Europa solidale, o barbarie
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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Europa solidale, o barbarie

di Giuseppe ARAGNO*

Premessa

Negli anni della resistenza dei popoli sottomessi dal nazifascismo, gli antifascisti hanno sognato come via di uscita dall’immane tragedia l’unione dei popoli europei sulla base di un’equa ripartizione della ricchezza e di principi di libertà e giustizia sociale. Sin dalla guerra di Spagna, per esempio, Rosselli definì i fascismi «antieuropa» e immaginò, in antitesi, una federazione di Stati europei nata da un processo costituente profondamente democratico: un’assemblea di delegati eletti dai popoli per scrivere e approvare una carta costituzionale federale basata sui principi fondamentali della convivenza tra i popoli, l’eliminazione delle frontiere e delle dogane, le regole da cui far nascere un primo governo federale e un nuovo diritto europeo.

Dopo la seconda guerra mondiale, quel sogno, finito poi nelle mani dei sacerdoti del dogma neoliberista, è stato stravolto e l’unione politica dei popoli è diventata unione economica e monetaria. Negli ultimi anni, sotto i colpi di una incalzante crisi economica, che è diventata crisi della democrazia, l’Unione Europea ha assunto i connotati di un insieme di «patrie nazionali», di una nuova «antieuropa», che cancella diritti, sottomette i popoli alle leggi del mercato e sacrifica sull’altare della concorrenza e del profitto l’idea di una «patria umana», fatta di libertà, cooperazione e fratellanza. La situazione è ormai così grave, che le imminenti elezioni europee ci pongono di fronte a una domanda ineludibile: per uscire da questo incubo, nato soprattutto da trattati di discutibile legittimità, occorre rinunciare al sogno degli antifascisti o, sconfitto l’incubo, si può rimettere mano al progetto nato dalla resistenza europea?

Non è una domanda banale. Poiché si tratta di partecipare a elezioni, chiedere un voto a sostegno di una rottura è doveroso, ma non sarà facile delineare una prospettiva e ottenere consensi se si assumerà una posizione solo negativa, se accanto alla rottura dei trattati non ci saranno proposte concrete, che dimostrino una capacità propositiva e la volontà di rimettere in moto quel processo di fondazione di un’Europa dei popoli che è stato per molti anni tradito. Se, com’è probabile, un «programma costituente» incontrerà il netto rifiuto delle forze garanti dell’Unione delle banche e del capitale, allora l’uscita diventerà comprensibile e sarà giustificata da una consapevolezza: un’Europa intesa come casa comune della democrazia parlamentare, della giustizia sociale, della pace e del progresso non può essere realizzata con le forze che hanno voluto l’Unione così com’è e si ostinano a sostenerla.

Un antifascista disse

Da decenni alla parola Europa si associano tre nomi e una sorta di bibbia: Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e il loro «Manifesto di Ventotene», che riprese e perfezionò l’idea federalista di Carlo Rosselli. Da un punto di vista storico, infatti, non si può parlare di Europa unita senza ricordare che essa fu pensata anzitutto da antifascisti durante gli anni del fascismo. E’ molto raro, tuttavia, che, tornando a quegli anni e a quel testo, ci sia chi ricordi cosa pensavano Spinelli e i suoi compagni dei falsi europeisti; cosa pensavano cioè di coloro che tutti i giorni alzano la bandiera dell’Europa e però poi fanno tutto, tranne che costruire l’Europa di Ventotene:

«Le forze conservatrici, cioè i dirigenti delle Istituzioni fondamentali degli Stati Nazionali, i quadri superiori delle forze armate, […] quei gruppi del capitalismo che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelli degli Stati, […] hanno uomini e quadri abili, abituati a comandare, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati, si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi più povere. Senza dubbio […] saranno la forza più pericolosa con cui bisognerà fare i conti». Così si legge nel testo del 1941. «Il punto sul quale essi cercheranno di fare leva prosegue il Manifesto sarà il sentimento popolare più diffuso e più facilmente adoperabile a scopi reazionari: la rabbia e la disperazione per l’ingiustizia del potere e quindi il patriottismo. […] Se raggiungessero questo scopo avrebbero vinto. Fossero pure questi stati in apparenza largamente democratici o socialisti, il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo».

