Piano Renzo, piano!
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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Piano Renzo, piano!

di Carmelo ALBANESE

La cosa che proprio non riesco a capire del crollo del ponte Morandi a Genova, è il protagonismo post tragedia dell’architetto Renzo Piano. Non capisco da dove provenga la sua calma serafica che a volte, nelle numerose (direi anzi eccessive e altrettanto incomprensibili) interviste a lui rivolte da un giornalismo bizzarro e incredibilmente allineato, sconfina persino in un ghigno inquietante del tutto fuori luogo, che non potete non aver notato.
Da dove arriva questa sicumera che gli consente di bruciare le tappe dell’umano? Di saltare d’un sol colpo il tempo del dolore, del lutto, della verità giudiziaria, dell’analisi delle responsabilità politiche, portando a tutti in dote un progetto alternativo salvifico che con grande magnanimità ha pensato per la sua città, per riscattarla dalla tragedia?

Lui, il grande architetto di fama mondiale, si dice non abbia dimenticato la sua città d’origine e ora, nel momento del bisogno, ecco che arriva per concederle il lustro di un suo progetto. Ma siamo sicuri che quel “momento del bisogno” di questo aveva bisogno? Lui sembra esserne certo, a giudicare dal tono della sua voce e dall’insistenza con la quale propone il suo progetto. Ora viene da chiedersi, ma questa mentalità da giocatore d’azzardo che rialza la posta alla roulette dopo un’immensa perdita, in che misura dovrebbe risultare rassicurante? E ancora, questo progetto, da dove esce fuori? Quando lo ha pensato? Subito dopo la tragedia è corso al tavolo da disegno per prepararlo in cinque giorni? Sarebbe davvero inquietante. Oppure lo aveva già pronto da tempo con tanto di realizzazione plastica? Il fatto di aver presentato il plastico del progetto solo qualche giorno fa, sempre tra i clamori mediatici, lascerebbe propendere per questa seconda ipotesi. Anche in questo caso però, ci troveremmo di fronte a una condizione inquietante. Se lo aveva già pronto vuol dire che qualcuno glielo aveva commissionato e che c’era intorno al destino del ponte Morandi una consapevolezza di sciagura imminente molto più diffusa e ampia di come c’è stata raccontata.

Insomma delle due l’una.

Neppure si comprende facilmente chi glielo abbia chiesto e se sia normale che un’opera così rilevante sia commissionata e presentata senza che vi sia stata una gara tra diversi professionisti e diversi progetti da valutare con calma, discrezione, obiettività e senza sproporzioni di visibilità per l’uno o per l’altro contendente che possano alterare l’imparzialità della scelta.

Dramma e progetto lenitivo del dramma che si susseguono a una velocità supersonica che poco s’addice a una persona con un cognome così. Un nome e un cognome che gli andrebbero ripetuti a mo’ di consiglio nei momenti come questo in cui la troppa notorietà conseguita rischia di alterare la sua percezione di se stesso. Piano Renzo, Piano.

Eppure nessuno sembra far caso all’inadeguatezza, direi quasi all’immoralità di voler chiudere lo spazio del dolore per una tragedia con lo spazio architettonico di un progetto che dovrebbe rappresentarne il riscatto. Il tutto nascosto da due grandi filoni dell’epica contemporanea. La fama dell’archi-star e la capacità della scienza di vincere anche le battaglie dove ha drammaticamente perso offrendo subito a se stessa e ai suoi fedeli un’occasione di pronto riscatto: lo rifaremo subito e più grande di prima.

E il plastico dell’architetto-salvatore va proprio in questa direzione e sembra in tutto e per tutto una di quelle piste che si regalano ai bambini a Natale per far correre le automobiline, pieno di curve che si intersecano tra loro, di giri e contro giri a ghirigoro e a cento metri d’altezza, sempre sopra le case. Appunto: più grande e più sciocco di prima. Pensato dall’architetto con una sicurezza che sconfina facilmente nell’arroganza e che è tutta racchiusa in quel ghigno. La stessa per la quale il Titanic non aveva bisogno di scialuppe di salvataggio.

Il tempo in cui Renzo Piano fu giovane era il tempo in cui si gridava “saremo la risata che vi seppellirà”, c’è solo da sperare che l’architetto non abbia frainteso il senso di quello slogan.

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