UN ORDINE MULTIPOLARE CONTRO LAGIUSTIZIA DEI VINCITORI da IL MANIFESTO
Un ordine multipolare contro la giustizia dei vincitori
I mandati d’arresto dell’Aja I doppi standard sono stati una costante nella giurisdizione penale internazionale. Gli spiragli aperti dalle due corti sulla Palestina lasciano invece intravedere la possibilità che le norme e le sanzioni non si applichino solo agli «altri»
Luca Baccelli 24/11/2024
«La Corte dell’Aja ha presentato oggi ulteriori prove dei doppi standard e dell’ipocrisia della comunità internazionale e delle istituzioni delle Nazioni unite». Sono parole di Avigdor Lieberman, ex ministro degli esteri di Israele, e in effetti i doppi standard sono stati una costante nella giurisdizione penale internazionale.
Fin dalla sua preistoria: dopo la Grande guerra il trattato di Versailles prevedeva che l’ex Kaiser venisse processato da un tribunale delle sole potenze vincitrici. Dopo la Seconda guerra mondiale i tribunali di Norimberga e Tokyo hanno violato i principi di terzietà e irretroattività per giudicare gli sconfitti. E anche i tribunali internazionali ad hoc istituiti dopo la Guerra fredda non hanno superato il paradigma della «giustizia dei vincitori» denunciato da Danilo Zolo.
LA STESSA Corte penale internazionale (Cpi) non è stata immune dai doppi standard. Per rendersene conto bastava scorrere sul suo sito web le immagini degli inquisiti e dei condannati: nessuno era bianco. Poi c’è stata l’invasione russa dell’Ucraina e il 17 marzo 2023 la Cpi ha emesso un mandato di arresto per Vladimir Putin e Maria Lvova-Belova, con l’entusiastica approvazione dei governi occidentali.
Per la Palestina, invece, i procuratori hanno temporeggiato dal 2009 al 2015 e lo stesso Karim Khan dopo il 7 ottobre 2023 ha usato espressioni perentorie per Hamas e dubitative per Israele. Ma il 20 maggio è arrivata la richiesta di arresto per i leader delle due parti e finalmente il mandato, ormai inutile per Haniyeh e Sinwar.
Le immediate conseguenze giuridiche di questo atto sono state ben evidenziate sul manifesto da Chantal Meloni. Allargando la prospettiva, c’è da chiedersi se l’incriminazione di Netanyhau e Gallant, in parallelo con il procedimento della Corte internazionale di giustizia e le risoluzioni delle Nazioni unite, siano il segno che qualcosa sta cambiando. Certo non siamo di fronte a un rovesciamento dei doppi standard a danno di Israele.
Tuttavia le reazioni dei dirigenti israeliani e del sistema mediatico che li sostiene – con punte deliranti su Libero e Il Giornale che hanno titolato sulla «caccia all’ebreo» – sono sintomatiche: quello che non viene accettato è esattamente il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge, si tratti del diritto internazionale umanitario o della Convenzione sul Genocidio. E altrettanto sintomatiche sono le pressioni sulla Corte internazionale di Giustizia e la decennale attività di spionaggio dei servizi segreti israeliani per l’ex procuratrice Bensouda.
Certo, questo avviene nel quadro asimmetrico dell’ordinamento internazionale: il Consiglio di Sicurezza avrebbe il potere di sospendere l’azione della Cpi (ipotesi «fantageopolitica» avanzata da Lucio Caracciolo su Repubblica), ma in questo caso il potere di veto di Cina e Russia costituisce paradossalmente una garanzia.
E LE ISTITUZIONI internazionali, politiche e giudiziarie, non possono più ignorare un fatto della politica e del sentire comune internazionale: l’insofferenza dei tre quarti del mondo verso il privilegio di fatto riservato ai leader occidentali, che dovrebbero essere sottoposti ai principi universalistici dello stato di diritto, dei diritti umani e del diritto internazionale con cui legittimano la loro eccellenza democratica.
Il cortocircuito è ormai evidente e le stesse reazioni dei governi europei alla sentenza sono emblematiche: ossequio formale alla Cpi e vaghezza sulle intenzioni, con le virtuose eccezioni di Belgio, Irlanda, Olanda e Spagna. Che l’Italia, come gli altri 123 paesi membri della Corte, abbia l’obbligo di eseguire il mandato di arresto lo ha ricordato persino il ministro Crosetto. Ma è evidente che l’azione giudiziaria avviene in un quadro definito dai rapporti di forza. Che stanno cambiando, e il punto è fin dove gli Stati uniti si spingeranno nella difesa di retroguardia del loro progetto fallito di egemonia globale e nell’affermazione del proprio interesse nazionale e se le nuove potenze globali manterranno cautela e prudenza nell’uso della forza.
L’autorizzazione all’Ucraina a utilizzare i missili a lungo raggio sul territorio russo e la fornitura di mine anti-uomo non fanno ben sperare. Gli spiragli aperti dalle corti internazionali lasciano invece intravedere la possibilità di un ordine multipolare, che riconosca il pluralismo delle culture e dei sistemi politici e giuridici. E dove le norme e le sanzioni giuridiche non si applichino solo agli «altri».
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