Incendi. Il nostro dibattito
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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Incendi. Il nostro dibattito

Contrastare gli incendi, superare l’emergenza, gestire i boschi

di Giuseppe BARBERA e Donato LA MELA VECA, da “la Repubblica Palermo”, 23 agosto 2017

Anche questo è stato un anno terribile per le foreste siciliane. Sono già andati in fiamme più di 20.000 ettari, buona parte nelle aree protette e nei siti Natura 2000.

Le cause sono sicuramente da attribuire alla mano dell’uomo che per colpa o per dolo è sempre (al 99%, come dimostrano i dati statistici) responsabile dell’innesco. Diverse ragioni si sommano e le cronache lo confermano. La mafia dei pascoli, speculazioni edilizie e relative a contribuzioni pubbliche, pressioni e conflitti sociali, ecc. sono certamente tra queste. Ma non vanno sottovalutate quelle, cosiddette colpose, che derivano da negligenza, trascuratezza e che riguardano pratiche agricole inappropriate (bruciature delle stoppie, della sterpaglia o di residui vegetali …), distruzione di rifiuti, ecc. Come non vanno trascurati i roghi causati dai piromani per ragioni legate a emulazione, protagonismo, odio sociale. E’ chiaro che il contrasto a tutto questo è operazione fondamentale. Va sicuramente aumentato il controllo del territorio, repressa ogni azione isolata o organizzata, data certezza della pena. Così come possono risultare più efficaci nuovi sistemi di controllo e di sorveglianza con tecnologie avanzate.

Ma non è solo un problema di sicurezza, repressione, tecnologie.

Devono, infatti, essere considerate, con la dovuta attenzione, alcuni fattori predisponenti che l’emotività, la paura, la voglia di agire portano spesso in secondo piano.

Non si capisce, infatti, quello che sta succedendo se si trascurano le non più eccezionali ma ricorrenti, condizioni meteo come effetto dei cambiamenti climatici. Temperature molto elevate e siccità prolungate aumentano notevolmente il rischio d’incendio. Lo stesso succede per effetto dell’abbandono del territorio rurale. La crisi dell’agricoltura, la fuga dalle campagne nelle aree marginali e periurbane favorisce l’accumulo di grandi masse di combustibile non gestito che è facile preda delle fiamme. A tal proposito si consideri quanto sia aumentata la superficie forestale in evoluzione (praterie, garighe, macchia) anche in Sicilia su terreni ex agricoli. Apparentemente una buona notizia ma, in realtà, si tratta anche di diffusione non gestita di masse di vegetazione facilmente preda d’incendi.

La gestione delle aree forestali è operazione necessaria e indifferibile. Senza di essa non è possibile alcun contrasto agli incendi boschivi! Bisogna, con la selvicoltura, prendersi cura dei boschi. Ciò è possibile attraverso la redazione di piani di gestione forestale (totalmente assenti in Sicilia) che devono prevedere interventi che riguardano il razionale impiego della manodopera, tempi o modi d’intervento, valorizzazione economica delle produzioni legnose e non legnose, fornitura di servizi ecosistemici (ambientali e paesaggistici). La gestione forestale rende i boschi meno suscettibili agli incendi. Questi possono essere più facilmente contrastati e si favorisce una più rapida ed efficace ricostituzione della vegetazione. I boschi divengono più resilienti. Tutto ciò è possibile solo a partire dall’utilizzazione delle competenze professionali. E’ inaccettabile che oggi nessun laureato in scienze forestali e ambientali sia presente nell’organico dei vari enti preposti, in Sicilia, alla tutela, pianificazione e gestione forestale, attività di vigilanza e controllo.

In passato e fino a oggi, l’attenzione è stata principalmente indirizzata alla lotta e allo spegnimento, con costi elevatissimi e risultati insignificanti. Adesso bisogna programmare e attuare politiche coerenti che prevedano azioni di lunga durata mettendo al centro le azioni di pianificazione e gestione dei boschi. Non trascurando ovviamente gli interventi di avvistamento e spegnimento che vanno resi più efficaci soprattutto a partire da un’organizzazione dei piani d’intervento e delle risorse necessarie nei tempi utili per la prevenzione e la riduzione dei danni.

