CENTRISTI ANONIMI. SI ALLUNGA LA CODA DI FEDERATORI: SARÀ SPECIALITÀ OLIMPICA da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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CENTRISTI ANONIMI. SI ALLUNGA LA CODA DI FEDERATORI: SARÀ SPECIALITÀ OLIMPICA da IL FATTO

Centristi anonimi. Si allunga la coda di federatori: sarà specialità olimpica

alessandro robecchi  18 Dicembre 2024

Chiedo scusa se parlo di una cosa che non c’è, ma cercate di capire, il mondo è pieno di cose che non esistono, tipo gli unicorni, le fate e il centro. La differenza è che nessuno sano di mente si sogna di federare gli unicorni, mentre invece per federare il centro, in Italia, c’è una coda lunga tipo Caritas, e per ora il lavoro degli aspiranti federatori del centro è attaccare gli altri federatori del centro dicendo che non federerebbero il centro bene quanto loro. Non sfugga l’importanza del tema, perché tra federatori in pectore, comprese le famiglie, figli, parenti stretti, parliamo di un centinaio di persone, tutte di buon reddito e discreta cultura generale. Si aggiungano una cinquantina di elettori, divisi in piccole falangi, sette di iniziati e tifosi aggressivi, che si insultano tra loro sui social. Va detto che il fallimento è un’ottima molla motivazionale: più fallisci e più ci vuoi riprovare.
L’ultimo tentativo di federare il centro si è visto alle Europee, dove i centristi si presentavano sfederati e li hanno raccolti il giorno dopo, svenuti. E al di là dei confini della patria, il centro non è che va proprio di moda, diciamolo, vedi l’eroe europeo del centro Macron. Fanno parte degli aspiranti federatori del centro anche persone che non hanno detto esplicitamente di voler federare il centro, come Ernesto Maria Ruffini, capo dell’Agenzia delle Entrate, che se ne va dall’Agenzia delle Entrate per cercare di federare il centro, dal lato cattolico, su cui incombe Romano Prodi, decano dei federatori. Manco a dirlo, tutti gli altri aspiranti federatori del centro hanno reagito al volo: Ruffini non va bene, si metta in coda. Altra candidatura, quella di Beppe Sala, sindaco di Milano, attualmente preoccupato di una legge al voto in Senato che permette alla sua Milano di ristrutturare un pollaio e tirar su un grattacielo senza dirlo a nessuno, che è un grande esempio di efficienza e modernità. Ora non ha tempo, dice, ma appena si libera… Pare una minaccia.

Le new entry devono fare i conti con i federatori del centro laureati, i vecchi del mestiere, cioè Renzi e Calenda, e vabbè, gente che non federerebbe nessuno nemmeno per sbaglio. S’avanza invece la componente ultraliberista, una setta di adoratori di Milei capitanata da Marattin, un ex renziano del settimo giorno che l’ottavo giorno ha sbroccato e si è portato via una decina di indigeni del centro, probabilmente in costume tradizionale.
Tutti questi, con qualche migliaio di sfumature, distinguo e nuance, si vede che mangiano pesante, perché poi sognano una forza politica il cui fine ultimo sarebbe quello di bilanciare il supposto bolscevismo del Pd di Elly Schlein. Dunque – siamo in pieno fantasy – si sbattono come pazzi per una cosa che non c’è, e che serve a combattere un’altra cosa che non c’è: l’eccesso di sinistra nel Paese. In più, a parte genericissimi richiami alla democrazia (“liberale”, mi raccomando), nessuno dice cosa dovrebbe fare, ’sto centro, probabilmente uno Stato cuscinetto tra i patrioti pasticcioni e la sinistra “bolscevica” di Elly. La scommessa è sempre quella: andare a stanare gli italiani che non votano, e che per qualche incomprensibile motivo dovrebbero svegliarsi dal torpore come la bella addormentata a un bacio di Cottarelli, o di Beppe Sala, o del duo Renzi-Calenda, o di Ruffini, o di altri federatori che si faranno avanti nei prossimi mesi, tutti preoccupati e in gramaglie perché secondo loro c’è troppa sinistra, signora mia, ci vuole un po’ di centro.