Quel tempo pare sia arrivato. Qual è il messaggio? I nostri nemici sono le forze del capitalismo, che non hanno patria, però fanno appello alla patria tutte le volte che vogliono scatenare guerre tra i poveri. Sembra che Spinelli parli del nostro presente. Se per europeismo si intende difendere questa Europa, non si può essere europeisti. D’altra parte, le domande che ci pongono queste parole sono chiare: come si sconfigge questa Unione? Come si scelgono gli alleati con cui fare la battaglia? La «France insoumise» è un’alleata. Insieme abbiamo una bussola e una teoria: siamo comunisti e crediamo che il capitale non abbia patria e che i popoli non si dividano in europeisti e antieuropeisti, ma in sfruttati e sfruttatori.
Ci ripetono spesso – ed è una narrazione completamente falsa – che «ce l’ha detto l’Europa» e perciò non si può fare in nessun altro modo. Ma è veramente così? Se gli spagnoli, che hanno una Costituzione nata dopo il franchismo, se gli italiani, che hanno una Costituzione nata dopo la caduta del fascismo e la Resistenza, dovessero decidere di non calare la testa di fronte ai diktat dell’Europa, se decidessero di contestare questo principio, allora sarebbero sovranisti? Sì, lo sarebbero; difenderebbero, però, non una astratta e falsa sovranità nazionale ma la concreta e giusta sovranità dei lavoratori e delle classi subalterne sul loro destino, sul loro diritto di decidere su tutto quello che riguarda la loro vita.

Una Costituente, una Costituzione

Nel 1980 Spinelli fonda il «club del Coccodrillo». Perché un uomo che apparentemente sta per vincere la sua battaglia – in fondo l’Europa sta nascendo in quegli anni – decide di raccogliere le intelligenze internazionali più sensibili ai problemi dell’antifascismo e dell’Unione europea dei popoli? Lo fa perché l’organismo che nasce in nome suo e del Manifesto che aveva firmato a Ventotene manca di una Costituzione. Manca e mancherà di una Costituzione, perché quattro anni dopo, nel 1984, benché fosse stato approvato dal Parlamento europeo, il suo progetto di Trattato costituzionale farà naufragio urtando contro gli scogli delle assemblee parlamentari e dei governi nazionali. Cos’è la Costituzione per un organismo statale? E’ un insieme di valori fondanti sui quali si regola la convivenza dei popoli. Senza una Carta costituzionale approvata dai popoli, può esistere una Europa unita? Spinelli pensava che no, non può realmente esistere. E non aveva torto.

D’altro canto, se l’Europa non si dà una Costituzione, qual è la gerarchia tra le leggi? Si può cavillare quanto si vuole su formule inventate ad arte per confondere le idee, come si è fatto con il sovranismo, ma la legge fondamentale della Repubblica è la Costituzione. E questo principio vale per ogni Paese. La Merkel non può imporre alla Germania una regola europea contraria alla Costituzione tedesca. Non si deve obbedire a leggi europee, se esse sono in contrasto con la legge fondamentale del mio Stato.

L’articolo 1 della nostra Costituzione, che andrebbe letto avendo lo sguardo attento al suo valore storico, afferma che la Repubblica è fondata sul lavoro e nella sua formulazione originaria non si parlava di lavoro ma di lavoratori. Se si pensa che l’80 % di coloro che scrissero e approvarono la Costituzione erano antifascisti e si legge questo articolo in termini di diritti riconosciuti, diventa chiaro che l’orientamento dell’Assemblea Costituente era di taglio profondamente sociale. Ed è altrettanto chiaro che se una regola proveniente da un organismo politico esterno alla Repubblica, che non è stato mai legittimato da una carta costituzionale votata e approvata dal nostro popolo, pone dei limiti ai diritti dei lavoratori, entra evidentemente in rotta di collisione con un principio della nostra Costituzione e non ha per noi alcun valore.