La ricerca scientifica a livello europeo con EFI (Istituto Forestale Europeo) e nazionale con SISEF (Società Italiana di Ecologia Forestale e Selvicoltura) ha già dato indicazioni chiare su come sviluppare una nuova politica forestale capace di rendere i boschi più resilienti agli incendi e ai cambiamenti climatici.

Giuseppe Barbera, Donato La Mela Veca, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, Università di Palermo

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27 agosto 2017

In merito all’articolo/intervento dei colleghi di Scienze Agrarie di Palermo  mi permetto di aggiungere le seguenti note critiche:

a) fermo restando che concordo pienamente sulla necessità di avere una gestione pianificata delle risorse forestali e stimando la competenza tecnica dei colleghi in materia , credo che venga sopravalutato il ruolo del Piano e della pianificazione territoriale nel contesto socio-economico e politico del territorio meridionale. Basti pensare a quello che ho seguito personalmente per anni : i piani di gestione idrogeologica basati su ottimi studi sul terreno che non hanno impedito o fermato gli effetti di molte alluvioni che si sono registrate in questi anni;

b) non possiamo risolvere un problema sociale con soluzioni tecnologiche, anche se la tecnologia può esserci di aiuto. Come ho dimostrato nell’esperienza del Parco Nazionale dell’Aspromonte, e come è avvenuto in tutti i parchi naturali che hanno adottato questo metodo, i contratti di responsabilità territoriale costituiscono uno strumento efficace per proteggere i territori dagli effetti degli incendi, grazie alla dissuasione ed al pronto intervento degli operatori.  Il perché questo metodo non sia stato adottato in massa trova spiegazione sia negli interessi “ombra” delle imprese che gestiscono elicotteri , sia in quello che disse il parlamento siciliano quando nel Luglio del 2003 si discusse proprio di questo metodo e il presidente del tempo affermò: e agli operai idraulico forestali che gli facciamo fare?

Grazie per l’attenzione.

Tonino Perna

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31 agosto 2017

L’analisi di Barbera e La Mela Veca e arricchita da Tonino Perna, risponde per grandi linee alla necessità di andare alle radici di un problema, ci sono altri punti di osservazione che rendono gli eventi più allarmanti.

Se una ricerca pubblicata da Springer titolata Green energy and black economy: mafia investments in the wind power sector in Italy (Energia verde ed economia nera: gli investimenti della mafia nell’eolico italiano) e Legambiente, su Ecomafie 2013, aggiunge Affari sporchi ed energia pulita non ci vuole molto per concludere che da quando il Mezzogiorno è entrato nell’orbita della Green Economy – in particolare Energie alternative e Gestione dei Rifiuti – alcuni interventi sono entrati in un circuito fuori controllo dei poteri istituzionali per diventare territori controllati dalle mafie.

Il vero problema non è la corretta gestione del patrimonio boschivo (l’esperienza di Tonino Perna nel Parco dell’Aspromonte è un percorso virtuoso che andrebbe adottato), quanto controllare una deriva pericolosa che è la gestione delle centrali, a partire dalla loro istituzione nel Parco del Pollino (Mercure) e nel Parco della Sila (Panettieri e Sorbo S. Basile), Cutro, Strongoli, Crotone, Rende e, in itinere, Parenti.

Aggiungerei che i poteri istituzionali (comuni, province, regioni, stato) sono oggettivamente complici di questa penetrazione mafiosa, per carenza di controlli, collusione, corruzione e lo stesso Parco della Sila brilla per la sua latitanza. Questo dovrebbe indurci a guardare il problema da un’altra prospettiva. A parte il vento che meriterebbe una trattazione separata, rimangono le biomasse che teoricamente sono compresa nel più vasto contesto della energia rinnovabile, cioè di quelle fonti di energia rinnovabile che fanno leva sulle forze della natura per produrre energia utile per l’uomo e l’ambiente. Non dipendono da “riserve” e si rinnovano ad ogni ciclo. Il problema è se questo principio vale per tutte le riserve? E qual è il turn over delle riserve considerate?