Ma Elly Schlein si è accorta della sinistra militare di Gentiloni?

Salvatore Cannavò  18 Dicembre 2024

Immaginiamo un leader politico che dicesse che il proprio paese deve essere “più sovrano”, che ha davanti “uno spazio geopolitico” rilevante da colmare e quindi deve comportarsi come una “grande potenza geopolitica”. E che per adottare questa posizione deve ricorrere all’arma più naturale, la difesa, al punto da emettere dei titoli sovrani ad hoc, in grado di garantire un aumento considerevole delle spese per la difesa.
Una simile posizione sarebbe evidentemente una posizione di destra, di una destra affine a quella degli anni più bui visti in Europa che simile invece a una moderna sinistra. Eppure queste parole sono quelle pronunciate da Paolo Gentiloni, ex Commissario europeo oggi, come dice lui, “libero cittadino” in una lunga, lunghissima, troppo lunga intervista al Foglio. Parole riferite all’Europa, non a un singolo paese, e che, proprio per questo, ricordano lo slogan di una destra contundente che urlava “Europa sovrana” in analogia alla tesi del “né di destra, né di sinistra”. Gentiloni, esponente di una sinistra colta e borghese, non si è certo convertito alla destra di popolo e il suo ragionamento costituisce un atto d’amore sterminato per l’Europa che si sta preparando nei circoli che contano del Vecchio continente, che carambola nelle sempre più diffuse dichiarazioni o nei corposi documenti di Mario Draghi e soprattutto nelle scelte politiche concrete che va adottando la presidente Ursula von der Leyen. La linea si chiarisce e si conferma ogni giorno più chiara: c’è nel mondo una opportunità “geopolitica” per l’Europa – ne parla anche Draghi quando chiede di raccogliere la sfida per la “competitività” – che deve saperla cogliere mettendo insieme la moneta e la spada: “Ci si rafforza con il commercio, ci si protegge con la difesa” spiega Gentiloni. Se quindi Eurobond saranno dovranno essere emessi per le spese militari. Basta con l’ombrello Nato, ora c’è l’ombrello Ue. Gli Eurobond, cioè il Next Generation Eu, sperimentati per urgenti politiche sociali in seguito al Covid, si vedono destinare alle più grigie spese militari: misera fine.

Da questa lunga, lunghissima, troppo lunga intervista a un quotidiano che si picca di voler riportare il Pd sul sentiero dei giusti, cioè su politiche di riforma liberale e liberista e di atlantismo a tutti i costi anche quando oltre Atlantico regna la sordità, si ricava che quella posizione è l’unica a poter conferire “credibilità” a un futuro centrosinistra che si voglia candidare al governo del Paese. E Gentiloni, che ha il pregio dell’onestà e della chiarezza – come in fondo Enrico Letta che alla festa di Atreju, in casa meloniana, rilancia l’utilizzo del Mes per la Difesa europea – indica l’ossessione militare come una necessità per tutto il Pd che infatti non proferisce verbo e non muove foglia per prendere le distanze da simili affermazioni (nemmeno con la sua pseudo-sinistra interna). Dichiarazioni completate dall’elogio esplicito al governo Meloni per la linea assunta sull’Ucraina e per l’invito al Pd a tenersi alla larga dal referendum sul Jobs Act che sarebbe “lunare” cancellare.
Gentiloni non è un passante qualsiasi: negli ambienti più ristretti, focalizzati sugli assetti di potere, sarebbe un candidato premier più adeguato di Schlein e a questo, in fondo, serve l’ipotesi di un nuovo “centro” federato: dotare la futura alleanza di una gamba moderata abbastanza forte da condizionare, e magari sostituire, l’attuale segretaria del Pd. Si sottovaluta però che se il profilo “credibile” della sinistra fosse quello di un’Europa “sovrana e militare”, il termine “sinistra” costituirebbe un abuso. Chissà se Elly Schlein ha letto l’intervista. E chissà cosa ne pensa.

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