IN PRESIDIO AL MINISTERO CONTRO LE RIFORME VALDITARA da IL MANIFESTO
In presidio al ministero contro le riforme Valditara
Roma «Chi taglia l’istruzione taglia il futuro»: questo il tema del sit in per denunciare i tagli che mettono in ginocchio scuola e università
Roberto Pietrobon 07/12/2024
Se si dovesse misurare il consenso del governo Meloni nelle scuole e nelle università italiane la premier avrebbe poco da rallegrarsi. Le misure che il ministro Valditara ha imposto alla scuola italiana hanno risvegliato, negli ultimi mesi, sia studenti e studentesse che il personale scolastico. I provvedimenti ideologici che hanno ridisegnato le linee guida per l’educazione civica, bocciate anche dal consiglio della pubblica istruzione ad agosto, hanno di fatto aperto il fronte di scontro con studenti e insegnanti già all’inizio del nuovo anno scolastico. Negli ultimi mesi collettivi e organizzazioni studentesche hanno riempito, per due appuntamenti nazionali, le piazze delle maggiori città italiane mentre il personale scolastico ha incrociato le braccia a metà ottobre per uno sciopero di categoria e contribuito alla buona riuscita di quello generale venerdì scorso.
Anche le forze di opposizione si stanno mobilitando: «Noi continuiamo a portare avanti nelle aule parlamentari la nostra battaglia contro Valditara e la sua contro riforma della scuola, “a pezzi” – dichiara la deputata di Avs Elisabetta Piccolotti – anche con emendamenti comuni delle opposizioni ma riteniamo serva una mobilitazione di piazza, per ribadire che, se la destra è maggioranza in parlamento, non lo è nel paese». Per questo oggi Avs ha organizzato un flash mob alle 15 davanti al ministero dell’Istruzione in Viale Trastevere a Roma.
«Chi taglia l’istruzione taglia il futuro»: con questo appello i rosso verdi hanno organizzato la piazza romana di oggi con lo scopo di denunciare i pesanti tagli che nella manovra finanziaria il governo Meloni ha deciso di portare a tutto il settore dell’istruzione pubblica. «Mentre con un emendamento Fratelli d’Italia propone di destinare altri 10 milioni di euro alle scuole private – denuncia Peppino Buondonno, responsabile nazionale scuola di Sinistra Italiana – l’Italia è tra gli ultimi paesi in Europa per numero di laureati. Crescono gli iscritti, direttamente dopo la maturità, alle università telematiche private che stanno diventando, in pratica, atenei per i poveri. Meloni e Valditara hanno deciso di tagliare nel prossimo anno scolastico circa 8 mila posti di lavoro, tra docenti e personale amministrativo, mentre ci sono 250 mila precari (su 1 milione di docenti) che non hanno concrete prospettive di stabilizzazione».
Gli aumenti promessi in questi giorni dal ministro, secondo gli esponenti di Avs, non serviranno nemmeno a indicizzarli al tasso di inflazione così da avere «insegnanti sempre più poveri e demotivati». Al presidio di viale Trastevere parteciperanno, oltre alle e ai deputati rosso verdi tra i quali il leader di Si Nicola Fratoianni, anche la segretaria nazionale della Flc Cgil Gianna Fracassi, la Uil scuola e Christian Raimo (ancora sospeso dall’insegnamento per le sue critiche al ministro leghista). Hanno aderito anche i ricercatori dell’ Adi, i Coordinamenti dei genitori e degli insegnanti democratici oltre che i Giovani europeisti verdi e l’Unione giovani di sinistra, che nel week end terrà a Roma il suo II congresso nazionale.
Social e adolescenza, un approccio psicologico
Saggi «La generazione ansiosa», il fortunato libro di Jonathan Haidt pubblicato da Rizzoli, che indaga l’eccessiva libertà d’azione nel mondo virtuale
Giacomo Agnoletti 07/12/2024
La tesi espressa dallo psicologo americano Jonathan Haidt nel suo fortunato La generazione ansiosa (Rizzoli, pp. 456, euro 22, traduzione di Lucilla Rodinò e Rosa Prencipe) appare tanto vicina al senso comune da non richiedere spiegazioni: Haidt sostiene che bambini e adolescenti, iperprotetti nel mondo reale, abbiano invece un’eccessiva libertà d’azione nel mondo virtuale (quale genitore sa davvero cosa guardano i propri figli sul cellulare?). Quindi, se andare a scuola a piedi è considerato pericoloso anche per un dodicenne, è invece normale lasciare che un bambino di dieci mesi familiarizzi col tablet, magari attraverso canali YouTube come Cocomelon.