Prendiamo il caso Calabria:

Nel PSR Calabria è precisato che esistono già problemi di approvvigionamento per le centrali esistenti, eppure se ne autorizzano altre. Il fabbisogno totale è di 1,04 milioni circa di tonnellate di legno. Il peso vivo dei boschi in Calabria è di T 20.600.000 e la produttività, in condizioni ottimali, è del 5%/anno pari a T 1.030.0000 da cui può essere detratto il 30-40%, pari a T 412.000, per non mettere a rischio il patrimonio boschivo.

Ammesso che tutta la produzione di legno possa essere dirottata sulle centrali, mancherebbero all’appello 629 mila tonnellate. Dove reperirle? E qui entrano in scena gli incendi: un bosco incendiato non è più un bosco ma residui di legno bruciacchiato che si può rimuovere e avviarlo alle centrali. Altro che autocombustione e piromania dilagante! Qui l‘unica cosa dilagante è la criminalità organizzata che – come sempre – sa cogliere al volo tutte le opportunità. Se aggiungiamo che il reddito di una centrale è rappresentato per il 10-15% dal marcato e per il resto da incentivi e certificati verdi e che il legno combusto produce 8,5 µg I-TEQ/t di diossine e 85,4 mg/t di benzo(a)pirene, provate a immaginare il futuro.

Francesco Santopolo

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4 settembre 2017

L’imperversare degli incendi di questa estate in ogni angolo del territorio della Penisola  impone una iniziativa politica non più rinviabile. Abbiamo l’obbligo di ricordare che gli incendi non soltanto mandano in cenere, com’è accaduto quest’anno, centinaia di migliaia di ettari di bosco, distruggendo talora alberi secolari, uliveti, frutteti, macchia mediterranea , uccidendo  un numero non calcolabile di animali selvatici e spesso anche di allevamento. La distruzione non si limita a questo. Gli incendi bruciano anche il sottobosco e denudano la terra così che i terreni in pendio, alle prime piogge autunnali, vengono dilavate e perdono lo strato di humus che talora si era formato per processi secolari. Quando le piogge sono intense danno poi luogo a frane e smottamenti che producono nuovi e spesso  ingentissimi danni, perché travolgono abitati, aziende, campi. Alle rovine estive si aggiungono quelle invernali.

Ma non è tutto.

Le alture private dei boschi per anni non assolveranno il loro compito fondamentale quello di trattenere l’acqua piovane e delle nevi.I boschi sono infatti dei grandi serbatoi che trattengono l’acqua meteorica e la fanno percolare nel sottosuolo, dando vita alle sorgenti. Senza alberi e sottobosco l’acqua scende rovinosamente a valle e   viene perduta per l’agricoltura e gli altri usi civili. Dunque gli incendi sono fonte di danni multipli, un attentato gigantesco alla ricchezza presente e futura del Paese, di cui non si ha coscienza perché l’universale ignoranza identifica la ricchezza con ciò che è monetariamente misurabile: il PIL.

Ebbene, poiché sappiamo che una volta passata l’emergenza tutto tornerà come prima e l’anno prossimo ci ritroveremo  alle prese con gli stessi atti criminali, disponendo dei i soliti mezzi e con la consueta inadeguatezza, vogliamo avanzare delle proposte organizzative e legislative. Occorre fronteggiare con efficacia un fenomeno destinato a impoverire gravemente il nostro territorio in una fase storia in cui il riscaldamento climatico deve indurre tutti a ripensare il nostro rapporto con le risorse naturali sempre più scarse.

Chiediamo agli amici del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana e a tutti i gruppi parlamentari che hanno a cuore le sorti del Paese di  avviare in Parlamento una discussione per un DdL che contempli le proposte emerse in questo dibattito.

Piero Bevilacqua

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