L’UCRAINA SARÀ IL VIETNAM DELL’UE. E LA “SINISTRA” TACE da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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L’UCRAINA SARÀ IL VIETNAM DELL’UE. E LA “SINISTRA” TACE da IL FATTO

L’Ucraina sarà il Vietnam dell’Ue. E la ‘sinistra’ tace

ELENA BASILE  21 LUGLIO 2023

Pensavamo che le dichiarazioni del ministro degli Esteri ucraino Kuleba a La7 risentissero del nazionalismo di un Paese in guerra e di un contesto peculiare: la storia dell’Ucraina, Paese di fragilissima democrazia dominato da oligarchi e ricattato dalla destra radicale.

Ci sbagliavamo. Il 4 luglio su Repubblica – giornale che divoravo a 16 anni e che era, con gli articoli di Giorgio Bocca e di tanta parte dell’intellighenzia di sinistra, un punto di riferimento per l’opposizione al malgoverno democristiano e a un atlantismo guerrafondaio e menzognero – appare l’intervista a James Cleverly, ministro degli Esteri britannico. Abbiamo una conferma imbarazzante. Il Paese culla della civiltà liberale, il Paese di Locke e dello stato di diritto dichiara che non c’è possibilità di mediazione. La pace ci sarà solo con la vittoria militare sul campo. La Russia, una potenza nucleare, deve essere sconfitta.

Naturalmente il giornalista del quotidiano diretto da Maurizio Molinari – faro del centro sinistra e dei militanti del Pd, che vedono nei democratici statunitensi, nella dinastia dei Clinton piuttosto che in quella dei Kennedy, i padri spirituali – non si scandalizza, non oppone alcun ragionamento che possa contrastare gli assunti fideistici del ministro britannico. Lo stesso giorno ho rivisto Nato il 4 di luglio, il film di Oliver Stone che risale al 1989. Racconta la vita di un ragazzino di 18 anni che si inginocchia davanti al crocifisso per far tacere i suoi dubbi, lascia la ragazza che ama e parte per il Vietnam, perché la Patria chiama e il pericolo comunista è alle porte. È incoraggiato persino dalla madre, fiera del suo ragazzo che difende la libera America dai criminali “gialli”. Il ragazzino vedrà l’orrore, il massacro di donne e bambini vietnamiti, tornerà su una sedia a rotelle, paralizzato dalla vita in giù. È ormai un disperato rabbioso che ancora difende il suo sacrificio e la guerra, le sue medaglie al valore. Diventa presto un peso per la famiglia. Dopo aver toccato il fondo con altri reduci in Messico, tra alcol e prostitute, tornerà negli Usa dove le rivolte giovanili contro la “sporca guerra” dominano l’attualità. Gradualmente prenderà coscienza della sua storia esistenziale e ne farà una battaglia civile. Il film è ispirato alla figura di Ron Kovic, reduce dal Vietnam e attivista contro la guerra.

È terribile come la storia si ripeta nell’indifferenza della maggioranza. Al pericolo “comunista e giallo” oggi l’Occidente sostituisce la minaccia delle dittature, alla guerra per la libertà contro l’Unione Sovietica quella per la libera Europa contro l’invasione russa.

Non fraintendete. Sappiamo tutti che c’è stata un’invasione da parte di Mosca di uno Stato sovrano. Conosciamo tuttavia le cause e le responsabilità di questa guerra che sono perlomeno condivise tra Nato e Russia. La propaganda è uguale a quella che imperversava negli anni Settanta per giustificare la guerra in Vietnam. La differenza è che allora morivano i soldati americani, oggi soltanto gli ucraini. Altra importante distinzione: allora l’opinione pubblica non era addormentata, gran parte dell’intellighenzia e della stampa riformista era contro la guerra. E il dissenso non era criminalizzato.

