LA NATO E L’UCRAINA IN UN VICOLO CIECO. MA TUTTO QUESTO GIORGIA NON LO SA da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
13379
post-template-default,single,single-post,postid-13379,single-format-standard,cookies-not-set,stockholm-core-2.4,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.6.1,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-7.1,vc_responsive

LA NATO E L’UCRAINA IN UN VICOLO CIECO. MA TUTTO QUESTO GIORGIA NON LO SA da IL FATTO

La Nato e l’Ucraina sono ormai in un vicolo cieco

PIERO BEVILACQUA  24 AGOSTO 2023

Non era necessaria la voce dal sen fuggita del capo di gabinetto del Segretario della Nato, Stian Jenssen, che ha prospettato la possibilità di cedere a Mosca parte dei territori già occupati, in cambio dell’ingresso nell’Alleanza, per comprendere quel che dovrebbe essere chiaro a tutti: la cosiddetta controffensiva ucraina è fallita. E questo non è l’unico degli obiettivi mancati dal progetto di guerra ideato dagli strateghi atlantici. La controffensiva ucraina non sfonda come è noto, perché i russi hanno eretto doppie e triple linee di difesa, scavato trincee, disseminato di mine migliaia di km di confine, si trovano nella posizione vantaggiosa di doversi difendere più che andare allo scoperto, conducono una logorante guerra di posizione con la potenza di una efficientissima artiglieria e con i mezzi militari di una industria bellica che è seconda solo a quella degli Usa. Sono gli ucraini che devono dare l’assalto e devono farlo con uomini in carne e ossa, i loro, non certo con gli uomini politici e i giornalisti che li incitano. E il numero crescente dei morti non li incoraggia. I russi non hanno commesso l’errore che paventavano tanti nostri analisti, o esperti di cose militari del rango di Beppe Severgnini o Gianni Riotta, di volere invadere l’Ucraina: Paese troppo grande, abitato da una popolazione nemica, che avrebbe dato vita a una logorante guerriglia. Hanno occupato territori abitati da popolazione amiche, da cui non temono nulla, dove potranno anche avviare la ricostruzione, trovandosi già in casa propria. Ma la novità ideale e politica più importante è il rovesciamento completo della narrazione sul conflitto. Nel corso di quest’anno il racconto dell’esercito russo che il 22 febbraio 2022 invade l’Ucraina si è trasformato nella guerra che tutto l’Occidente muove contro la Russia, per abbattere Putin, invadere e smembrare il Paese. Durante questa primavera, non si sa se con più arroganza o ingenuità, gli uomini della Nato e la stampa europea – al seguito come le masserizie dietro la fanteria – hanno apertamente prospettato la volontà di liquidare prima la Russia per poi fare i conti con la Cina. Gli inni alla vittoria su Mosca come obiettivo a portata di mano hanno non solo strappato il velo pubblicitario sul cosiddetto sostegno alla resistenza ucraina, ma hanno ricreato in Russia un sentimento che costituisce forse lo stampo antropologico più profondo del suo popolo: la paura dell’invasione del suo territorio. Non c’era propaganda più efficace per rendere granitico il consenso di Valdimir Putin. Un popolo che si sente minacciato, come lo fu dalle armate napoleoniche, così come dai carri armati di Hitler, si raccoglie dietro al suo capo, è pronto a combattere come pochi altri cittadini europei sarebbero disposti a fare.

Ma a oggi quasi tutti gli obiettivi degli Usa e della Nato appaiono clamorosamente mancati. L’economia russa doveva crollare in pochi mesi e il Fmi ha appena certificato che quest’anno crescerà dell’1,5%, più di quella della Germania e dell’Italia. È l’Europa, invece, a stare poco bene. Secondo dati del Financial Times le imprese europee hanno avuto 100 miliardi di soli danni diretti dalla guerra (European companies suffer €100 bn hit from Russia operations, F.T. 6.8).

Neppure negli Usa, che hanno lucrato dal conflitto (oltre al risultato strategico di aver separato l’Europa dalla Russia), le cose vanno benissimo. L’agenzia di rating Fitcht ha declassato sia pur di poco il dollaro, allarmata dall’enormità del debito americano e dalla prospettiva di recessione per il prossimo anno. Ma non è l’unica novità. Secondo un sondaggio della Cnn dei primi di agosto, il 55% dell’elettorato statunitense è contrario all’invio di altre armi in Ucraina. Un dato destinato a impennarsi quando gli americani conosceranno come stanno realmente le cose al fronte, e quando Trump ne farà un tema della sua campagna elettorale nel 2024.

Ebbene, se così stanno le cose dovrebbe apparire chiaro agli uomini dotati di ragione (benché la specie pare estinta presso il ceto politico Ue) che il tempo lavora contro le speranze degli ucraini. L’autunno è alle porte, e se è difficile attaccare oggi le postazioni russe, figuriamoci con i campi impantanati e disseminati di mine. In pochi mesi con le elezioni Usa del 2024, l’alleato americano potrebbe venir meno. Ma è soprattutto il gruppo dei Paesi fornitori di armi all’Ucraina che si troverà sempre più privo di motivazioni di fronte alle proprie opinioni pubbliche. Inviare ancora armi non solo appare sempre più inutile, visto lo stallo al fronte, la tenuta della Russia, i danni all’economia europea, la stanchezza degli americani, ma diventa evidente quel che è stato chiaro fin dal primo momento. Nuove armi vuol dire più soldati che debbono usarle e perciò l’inutile massacro della gioventù ucraina (e anche di quella russa) e la distruzione materiale di quel Paese. I danni incalcolabili al pianeta non li conta più nessuno, tantomeno i Verdi europei.

