DAI TAGLI AL MODELLO AUTORITARIO, GLI ATENEI SONO UN LABORATORIO da IL MANIFESTO
Dai tagli al modello autoritario, gli atenei sono un laboratorio
Università L’aggressione all’università è coerente con la verticalizzazione del sistema istituzionale, la repressione del dissenso e la demolizione dei diritti sociali. Le mobilitazioni studentesche esprimono la consapevolezza del carattere collettivo e politico della cancellazione delle risorse e delle riforme in arrivo
Alessandra Algostino 20/12/2024
L’università è, come la scuola, «organo costituzionale» (Calamandrei): partecipa al disegno della democrazia; attaccare l’università contribuisce alla neutralizzazione della democrazia.
Attraverso l’università passa la promozione della cultura e della ricerca, garantita dalla Costituzione (articolo 9), come valore in sé e come elemento fondamentale nel percorso verso il «pieno sviluppo» e l’«effettiva partecipazione», di ciascuno e di tutti (articolo tre, comma 2). L’università, cioè, è strumento di emancipazione, personale e sociale.
L’università è luogo di costruzione del sapere critico e del pluralismo che assicurano vitalità alla democrazia; è «coscienza critica del potere» (Edward Said), in quanto esercita contro-potere e concorre alla limitazione del potere connaturata alla democrazia costituzionale.
La libertà della ricerca e dell’insegnamento e l’autonomia delle università (articolo 33 Costituzione) presidiano lo spazio libero del pensiero e sono pre-condizione di esistenza del carattere conflittuale della democrazia.
L‘aggressione all’università è coerente con la verticalizzazione del potere, la repressione del dissenso, la demolizione dei diritti sociali. È un processo – mi limito a citare le “riforme” Ruberti (legge n. 341 del 1990) e Gelmini (n. 240 del 2010) – segnato da aziendalizzazione, nel doppio senso di una università che si struttura come un’azienda (anche nel linguaggio: i crediti) e che ha come interlocutore privilegiato le aziende (con ripercussioni sulla declinazione degli insegnamenti e dei corsi di studio), e da una burocratizzazione e valutazione che mortificano, asfissiano e appiattiscono sull’esistente la ricerca e il confronto. Lo studio è confinato da steccati disciplinari che chiudono l’orizzonte aperto del pensiero; è un “prodotto” da sfornare in quantità prestabilite e in tempi rapidi, in un contesto dove gerarchie baronali e rapporti vassallatici sono tutt’altro che scomparsi.
I provvedimenti del governo Meloni accelerano la sterilizzazione del pensiero divergente che deve caratterizzare, in tutti campi, l’università e affinano il suo asservimento al servizio del potere, economico e politico.
Il pesante taglio dei finanziamenti (500 milioni) in una università già sotto finanziata (in rapporto al Pil l’Italia spende per studente lo 0,96% contro l’1,55% della media dei paesi Ocse), distrugge il futuro di lavoratori e lavoratrici precari (e dell’università, data l’insostituibilità della loro presenza per la ricerca come per la didattica), impedisce la ricerca di base e libera, induce aumenti delle tasse che violano il diritto allo studio di studentesse e studenti, svuota il senso dell’autonomia come indipendenza, priva tutti del ruolo che l’università esercita nella società.
Effetto collaterale, corroborato da misure in loro favore: la crescita delle università private telematiche; dopo la sanità, anche l’istruzione è terreno di conquista per il profitto privato.
La riforma Bernini in discussione (Atto senato 1240) moltiplica e frammenta le forme di precariato (assistenza alla ricerca junior e senior, contratto post-doc, professore aggiunto), prevedendo per i pochi sopravvissuti ai tagli un lungo percorso senza le tutele che rendono il lavoro, e la vita, degna.
L’università diviene sempre più elitaria, nell’accesso allo studio come istruzione (per tutti, la mancanza di alloggi per studenti) e nella possibilità di lavorare in università.
La guerra, quindi, come orizzonte politico ed economico, oltre all’appropriazione, in stile dual use, della ricerca, favorisce la stretta autoritaria e conservatrice; l’università che non si allinea, che diserta, finisce tra i nemici, da neutralizzare.
Alla neutralizzazione, oltre i profili citati (aziendalizzazione, burocratizzazione, precariato, definanziamento), concorrono espliciti interventi repressivi, come l’ingresso della polizia nelle università, la denigrazione degli studenti in mobilitazione (le acampade per la Palestina) e l’attacco a specifici insegnamenti (il corso sulle teorie queer).
Ancora. Il disegno di legge prevede che i servizi segreti (Dis, Aise e Aisi) potranno stipulare, in nome della sicurezza nazionale, convenzioni con le università, anche in deroga alle norme in materia di riservatezza. Cosa resta dell’università come spazio di libertà?
Le assemblee precarie nate in molte università e le mobilitazioni studentesche esprimono la consapevolezza del carattere collettivo e politico del taglio dei fondi e delle riforme in discussione e rappresentano con la loro esistenza un atto di insubordinazione rispetto all’individualismo dell’imprenditore di se stesso e alla competitività dell’accademia neoliberale.
Agitiamoci tutti, a partire da chi, come scrive, ha una posizione garantita. La libertà dell’università è libertà di tutti e per tutti; è ancora una volta questione di democrazia e di possibilità di cambiare l’esistente.