Questo non è sovranismo. In questo caso, quella che la propaganda di sedicenti europeisti presenta come una rivendicazione nazionale è di fatto una giusta reazione alla cancellazione di diritti garantiti dalla Costituzione. La resistenza contro il fascismo è nata anche perché ci si voleva riappropriare di diritti dei lavoratori che il fascismo aveva cancellato. È pensabile, del resto, che l’Unione dei popoli europei tenda a negare i diritti del lavoro? Rifiutare una simile Unione non significa volere tornare al nazionalismo. Vuol dire difendere diritti ed estenderli.

Le leggi, del resto, esistono in ordine gerarchico tra di loro. A noi la parola gerarchia non piace, ma in questo caso è necessaria perché non si può obbedire contemporaneamente a leggi che sono in contrasto tra loro. Si obbedisce a quella di grado superiore e tutte devono essere compatibili con essa, ovvero la Costituzione. Una circolare non ha valore di legge, una legge vale più di una circolare, ma tutte le leggi devono essere in linea con i principi costituzionali.

Legalità e legittimità

È vero, si è convenuto che le fonti del diritto della Comunità europea sono di primo grado, ma nessuno potrà seriamente sostenere che un trattato sia valido anche se viola i principi della Costituzione. Non c’è trattato che possa obbligare l’Italia a fare guerre di aggressione.  La mancanza di una Costituzione europea è stata di fatto sempre un problema per l’Europa unita, tant’è che sia pure ventiquattro anni dopo la nascita del «club del Coccodrillo», nel 2004, si è giunti alla firma di un Trattato per la Costituzione dell’Unione europea. Per avere un valore reale, quella Costituzione aveva naturalmente bisogno di una ratifica. Là dove poteva essere ratificata da organismi Istituzionali – in Italia, per esempio – la sedicente Costituzione è passata. È passata poi in Spagna con un referendum, ma è stata bocciata dai successivi referendum e rifiutata dai Federalisti europei.

Nella Francia nel 2005, l’anno del referendum sull’Europa, si diede vita al «grand debat», alla discussione pubblica che coinvolse larghi strati della popolazione. Le scuole del Paese erano aperte la sera – le aprivano e le chiudevano i cittadini – e la gente discuteva del proprio destino.

La stampa italiana presentava quel dibattito come uno scontro tra europeisti e nazionalisti. Non era affatto vero. Lo scontro riguardava i diritti. I francesi votarono no perché si resero perfettamente conto che li stavano espropriando di diritti. Quel testo non aveva i caratteri di una Costituzione: presentava principi neoliberisti come valori fondanti dell’organismo sovranazionale, si occupava solo di temi economici, santificava il capitalismo, mancava di ogni riferimento al ripudio della guerra, agevolava l’intervento di eserciti europei, cancellava diritti dei lavoratori, smantellava lo stato sociale e negava garanzie agli immigrati.

A conti fatti, la sedicente Costituzione non passò in Francia, non passò in Belgio e più tardi fu bocciata in Irlanda. La risposta dei vertici dell’Unione – e qui Spinelli aveva visto lontano – fu terribilmente antidemocratica. Si decise di annullare i referendum programmati e di redigere un nuovo testo che sarebbe stato approvato dai parlamenti nazionali. Di fatto i trattati assunsero così valore costituzionale. Un autentico inganno, un inganno di carattere eversivo nei confronti delle popolazioni.

Questo è il modo in cui ci sono stati sottratti diritti e conquiste ottenuti con lotte che sono spesso costate sangue. Nessuno ci ha regalato nulla e per quanto sia il prodotto di una mediazione, la Costituzione ha un’anima sociale dentro la quale trovano garanzia i nostri diritti sociali. Nel momento in cui la si manomette, inserendo tra i suoi articoli il pareggio di bilancio, si trasforma il Parlamento in una sede per ragionieri che fanno la partita doppia, il dare e l’avere, e poiché i conti sono in rosso, non puoi muovere un dito, non puoi fare niente. Che significa non poter far niente? Che è vero, sì, la Costituzione prevede il diritto alla salute, però per assicurarlo, lo Stato deve spendere soldi; poiché l’Europa glielo proibisce, la gente che non ha la possibilità di farlo a proprie spese non può curarsi.