COSÌ, ANNO DOPO ANNO, i modelli della cultura digitale soppiantano quelli della cultura familiare e locale. Ma poiché l’essere umano non è fatto per crescere fissando uno schermo, questa «infanzia fondata sul telefono» finisce per presentarci il conto (in Australia entrerà in vigore l’anno prossimo proprio una legge di divieto sull’uso dei social per i minori di 16 anni). I dati riportati da Haidt evidenziano un impressionante aumento delle malattie nervose fra i giovani rispetto al 2010. La depressione riguarderebbe addirittura oltre il 25% delle teenager americane, mentre i maschi sembrano soffrire maggiormente di altre patologie, non meno gravi (incapacità di relazionarsi col mondo reale, dipendenza da videogiochi e pornografia online).
I dati riguardano soprattutto gli Usa, ma c’è ragione di credere che anche in Europa le cose non siano troppo diverse. Tuttavia, alle argomentazioni del saggio possono essere mosse alcune obiezioni. Intanto, quelle evidenziate da Haidt sono prevalentemente correlazioni: è vero che il disagio sociale è cresciuto da quando gli smartphone hanno cominciato a rimpiazzare i vecchi telefoni cellulari, ma chi ci dice che non siano proprio i giovani depressi o ansiosi a fare un maggior uso della tecnologia? Haidt ha poi trascurato tutto quanto sta dietro il proliferare di app e telefonini: la tecnologia viene fruita all’interno di un sistema socioeconomico fondato sull’individualismo e l’autopromozione, che certo non giova alla salute mentale di bambini e famiglie.
Insomma, sarebbe persino troppo bello se il freudiano disagio nella civiltà fosse attribuibile esclusivamente ai telefoni cellulari.
La generazione ansiosa non andrebbe però affrontata con piglio razionalistico. Il testo, anche se ne avrebbe l’ambizione, non reggerebbe di fronte ai potenti colpi di una «lettura scientifica». Ma abbiamo proprio bisogno della costante benedizione della scienza, di questa sorta di divinità moderna e laica? Non possiamo considerare quello di Haidt come un saggio di costume, magari con qualche aspetto rilevante anche dal punto di vista letterario? In questa chiave, il libro assume tutta un’altra valenza, e può persino essere considerato uno straordinario esempio di paraletteratura americana di successo.
HAIDT RAGGIUNGE un’ampia fetta di pubblico perché esprime il disagio per il modello di sviluppo nel quale siamo imprigionati – anche se lo fa senza parlare mai di economia. Si rivolge all’individuo della strada, che percorre vie cittadine affollate di antenne e ripetitori. Magari le sue argomentazioni non saranno scientificamente dimostrabili, ma danno voce all’angoscia globale per un presente disumanizzante nel quale i «giovani sono meno capaci di qualsiasi altra generazione della storia di mettere radici in comunità del mondo reale». Come nel capitolo in cui riflette sulla diminuzione delle esperienze di spiritualità, silenzio, stupore di fronte alla natura, corporeità e condivisione, meditazione. Tutte cose che gli ex bambini e bambine delle generazioni precedenti alla Z (nati prima del 1995) hanno potuto conoscere attraverso un’«infanzia fondata sul gioco»: andando a scuola a piedi, apprendendo attraverso l’imitazione di persone del mondo reale, sperimentando giochi rischiosi. Senza una miriade di stimoli virtuali, ma con il pomeriggio a disposizione per annoiarsi e vagare per il quartiere.
Dietro il successo di Haidt c’è dunque un effetto-nostalgia buono per la Gen X o per i vituperati boomers? Forse non solo. Perché la tenacia e l’ottimismo che traspaiono dal testo – la parte IV contiene un elenco di azioni rivolte a genitori, scuole e governi per «riportare l’infanzia sulla terra» – configurano questo saggio come un appello e un programma affinché lo sviluppo tecnologico non pregiudichi la nostra umanità: insomma, come un raro atto di resistenza.
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