E invece questo sarebbe il momento, come esortava Marco Travaglio (Il Fatto, 17.8), di una iniziativa di pace. È urgente oggi perché è ormai possibile prevedere come andrà a finire. È necessario, perché inviare ancora armi all’Ucraina non equivale più ad avere a cuore le sorti di quel Paese, ma la sua distruzione. Le opinioni pubbliche non si possono ingannare più di tanto e chi si batte per la pace ha oggi moltissime più ragioni della Nato, finita in un vicolo cieco.

Meloni (ri)promette fedeltà a Zelensky. Ma teme i sondaggi

VIDEOMESSAGGI E MANOVRA – La premier: “Sostegno a Kiev finché Mosca non ritira le truppe”. Ma ha paura di scoprirsi a destra (Alemanno e Salvini) alle Europee

GIACOMO SALVINI   24 AGOSTO 2023

Mentre le intelligence di Stati Uniti e Gran Bretagna iniziano a esporre i primi dubbi sulla controffensiva dell’Ucraina nei confronti della Russia, non cambia la posizione del governo italiano: sostegno incondizionato a Kiev fino alla sconfitta di Mosca. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, lo ha spiegato ieri inviando un videomessaggio al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in occasione del vertice internazionale della Piattaforma Crimea: “Caro Volodymyr – ha detto la premier italiana – oggi siamo al vostro fianco, senza esitazioni. E siamo qui oggi per ribadire, con forza, che la Russia deve porre fine alla sua politica di occupazione e ritirare le sue truppe. Non ci stancheremo di lavorare per porre fine alla guerra e giungere a una pace giusta e duratura”. La premier ha anche fatto una ricostruzione dell’occupazione della Crimea del 2014, definita una “chiara violazione del diritto internazionale e un assaggio delle intenzioni aggressive russe su tutta l’Ucraina”: “Nel 2014 in Occidente non si era compreso appieno la portata di quanto stava accadendo o, forse, si era sperato che potesse fermarsi lì la pulsione imperialista di Mosca – ha concluso Meloni –­Abbiamo sbagliato, ed è doveroso riconoscerlo”.

Una posizione che nel governo viene anche allargata all’analisi sulla controffensiva di Kiev che, secondo i media americani e britannici, citando le fonti di intelligence dei rispettivi Paesi, non sta dando i risultati sperati e starebbe cambiando la prospettiva della Nato. La posizione di Roma però non è mutata, nonostante i primi dubbi dei partner occidentali: l’Italia sta con Kiev senza se e senza ma e lo farà fino alla fine, dice una fonte di Palazzo Chigi. La convinzione, spiega un esponente del ministero della Difesa che chiede l’anonimato, è che gli F-16 che arriveranno da Danimarca e Olanda potranno imporre una svolta nella guerra: non solo sul campo (d’altronde quegli aerei potrebbero entrare in funzione tra un anno), ma come effetto deterrente per far scendere la Russia a compromessi sulla pace.

Se la posizione del governo italiano non è cambiata, Meloni rischia di trovarsi in un cul de sac: sostenere Kiev e l’alleanza atlantica in maniera incondizionata potrebbe costarle caro a livello elettorale in vista delle elezioni europee. Il sostegno armato all’Ucraina, secondo i sondaggi, non è particolarmente popolare e la premier teme che da qui a giugno del prossimo anno alla sua destra si possano coalizzare delle forze – partiti o semplici gruppi organizzati – che vogliano puntare sulla fine della guerra in Ucraina per portare via consensi a Fratelli d’Italia. È il caso di Gianni Alemanno che, candidato o meno, da settimane sta raccogliendo una trentina di sigle in nome dello stop al sostegno armato a Kiev e al filoatlantismo del governo. Non è un caso, è la convinzione del ministro della Difesa Guido Crosetto, che sia stato proprio Alemanno ad attaccarlo sul caso del generale Vannacci: l’ex sindaco di Roma non vede di buon occhio le posizioni atlantiste di Crosetto. Alemanno, che in Fratelli d’Italia viene dipinto come “irrilevante”, però non è detto che si candidi alle elezioni europee: il timore, nel partito di Meloni, è che stia facendo il gioco di Salvini, da sempre piuttosto critico nei confronti di Kiev, portandogli consensi.

Così la premier cercherà di utilizzare il doppio registro che nel primo anno di governo le è stato funzionale: fare la leader atlantista all’estero ed evitare in Italia il tema della guerra, per non scontentare il suo elettorato. Non è stato un caso che Meloni a fine luglio non abbia pubblicato sui propri social nemmeno una foto con Joe Biden alla Casa Bianca, ma abbia deciso di pubblicare un video riassuntivo della missione a Washington. Meloni avrà anche un altro problema: da qui a un anno rischia di dover appoggiare un candidato repubblicano – da Donald Trump a Ron DeSantis – che vuole fermare il sostegno armato a Kiev. Di fronte a una campagna elettorale complicata, la premier avrà anche un’altra grana da affrontare: le spese per la Difesa. Il governo si è impegnato a rispettare il parametro del 2% sul Pil in sede Nato entro il 2027, ma questo significa fare investimenti già quest’anno in legge di Bilancio. Il governo aveva chiesto di scorporare le spese della Difesa dal Patto di Stabilità, ma la Commissione europea ha già fatto sapere che non sarà possibile. Il rischio, quindi, è che il ministero della Difesa debba fare nuovi investimenti già nella prossima manovra. Non una scelta popolare, alla vigilia delle Europee.

No Comments

Post a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.