Credete che tra vent’anni i libri di storia racconteranno un’Ucraina differente? Avremo un altro Oliver Stone che renderà giustizia ai diciottenni ucraini (e russi) mandati al macello da classi dirigenti senza scrupoli e non in grado di elaborare una strategia lungimirante per la difesa degli interessi dell’Europa in una regione stabilizzata e in pace con Mosca?

Oggi è lecito nutrire qualche dubbio. L’intervista a un ministro appartenente a un governo di destra in un Paese che con la Brexit ha rinnegato i valori europei – pubblicata su un quotidiano mainstream e in fondo condivisa dal Pd, partito dell’opposizione “riformista” come dal presidente del Consiglio di estrema destra – ci fa temere che la società del pensiero unico stia preparando il terreno a un futuro orwelliano. Esisteranno ricostruzioni storiche obiettive? Esisterà una cultura impegnata a denunciare i crimini della politica?

La Francia brucia. All’odio delle periferie e degli esclusi risponde la repressione delle forze di polizia, sostenute dalla maggioranza benpensante e non più silenziosa. Alla colletta dei poveri per il diciassettenne di colore ucciso si oppone quella con mezzi maggiori a favore del poliziotto. La destra radicale in Europa è sdoganata e legittimata. La responsabilità non è soltanto dei moderati di destra alleati dei fascisti e dei neonazisti. È condivisa dal “riformismo” di sinistra che ha rinnegato i suoi valori e oggi sostiene riarmo, nazionalismo, imperialismo americano e atlantismo muscolare della Nato.

“Ricordi, Comandante?”. Tormenti, colpe e reati di guerra

IL NAPALM BRUCIA NEMICI E COMPAGNI – L’inferno in Vietnam: delitti, grida, raffiche di proiettili e bimbi in fuga

LORIANO MACCHIAVELLI  21 LUGLIO 2023

“Ricordi, Comandante?”

Sì, il Comandante ricorda, ma fa di tutto per dimenticare. Non sempre ci riesce. Accade quando si trova davanti al cavalletto, tavolozza e pennelli in mano e, prima di stendere il colore sulla tela, cerca nella memoria il soggetto del quadro. Non gliene mancano.

I bombardamenti dei B 52.

Il fuoco del napalm.

I corpi dei nemici bruciati.

I corpi dei compagni uccisi.

La piccola vietnamita che, nuda, corre urlando verso il fotografo… La strada dietro di lei si perde nella pianura. Davanti, accanto e dietro, altri quattro piccoli. Vestiti, questi. Urlano come lei e come lei fuggono.

“Mi sono chiesto da chi e da cosa fuggissero”.

“Te lo dico io, Comandante. Da una minaccia. La vedi su quella stessa strada, dietro di loro: quattro marines…”

No, sono cinque… Sei…

Sono sette marines, sono alti e armati.

Solo il più piccolo dei bambini è girato e li guarda: tenta di capire cosa gli faranno.

“Altri soggetti per i prossimi quadri, Comandante?”.

Sì: l’ultimo elicottero che lascia il Paese… Lui, il Comandante, non c’era a bordo. E neppure penzolava nel vuoto appeso a una scaletta. Poi?

Un villaggio bruciato.

Una foresta di alberi secchi, fantasmi su campi fatti gialli dal diserbante.

La ragazza dagli occhi di sogno.

Le grida disperate… Vorrebbe dipingere le grida che tante volte gli hanno spaccato il cervello. Passavano chiare fra raffiche di mitra e scoppi di bombe a mano. O di mine.

È così che si ferma a pensare. E ricorda, davanti al cavalletto. Ha chiaro il soggetto che dipingerà. Arrivano giorni, sempre più ravvicinati e sempre più nitidi, nei quali il passato entra, non gradito, nello studio. Soprattutto di notte e allora la tela resta bianca o diventa lo schermo dove scorrono immagini accumulate in anni di vite rubate.

La destra posata sulla gamba. La sinistra, inerte accanto allo sgabello, sfiora il pavimento.

Quanto dura? Saperlo…

Brandelli della sua vita… Brandelli della sua vita che passano, se ne vanno e il Comandante raccoglie il pennello dal pavimento.