Bisogna ubbidire all’Europa, ci dicono. E dov’è scritto? Dov’è scritto che la nostra legge costituzionale, così come le leggi costituzionali di altri Paesi membri dell’Unione, debba cedere il passo a un trattato? Soprattutto a un trattato che ne viola un principio e ha una caratteristica negativa inaccettabile: non è stato approvato dai popoli dell’Unione.

Con l’articolo 11 della nostra Costituzione l’Italia ripudia la guerra. È un principio fondante della Repubblica. Qualora ci si trovi di fronte a una crisi internazionale l’articolo prevede una limitazione della sovranità – la Costituzione parla di sovranità, ma non è certo sovranista – e consente di mandare uomini in armi fuori dai confini nazionali. Essi devono essere però sotto l’egida dell’ONU e operare per fermare la guerra, non per farla. Che c’entra questo con la NATO, con i bombardamenti in Libia, con Sarajevo bombardata da aerei italiani? E come si concilia con il ripudio della guerra?

Ci dicono che sono settant’anni che non si fanno guerre. Niente di più falso. Le bombe tirate sulla testa dei libici cos’erano? La verità è che aerei europei – e noi assieme agli altri – hanno bombardato la Libia, l’hanno resa un inferno, costringendo la popolazione a scappare e l’Europa ha negato l’accoglienza, facendo morire i profughi nel Mediterraneo, negandogli il diritto di sopravvivere, internandoli, alimentando il razzismo. Tutto questo è in sintonia con gli ideali di chi volle un’Europa unita? Ed è compatibile con la nostra Costituzione?

L’Europa del diritto, l’Europa dei diritti

Come si è giunti a tal punto e come si è avverata la profezia di Spinelli? Nel 2011 due illustri sconosciuti, guarda caso, uomini del capitalismo, proprio come temeva Spinelli, hanno assunto un ruolo decisivo per il nostro Paese. Si chiamano Draghi e Trichet. Chi sono? Qualcuno li ha eletti? Qualcuno li ha incaricati di decidere quale sarà il futuro politico di un Paese dell’Unione? No, nessuno li ha eletti, eppure hanno potuto inviare una lettera al governo italiano per elencare i provvedimenti che doveva prendere. Quali provvedimenti? Tagliare le pensioni, tagliare la Sanità, cancellare uno a uno diritti costituzionalmente riconosciuti.

Se contestare questo potere è sovranismo, benissimo, possiamo definirci sovranisti. Se difendere i diritti dei lavoratori, minacciati dal capitalismo che si è impadronito di un’idea antifascista per trasformarla nella base ideologica di una Istituzione sovranazionale feroce quanto il fascismo, io sono sovranista. Stupisce l’uso della parola fascismo per parlare di questa Europa? Non dovrebbe. In un libro pregevole, Pietro Grifone, un antifascista confinato come Spinelli, ricostruendo la storia della finanza nel nostro Paese, mostrò come il modello politico del capitale finanziario fosse il fascismo stesso. La lettera di Draghi e Trichet conduce difilato a Salvini. Altro che europeismo. Chi, infatti, ha prodotto il neofascismo gialloverde in Italia se non quella lettera illegale che di fatto ci impose la cancellazione dei diritti?

Ecco, dunque, la nostra responsabilità, la responsabilità di «Potere al Popolo!»: chiedere la ripresa di un processo di legittimazione popolare, mettere al centro del nostro programma un’Assemblea Costituente Europea, una Costituzione Europea, un Parlamento Europeo con pieni poteri e un Governo che risponda ai rappresentanti eletti dai popoli europei. Solo di fronte a un eventuale rifiuto di questo processo, che conserva un principio di orizzontalità pienamente democratico, si potrà poi costruire, insieme alle altre forze europee nostre alleate, percorsi e pratiche di uscita da un sistema asfissiante.

Noi non dobbiamo fermarci alle formule vaghe, alle polemiche su sovranisti ed europeisti. Possiamo farlo, perché conosciamo e riconosciamo come nostri fratelli e sorelle gli sfruttati di tutti i Paesi dell’Unione e i migranti perseguitati e scacciati; consideriamo invece nemici gli sfruttatori di tutti i Paesi.

*Documento ricevuto in redazione il 25 febbraio 2019.

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