Gli «stati di agitazione dell’università»: i precari e la spinta all’alleanza
Torino, gli studenti e i ricercatori universitari bloccano l’entrata al Campus Universitario Einaudi per protesta contro la legge di bilancio – Tino Romano /Ansa
Agitare è bene Oggi a Roma a Testaccio (ore 11) e sit-in al ministero dell’università (ore 15): ricercatori precari, studenti, docenti, associazioni e sindacati Critiche alla ministra Bernini (“Nega l’evidenza dei tagli e delle riforme”). “Ci vogliono convergenza massima, azioni significative”. L’appello contro i rischi del ridimensionamento della ricerca in Italia della Rete delle 122 società scientifiche
Roberto Ciccarelli 20/12/2024
Gli «stati di agitazione delle università» che si terranno stamattina al dipartimento di Architettura di Roma Tre al Mattatoio di Testaccio (dalle 11), e in un presidio alle 15 al ministero a Trastevere, sono il risvolto di quello che non è stato detto, o è stato detto tra le righe, ieri alla Camera dove oggi continuano gli «Stati generali dell’università» organizzati dai rettori della Crui. Nell’assemblea si parlerà infatti dei tagli aggiuntivi previsti dalla legge di bilancio in votazione stasera dalla Camera (702 milioni di euro in tre anni), del DdL Bernini che aumenterà il precariato nella ricerca, della paventata riforma peggiorativa degli attuali assetti che una commissione ministeriale sta preparando, del boom delle università telematiche.
L’«AGITAZIONE» di cui parla il bel titolo dell’iniziativa di oggi rispecchia la rapida fioritura di «assemblee precarie» sbocciate negli ultimi tempi in molti atenei: da Torino a Milano, da Roma a Napoli. Si sono formati coordinamenti interuniversitari a Palermo o a Padova. In una dinamica aperta e in evoluzione si tessono reti tra associazioni universitarie (Andu, Rete 29 aprile, Adi), dei precari della ricerca (Restrike, 90%, Arted), studenti (Udu, Link, primavera degli studenti) e sindacati (Flc Cgil, Clap).
VA EVIDENZIATA la novità, per molti versi significativa, della nuova mobilitazione. È impressionante leggere l’elenco delle 122 società scientifiche accademiche che hanno firmato un drammatico documento sui «rischi di ridimensionamento della ricerca» pubblicata a ottobre sul sito «Scienza in rete». Parliamo di una parte rappresentativa della ricerca italiana che, a partire dai suoi vertici, sta provando a varcare i confini di un mondo gerarchico. L’appello al governo contro i tagli è rimasto finora inascoltato.
NELLE ASSEMBLEE e nei sit-in che si continua a sentire una tensione anti-corporativa e una spinta verso la costruzione di «alleanze» e convergenze dentro e fuori il mondo universitario. L’eco di questo discorso circola nella società italiana: dalla Gkn agli scioperi generali o la manifestazione contro il «Ddl Sicurezza» a Roma, per esempio.
«CHIEDERE ALLEANZE, o almeno rivendicarle, significa riconoscere che questa lotta riguarda questioni che travalicano l’università e interroga la società, i saperi, il mondo in uno stato di guerra – afferma Carlotta Cossutta, ricercatrice precaria alla Statale di Milano – Parliamo del lavoro che facciamo: è femminilizzato, non ha tutele come altrove, non ha orari né riconosce il diritto allo sciopero, richiede passione ma espone ai rischi di una contrattazione individuale. La ricerca delle alleanze è un bisogno e riconosce il mutuo sapere che si produce in luoghi diversi. Lo sostiene il movimento femminista Non Una di Meno che sul diritto allo sciopero ha fatto un grosso lavoro. Una simile esigenza mi sembra emerga anche nelle società scientifiche. In nuce c’è un elemento di autocritica per avere agito in questi anni con logiche corporative».
LA MOBILITAZIONE contro i tagli e l’austerità in arrivo ha coinvolto non pochi rettori. Ieri la ministra Bernini ha attaccato Riccardo Zucchi, rettore a Pisa, perché in un incontro a Siena ha detto che si sarebbe incatenato per protesta, ma ha anche auspicato un largo movimento. «La ministra continua a negare l’evidenza – sostiene Francesco Raparelli, ricercatore precario all’università di Salerno e di Roma Tre – 1,3 miliardi di tagli in 4 anni. Peggio di lei, aveva fatto solo Gelmini. Allora, i precari erano 12 mila, oggi sono quasi 40 mila. Pesano frammentazione e rapporti di lavoro segnati dalla dipendenza personale. Ci vogliono convergenza massima e azioni forti, ma anche scioperi coordinati degli esami, come accaduto in Inghilterra. Augurandoci di rompere il silenzio assordante delle opposizioni: l’università non è una emergenza di serie B».
«LA MINISTRA BERNINI continua a fare quello che ha fatto in questi mesi, ma le cose stanno in un altro modo – osserva Luca Scacchi, responsabile della docenza universitaria per la Flc Cgil – Certo, ci può essere una precarietà peggiore di quella di oggi: è quella del suo DdL. Gli assegni di ricerca non solo li conferma con gli «assistenti», prevede anche gli «assistenti junior», introduce i “postdoc” con compiti didattici aggiuntivi». I tagli vanno fermati. Per i precari ci devono esser percorsi di stabilizzazione certi. Sappiamo che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Non lo diremo e basta. Cercheremo di sviluppare proteste e mobilitazioni».
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