudici del Tribunale di Ancona si sono già espressi, con un’ordinanza immediatamente applicativa, passata in giudicato e definitiva». E Marco Cappato aggiunge: «Dall’assessore alla Salute di Regione Marche arriva dunque l’idea che debba ora nuovamente pronunciarsi un tribunale – non si capisce bene quando e a che titolo – per decidere la procedura medica, come se un tribunale potesse averne le competenze. È invece dovere del Servizio sanitario mettere a disposizione del paziente le modalità tecniche per poter usufruire di un suo diritto costituzionale. Se non lo fa la Regione Marche, deve intervenire il Governo perché il rispetto di un diritto costituzionale non può dipendere dai pregiudizi ideologici di un’amministrazione regionale. Chi ne ha il potere deve interrompere questa tortura di Stato in atto da 14 mesi. In caso contrario se ne assume per intero la responsabilità».

MENTRE LE DESTRE, i cattolici oltranzisti e anche il Vaticano («Davanti a una simile provocazione è lecito domandarsi se sia giusto incoraggiare a togliersi la vita», afferma un tranchant monsignor Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita) invocano di fermare il progetto di Mario, Cappato invita il governo a smettere «con l’invocazione di un intervento parlamentare a giustificazione della propria inadempienza». «Il Parlamento è stato sollecitato dalla Consulta tre anni fa – ricorda il leader radicale – e poi ancora due anni fa, ma ha continuato di rinvio in rinvio nel silenzio assoluto dei leader dei principali partiti italiani dei diversi schieramenti. Ora la misura è colma. La riforma del fine vita sarà realizzata entro primavera dal popolo italiano con il referendum».

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