“ESCALATION PERICOLOSA” MORTO UN CAPO SE NE FA UN ALTRO. NON C’È LIMITE AL SANGUE DA VERSARE da IL FATTO e IL MANIFESTO
Uccidere il n. 1 di Hamas è inutile: morto un capo se ne fa un altro
Alessandro Orsini 1 Agosto 2024
Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, è stato ucciso da un missile guidato israeliano a Teheran, dove si trovava per la cerimonia di insediamento del presidente Masoud Pezeshkian. In sede scientifica, la prima domanda rilevante è se la leadership decapitation, o decapitazione della leadership, funzioni. Più precisamente, la domanda è: “L’uccisione dei capi provoca la morte delle loro organizzazioni terroristiche?”. Le notizie non sono buone per Israele. Gli studi sul terrorismo dicono che la leadership decapitation non dà i risultati sperati con le organizzazioni terroristiche longeve, con un grande sostegno popolare, ricche di risorse materiali e immateriali. Le organizzazioni terroristiche possenti sono resilienti: morto un capo ne fanno un altro. È ciò che è accaduto con Bin Laden. Molti in Occidente pensavano che l’uccisione di Bin Laden avrebbe causato la morte di al Qaeda. Non è accaduto perché al Qaeda era un’organizzazione terroristica possente e resiliente. Bin Laden è stato sostituito da al-Zawahiri. La leadership decapitation funziona meglio con le organizzazioni terroristiche piccole, giovani e con poche risorse. In questo caso, l’uccisione del capo causa più spesso lo sbandamento del gruppo. Hamas non subirà contraccolpi particolari giacché i capi delle organizzazioni terroristiche nemiche degli Stati Uniti vivono nella consapevolezza che saranno uccisi e organizzano la successione con largo anticipo sulla loro morte. Nel momento in cui assumono la leadership, i capi delle organizzazioni terroristiche possenti indicano i successori per evitare lotte intestine. Il fondatore di Hamas, Ahmed Yassin, è stato ucciso il 22 marzo 2004 da un missile israeliano. Poi Hamas è cresciuta spaventosamente fino a realizzare uno degli attentati più smisurati della storia del terrorismo, diciannove anni dopo.
È presto per una valutazione complessiva. Tuttavia, Hamas ha dato prova finora di essere una delle organizzazioni terroristiche più forti di sempre. Questo giudizio provvisorio poggia su due fatti che l’osservazione sociologica registra agevolmente. Il primo fatto è che, nonostante Israele abbia raso al suolo la striscia di Gaza, i militanti di Hamas non tradiscono la propria leadership. Semmai, la difendono fino al martirio. In base alle informazioni disponibili, Haniyeh è stato ucciso per una propria leggerezza. L’Iran è pieno di spie israeliane. Partecipando alla cerimonia di insediamento del presidente Masoud Pezeshkian, Haniyeh si è reso pedinabile. È stato individuato e ucciso. Il secondo fatto è che l’uccisione di Haniyeh, anziché provocare scoramento tra i militanti di Hamas, sta creando una grande esaltazione collettiva che, con ogni probabilità, aumenterà gli arruolamenti in favore di Hamas.
Circa il rapporto tra Israele e Hamas, possiamo dire ciò che Marx diceva del rapporto tra capitalisti e proletari: i primi non possono esistere senza creare i secondi. Analogamente, Israele non può esistere senza creare il terrorismo giacché lo Stato d’Israele, come dimostrano le braccia spezzate ai ragazzini palestinesi durante la prima intifada iniziata nel 1987, parla soltanto il linguaggio della forza e della violenza. Marx prevedeva che i proletari avrebbero sopraffatto i capitalisti. Israele non sarà sopraffatto dai terroristi, ma continuerà a produrli, con poco profitto. Infine, nel valutare le ripercussioni dell’uccisione di Haniyeh su Hamas, occorre distinguere il leader dalla leadership. Israele ha ucciso un leader; la leadership di Hamas è intatta. La prova che Israele ha nuovamente fallito la sua missione di estirpare il terrorismo è il processo per genocidio che fronteggia davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Onu. E i tunnel di Gaza continuano a funzionare, per la gran parte illesi.
Non c’è limite al sangue da versare
antonio padellaro 1 Agosto 2024
Quante barbariche uccisioni sarà autorizzato a compiere Israele per eliminare uno o due comandanti di Hamas, sia pure i più feroci e pericolosi? Nessun israeliano se lo chiede. Se qualcuno osasse farlo, la risposta arriverebbe senza pensarci: “Tutte quelle che servono”. Rileggere Gideon Levy (giornalista israeliano che scrive per il quotidiano Haaretz) nelle ore successive alle uccisioni, a Teheran, del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, e a Beirut del numero due di Hezbollah, ci costringe a fare la domanda successiva (e definitiva). Quella sul rischio di una guerra totale che Israele sia disposto a correre – e a far correre all’intero mondo circostante e non – pur di eliminare i suoi nemici mortali.
Noi, qui, al sicuro nelle nostre case e nelle nostre redazioni ci sentiamo in balia di eventi che ormai sfuggono completamente al controllo delle cosiddette cancellerie europee (per non parlare della Casa Bianca, luogo per alcuni mesi ancora della più conclamata e senile impotenza). Convinti, però, di due o tre cose soprattutto. Che Netanyahu, Hamas e Hezbollah continueranno a compromettere qualsiasi ipotesi di tregua pur di non indebolire le rispettive leadership (simul stabunt vel simul cadent). Che neppure il pericolo incombente di un conflitto nucleare potrebbe fermare i gestori di un mondo impazzito, con la fine del cosiddetto equilibrio del terrore. E cosa dire, infine, delle lacrime copiose versate sui media occidentali sulla sorte dei poveri bambini di Gaza e degli altrettanto imbelli “appelli alla moderazione”? Che alla inesauribile mattanza si addice piuttosto il silenzio.