Sì, qualcosa il comandante ricorda. Ma se si ferma a pensare, ricorda anche troppo ed è un cancro che lo rode. Per questo cerca di non farlo. Ma ci sono dei giorni nei quali non riesce a tenere il passato fuori dalla stanza dove dipinge. Succede soprattutto di notte e allora la tela resta tristemente bianca, sul cavalletto. E la mano è come morta, posata sulla gamba. Poi, quando tutto è passato e ritorna al presente, deve chinarsi e raccogliere il pennello caduto sul pavimento.

“Come si chiamava?”.

“Be’, aveva tanti nomi. In antico era il Tong King, poi i cinesi lo conquistarono e lo chiamarono il regno di Nam-Viet. Quando ci arrivò lui, con la Legione, si chiamava Tonkin. È sempre stata una terra di conquista: cinesi, giapponesi, portoghesi, olandesi, inglesi, francesi…”.

“No, no. Volevo sapere come si chiamava quella ragazza dagli occhi di sogno…”.

Quella ragazza!

Il Comandante guarda la tela ed ecco il suo viso. Potrebbe dipingerlo, tant’è chiara l’immagine. E ne sono passati di anni. Forse secoli, chissà. Quella ragazza. E fu proprio lui, il comandante, ad arrestarla. Lui stesso ordinò ai suoi di sfondare la porta e la vide, nella luce che entrava dalla porta scardinata, seduta sul pavimento, in un angolo della stanza.

Lo fissava con tanto odio che quello sguardo, lui, non l’ha mai dimenticato. Suo marito… Si chiamava Gui Ie. Suo marito progettava attentati e bisognava arrestarlo. Per forza.

“Suo marito non l’ha mai fatta divertire” dice il Comandante, “e io le spiegavo: ‘Dovresti assaggiare un bicchiere di whisky, piccola. Te lo farò assaggiare. Suo marito progettava attentati e bisognava arrestarlo. Per forza”.

“Potrei dipingerlo. Un giorno lo farò”.

La casa di Thi…

“Thi, ecco! Si chiamava Thi! Ho dipinto la sua casa…”.

La ricordava: semplice, pulita, essenziale.

“Era tutto bello, tutto pulito, tutto in ordine nella sua casa. Era bella la stanza degli sposi e lui, Gui ie, suo marito, si era messo nei guai. Con una ragazza così, poi. Ma cosa voleva di più? È finito nelle gabbie da tigre”

Le gabbie da tigre! Ci aveva rinchiuso anche Thi, la dolce.

“Vorrei dimenticarle”.

Gliele ricorda Thi. Ogni notte. Thi la delicata, Thi la tranquilla, Thi la rivoluzionaria… E la dolce Thi torna nello studio del Comandante per ricordargli…

“Un giorno dipingerò il ritorno dal Vietnam”.

“Non fu un ritorno, fu una fuga”.

Ricordi Comandante? L’ultimo militare lascia il Paese appeso a una fune e, mentre cerca scampo fra le nuvole, guarda giù.

Vede la terra bruciata dal suo napalm: sta tornando verde.

Vede gli alberi e i prati secchi per le tonnellate del suo diserbante: rifioriscono.

Vede fiumi avvelenati dalle sue bombe: i pesci tornano a nuotare.

Vede il villaggio di Son My e gli abitanti che i suoi hanno massacrato: dal mucchio accatastato, sollevano le braccia e lo maledicono.

Vede i villaggi bruciati dal fuoco appiccato dai suoi compagni di sventura: li stanno ricostruendo gli stessi che lo hanno cacciato. L’immagine di Thi si scioglie nel silenzio dello studio. Il Comandante guarda la tela bianca appena sporcata dei suoi ricordi, le mani posate sulle ginocchia. Il pennello sul pavimento.

“Non è una bella storia, Comandante”.

“È una bella storia. Anche Thi era bella. Molto”.

E lui era il Comandante.

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