POVERTÀ, CLIMA E GOVERNANCE GLOBALE: TRE SPINE PER IL G20 da IL MANIFESTO
Povertà, clima e governance globale: tre spine per il G20
Rio de Janeiro Lula: «Il mondo sta peggio». E allora via all’Alleanza per sradicare la fame entro il 2030. Al summit brasiliano anche la proposta di una tassa del 2% sui patrimoni dei circa 3mila miliardari globali per ridurre le disuguaglianze. Un impegno «non più rinviabile» secondo Oxfam
Claudia Fanti 19/11/2024
Dall’emergenza climatica alle guerre, fino alle crescenti disuguaglianze sociali, «il mondo sta peggio», ha dichiarato Lula aprendo ieri il 19mo vertice del G20, con cui oggi si concluderà la presidenza di turno del Brasile (poi toccherà al Sudafrica).
Eppure è un vertice con grandi ambizioni quello che riunisce a Rio de Janeiro i leader del Nord e del Sud globale, del G7 e dei Brics – che insieme rappresentano l’85% del Pil mondiale e l’80% delle emissioni climalteranti -, chiamati a confrontarsi sulle tre priorità indicate dal governo brasiliano: lotta alla povertà, transizione energetica e sviluppo sostenibile, riforma delle istituzioni di governance globale.
TRE TEMI FORTI su cui si sono concentrati anche i lavori del G20 Social che, dal 14 al 16 novembre, ha «finalmente portato la voce del popolo all’interno del G20, secondo il principio che una politica pubblica efficiente non è possibile senza partecipazione sociale», come ha evidenziato il consigliere della segreteria generale della presidenza Gustavo Westmann.
C’è però anche un’altra proposta a cui Lula tiene particolarmente: quella di una tassazione del 2% sui patrimoni dei circa 3mila miliardari globali, la quale garantirebbe un gettito annuale di 250 miliardi di dollari da impiegare proprio a favore della lotta contro cambiamento climatico e disuguaglianze. Un impegno «non più rinviabile» secondo Oxfam, che, proprio in occasione dell’apertura del vertice, ha rivolto un appello per un piano d’azione coordinato, evidenziando non solo come l’1% più ricco nei paesi del G20 detenga il 31% della ricchezza complessiva, contro appena il 5% della metà più povera, ma anche come la ricchezza di quell’1% sia cresciuta del 150% in termini reali negli ultimi due decenni. Tuttavia, se l’impegno assunto finora dai paesi del G20, nella dichiarazione del luglio scorso, è stato quello di cooperare «per garantire che gli individui con un patrimonio netto molto elevato siano effettivamente tassati», è difficile prevedere che si farà un passo ulteriore in questa direzione.
È stata invece lanciata ufficialmente l’Alleanza globale contro la fame e la povertà – con sede presso la Fao a Roma – che avrà come missione quella di sradicare la fame entro il 2030, ridurre le disuguaglianze e cooperare a livello globale a favore di uno sviluppo sostenibile.
A FARNE PARTE, DOPO LA FIRMA di una Dichiarazione di impegno con tanto di definizione di obiettivi concreti, sono già 147 membri fondatori, tra cui 81 paesi (c’è anche l’Italia), insieme all’Unione europea e all’Unione africana, 24 organizzazioni internazionali, 9 istituzioni finanziarie e 31 ong ed entità filantropiche.
Fortemente voluta da Lula, l’Alleanza «è ora pronta a costruire un futuro libero dalla fame e dalla povertà estrema», ha dichiarato il ministro dello Sviluppo sociale Wellington Dias, evidenziando come si tratti non dell’ennesimo forum di discussione, ma di «un meccanismo pratico» rivolto a fornire appoggio tecnico e finanziario per l’elaborazione e l’applicazione di politiche pubbliche, «raggiungendo coloro che ne hanno più bisogno».
Ma se il Brasile si è impegnato a coprire metà delle spese di manutenzione della nuova Alleanza globale, resta da vedere – e sono in molti a esprimere scetticismo al riguardo – quante risorse saranno effettivamente destinate all’iniziativa dai paesi industrializzati, ben più interessati al momento a investire sulle politiche di sicurezza.
NEPPURE È MANCATO l’impegno del Brasile, che ospiterà a novembre del 2025 la Cop30, a creare sinergie tra i due eventi, attraverso la creazione di una task force per la mobilitazione globale contro il cambiamento climatico finalizzata a promuovere investimenti nella transizione verde. Nulla indica però che, su questo terreno, i risultati del G20 possano superare le enormi difficoltà finora incontrate dalla Cop29 a Baku. Senza contare che le contraddizioni ambientali del governo Lula – a cominciare dall’insistenza sulla necessità di sfruttare il petrolio a Foz do Amazonas – hanno inevitabilmente sottratto credibilità al tentativo del Brasile di porsi all’avanguardia nella lotta al cambiamento
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