Scrive Levy: “Quanti bambini, medici, donne, anziani ucciderà Israele per un Mohammed Deif (il comandante palestinese forse eliminato il 13 luglio scorso con i missili sganciati sul campo di Mawasi pieno di sfollati provocando un centinaio di morti tra cui numerosi bambini, ndr)?”. E ancora: “Quanto sangue deve essere versato per sbandierare un successo ai vertici politici? Quante morti ancora occorrono?”. La risposta è molto prevedibile: “Tutte quelle che servono”. In altre parole: non c’è alcun limite”.
La Ue va in confusione. Guterres condanna: «Escalation pericolosa»
Le relazioni internazionali. Stavolta l’operato di Israele non può essere appoggiato apertamente dagli alleati, un omicidio in Iran è cosa diversa dalla guerra a Gaza e da un missile a Beirut
Sabato Angieri 01/08/2024
Stavolta l’operato di Israele non può essere appoggiato apertamente dagli alleati, un omicidio in Iran è cosa diversa dalla guerra a Gaza e da un missile a Beirut. Se il principio della «legittima difesa» di Tel Aviv dalle minacce esterne, evocato ancora martedì da molti politici, tra cui la candidata democratica Usa Harris, continua a essere sostenuto nonostante quasi 40mila morti a Gaza e il rischio di escalation militare con Hezbollah, sulla giurisdizione i distinguo sono obbligati.
L’Unione europea ha una posizione di principio di rifiuto delle esecuzioni extragiudiziali e di sostegno allo Stato di diritto, anche nella giustizia penale internazionale», ha dichiarato il portavoce del servizio di Azione esterna dell’Ue, Peter Stano. Significa che in linea teorica i 27 sono contrari all’omicidio di Ismail Haniyeh, eseguito per mezzo di un drone o di un missile teleguidato la scorsa notte a Teheran. Del resto, dopo l’introduzione, Stano si è affrettato ad aggiungere: «ricordiamo che l’Ue e altri partner hanno inserito Hamas nell’elenco delle organizzazioni terroristiche e che il procuratore della Corte penale internazionale ha chiesto un mandato di arresto contro Ismail Haniyeh con varie accuse di crimini di guerra».
DUNQUE? Sarebbe stato meglio catturarlo e processarlo. Stano dimentica che nello stesso procedimento penale della Cpi figurano anche i nomi di Benyamin Netanyahu, premier di Israele, e di Yoav Gallant, suo ministro della difesa. Infine Stano chiede «a tutte le parti di esercitare la massima moderazione e di evitare qualsiasi ulteriore escalation». Ma a chi si sta rivolgendo il portavoce degli esteri dell’Ue dato che l’azione eclatante (tanto eclatante da far titolare al New York Times «i funzionari iraniani sotto choc dopo l’omicidio di Haniyeh») ormai è stata portata a termine?
Tutti ora si aspettano una risposta iraniana, alla quale si sommerà, vedremo in che termini, quella di Hezbollah dopo la conferma dell’uccisione di Fouad Shukr. Ciò che è chiaro è che Israele si sente sicura di poter fronteggiare un’eventuale reazione o, forse, sa che questa non verrà, dato il potere di deterrenza esercitato dagli Stati uniti, loro alleati. I quali non si sono espressi sull’attacco a Teheran ma, tramite il segretario di stato Antony Blinken, hanno dichiarato di «non essere stati informati» né «coinvolti» nell’uccisione. E hanno provato a deviare il discorso sulla tregua a Gaza. Blinken ha detto che ora il cessate il fuoco è «imperativo», come se l’eliminazione del capo politico di Hamas sia l’atto finale della guerra iniziata il 7 ottobre 2023.
Al contrario, stiamo assistendo a una «pericolosa escalation» secondo il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Gli attacchi in Libano e in Iran arrivano in «un momento in cui tutti gli sforzi dovrebbero invece portare a un cessate il fuoco a Gaza, al rilascio di tutti gli ostaggi israeliani, a un massiccio aumento degli aiuti umanitari per i palestinesi di Gaza e a un ritorno alla calma in Libano e oltre la Linea Blu», ha dichiarato il portavoce di Guterres, Stephane Dujarric, in un comunicato.
Tra le condanne all’omicidio spiccano quella della Russia, per cui «tali azioni sono dirette contro i tentativi di portare la pace nella regione e, cosa ancora più grave, potrebbero destabilizzare notevolmente la situazione già tesa», e della Cina, che si «oppone fermamente e condanna» l’attacco e si dice «profondamente preoccupata per il potenziale aumento dell’instabilità regionale dovuto a questo incidente».
ANCHE I PAESI coinvolti direttamente nei negoziati, che per ora sono stati affossati insieme alle due vittime degli attacchi israeliani, Egitto e Qatar hanno condannato i raid. Per Doha, che accoglierà le spoglie di Haniyeh, si tratta di «palese violazione del diritto internazionale e umanitario». Su Twitter il primo ministro del Qatar ha aggiunto: «Come può avere successo la mediazione quando una parte assassina il negoziatore dell’altra parte?».
Per il Cairo gli attacchi minano «gli strenui sforzi compiuti dall’Egitto e dai suoi partner per fermare la guerra nella Striscia di Gaza» e «indicano l’assenza di volontà politica israeliana di calmare la situazione».
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